Varie, 11 maggio 2005
Tags : Chunqiao Zhang
ZHANG Chunqiao Juye (Cina) 1917, Shanghai (Cina) 21 aprile 2005. Politico. «[...] uno dei membri della ”banda dei quattro”, l’organizzazione guidata dalla vedova di Mao Zedong ritenuta responsabile delle violenze che hanno sconvolto la Cina della Rivoluzione Culturale (1966-76)[
ZHANG Chunqiao Juye (Cina) 1917, Shanghai (Cina) 21 aprile 2005. Politico. «[...] uno dei membri della ”banda dei quattro”, l’organizzazione guidata dalla vedova di Mao Zedong ritenuta responsabile delle violenze che hanno sconvolto la Cina della Rivoluzione Culturale (1966-76)[...] uno dei componenti della ”cricca” di Jiang Qing e di Lin Biao [...]. La ”banda” venne arrestata nell’ottobre 1976, un mese dopo la morte di Mao. Con la loro incarcerazione si concluse la Rivoluzione culturale. I quattro, tutti membri dell’Ufficio politico del Comitato centrale del Partito comunista, e altri dirigenti loro alleati, vennero processati nel 1981: Jiang Qing e Zhang furono condannati alla pena di morte (poi commutata in ergastolo). [...]» (’la Repubblica” 11/5/2005). «Se i comunisti avessero un inferno lui oggi sarebbe lì. Era spietato, odiato anche dalle persone che gli erano più vicine. [...] ideologo e capo della Banda dei quattro, che fece milioni di vittime durante la rivoluzione culturale, tra il 1966 e il 1976. L’Enciclopedia della Repubblica popolare cinese lo dava ufficialmente per morto nel 1991. Per dire quanto pesi ancora il suo fantasma sulla Cina. Al processo pubblico contro la Banda fu l’unico a essere portato in aula con le catene ai polsi e sembrava non ce ne fosse bisogno. Con gli occhiali spessi, la barbetta rada, la testa pencolante da un lato, una giacca militare che gli ballava addosso, pareva l’icona dell’intellettuale mite. Intellettuale lo era di certo, mite no. Nato nel 1917 nella provincia dello Shandong, si era unito al partito intorno al 1938 per poi lavorare come giornalista a Shanghai. Dallo Shandong venivano anche due altre figure chiave della rivoluzione culturale, la moglie di Mao, Jiang Qing, e il super capo dei servizi Kang Sheng. A Shanghai i tre si trovarono e collaborano prima della presa del potere dei comunisti nel 1949. Qui, in poche settimane all’inizio del 1967, Zhang conquistò l’onore delle cronache e i galloni di leader nazionale. Era calato in città a gennaio su ordine del presidente Mao e in breve prese il controllo dei maggiori giornali e organizzò un processo di critica e rimozione dei dirigenti locali, accusati di ”economicismo” perché avevano accettato le richieste di aumenti salariali degli operai. L’anno prima la città era stata teatro di scontri selvaggi e le giovani guardie rosse erano scese in strada. Un anno dopo, con l’arrivo di Zhang, le guardie rosse erano ancora in strada e gli operai, che si erano visti rifiutati gli aumenti, non erano tornati in fabbrica. Allora gli studenti vennero usati come operai, ma non funzionò. Quando gruppi di guardie rosse, solidali con gli operai, cominciarono a criticare Zhang e il suo braccio destro Yao Wenyuan, la rivoluzione culturale fece il suo ciclo completo. Il 5 febbraio 1967 Zhang annunciò la costituzione della Comune di Shanghai. Fece arrivare l’esercito per cacciare i giovani nelle campagne e riportare gli operai in fabbrica e mise nei posti-chiave i suoi fidi tra cui spiccava un giovane operaio, Wang Hongwen, che rapidamente assurse a quarto membro della famigerata Banda. Zhang pareva destinato a diventare il padrone del Paese quando invece, morto prima il suo nume Kang Sheng e poi Mao, nel 1976 fu arrestato e condannato a morte. La pena venne poi commutata in ergastolo e nell’agosto 2002 fu liberato per ragioni di salute. [...] All’umanità Zhang ha lasciato un testo crudele fin dal titolo: Sull’esercizio della dittatura totale sulla borghesia. Naturalmente spettava a lui il potere sublime di definire cosa fosse o meno borghesia. A lui pensava Pol Pot in Cambogia quando vagheggiava una società senza borghesi; a lui si ispirano ancora oggi gli ultimi ribelli di Sendero Luminoso in Perù, i maoisti del Nepal, i guerriglieri superstiti delle Filippine. Alla maggior parte dei cinesi il suo nome evoca un brivido lungo la schiena e il ricordo delle urla di chi si gettava dalla finestra per non sottoporsi alle sue ”critiche delle parole e delle armi”, linciaggi collettivi organizzati. Per alcuni nostalgici, però, il suo nome evoca un sogno, un ideale valido anche se tradito. E anche l’ambizione al potere assoluto di una classe di rivoluzionari di professione che oggi lo vedono eroso da una nuova classe di borghesi rampanti e aggressivi, fieri membri del loro stesso partito comunista» (Francesco Sisci, ”La Stampa” 11/5/2005).