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 2005  maggio 10 Martedì calendario

CARNITI

CARNITI Pierre Castelleone (Cremona) 25 settembre 1936. Politico. Sindacalista. Ex segretario della Cisl • «[...] cattolico e militante - con i Cristiano sociali - nei Ds, è stato leader della Cisl. Proprio in quel ruolo, negli anni ’80 guidò e vinse la battaglia per il contenimento della scala mobile; e quando Pci e Cgil lanciarono un referendum per abrogare quell’accordo, dopo qualche tentazione astensionista contribuì a trascinare l’elettorato sul no [...]» (Daria Gorodisky, ”Corriere della Sera” 10/5/2005) • Si dimise dalla segreteria Cisl nel 1985. «Magro, allucinato, vagamente mefistofelico, consumato dall’ulcera, dall’infarto e dalla fatica, esce di scena, lunedì 8 luglio, l’uomo che nel bene e nel male più di chiunque altro (sì, forse anche più di Lama) ha contrassegnato la vita sindacale italiana di questi ultimi venti anni. Esce di scena il più anomalo dei sindacalisti italiani, un segretario della Cisl che si vanta di essere cattolico e di non aver mai votato per la Dc, un dirigente che ha speso anni e intelligenza a preparare l’unità sindacale e che non ha esitato a farla poi a pezzi, un sindacalista che nel breve arco di dieci anni ha imposto il punto unico di contingenza e gli aumenti uguali per tutti e poi l’abolizione dei quattro punti e la rivalutazione della professionalità, un leader che con la stessa violenta passione ha promosso e teorizzato l’antagonismo in fabbrica e la concertazione sociale. Chi lo ama (e sono molti) lo ama senza riserve, chi lo critica (e sono forse di più) lo critica con ferocia. Nei suoi confronti non sono possibili mezze misure: ma che sia stato un protagonista della vita politica e sociale italiana di questi anni nessuno lo mette in dubbio. [...]» (Miriam Mafai, ”la Repubblica” 5/7/1985) • Giampaolo Pansa: «[...] Quando lo conobbi, Carniti ne aveva 35, lui guidava i metalmeccanici della Fim-Cisl e io, di un anno più avanti, andavo alla scoperta umana dei capi di quel governo invisibile che s’era rivelato con l’autunno caldo. Carniti guatava il mio quaderno e ringhiava: ”I personaggi del sindacato? Ma lascia perdere! Lascia stare la mia vita. Ho capito, sai? Tu vuoi far del ’colore’. E così ne usciamo tutti mitizzati, e la maggior parte degli operai può esser portata a credere che i leaders sindacali siano tali o per fortuna o per doti eccezionali. E invece non è vera nè l’una nè l’altra cosa...”. Mi osservava ironico-dubbioso, con la sua bella faccia da contadino padano, le soppraciglia foltissime, i capelli tagliati a spazzola o ”all’umberta”, come dicevano le nostre madri raccomandando al barbiere: ”Alzo abbattuto!”. Al ritratto mancava appena il sigaro. Allora il ”toscano alla Carniti” non era ancora entrato nel ”look” sindacalese. Allora lui fumava trenta ”Pall Mall” al giorno, tanto per tener sveglia una vecchia morosa, l’ulcera duodenale, che gli stava addosso (quando si dice il carattere!) dall’età di ventitrè anni. E tra una ”Pall Mall” e l’altra, Pierre pronunciava le parole della sua Bibbia umana-civile-sindacale. Quelle che più amava, e usava con più orgoglio, erano ”lotta” e ”lottare”. Ed entrambe scandivano i suoi ricordi di giovanissimo quadro ribelle alla ”prassi rinunciataria” della Cisl di allora: ”Siccome m’ero scontrato con i dirigenti di quel tempo, mi spedirono al confino in una zona grigia per la Cisl, Legnano. Nel Legnanese si lottava poco. Alla Franco Tosi da otto anni non c’erano lotte. Dopo quattro mesi che ero lì, facevamo l’occupazione della fabbrica...”. Mi regalò un sorriso che allora mi parve di scherno per certi papaveri cislini in pantofole: ”La dirigenza della Fim diceva che non si poteva lottare, e gli abbiamo dimostrato il contrario. Abbiamo fatto dei ’numeri’ eccezionali. Poi cercarono di non farmi tornare a Milano. Si preparava il congresso dei metalmeccanici e loro avevano paura del nostro gruppo. Io ci tornai dicendo: cacciateci, se ne avete il coraggio!”. Non li cacciarono e i giovani falchi di Carniti vinsero il congresso di Milano della Fim-Cisl. Un anno dopo, a Bergamo, bissarono la vittoria al congresso nazionale della Fim. Che anno era? Il 1962, quasi un secolo fa. Pierre aveva ventisei anni. A ventotto era uno dei segretari nazionali della Fim, accanto al vecchio Macario. E infine, nel marzo 1970, a 34 anni ancora da compiere, il primo vero salto di carriera: segretario generale dei 268 mila metalmeccanici della Fim, la categoria più avanzata e rompiballe del sindacato bianco. ”Carriera” era invece una parola che faceva imbestialire Carniti. Soprattutto se pronunciata a Roma, dove, mi aveva messo in guardia sorridendo uno dei segretari nazionali della Fim, il massiccio genovese Nino Pagani, ”devi stare attento a dire che fai il sindacalista perchè pensano subito che ti fai i soldi!”. Per di più, il padano Carniti odiava Roma. Diceva, schifato: ”Questa è una città di gommapiuma, dove si perde il senso del reale. Spero che il sindacato unitario dei metalmeccanici avrà il buonsenso di trasferire la propria sede a Milano”. Già, ma intanto il suo ufficio era qui, ai margini della gommosa palude capitolina. E i soldi? Che cosa ”rendeva” allora gestire il potere sindacale? Carniti mi fece un po’ di conti: ”Guadagno 250 mila lire al mese, tutto compreso. Lo stesso guadagnano i segretari nazionali della Fim. Chi ha entrate diverse, come gettoni di commissioni o altro, ha l’obbligo di versarle nella cassa dell’organizzazione”. Pierre sorrise beffardo. Forse pensava a qualcuno. Disse, con durezza: ” importante che i dirigenti sindacali non prendano stipendi molto elevati. Oltre certi livelli, rischi di essere di un’altra classe, di non avere più la nozione dello schieramento nel quale sei inserito. E diventi burocratico, paternalista verso questi ’bravi operai’ che si fanno rappresentare da te”. Gli chiesi: ce ne sono di questi personaggi nella Cisl? Non esitò a rispondere: ”Ce ne sono, ce ne sono. Ma non è una prerogativa della Cisl. In tutti i sindacati italiani trovi uomini che utilizzano l’attività sindacale come una professione qualunque, dalla quale ricavare il massimo dei vantaggi anche materiali”. [...] quando gli chiesi che cosa significasse per lui vivere nel sindacato, rispose con asprezza pacata e senza timore d’apparire retorico: ”Per me è una milizia politica, è una scelta di classe. E anche una scelta di vita”. [...] In quelle parole del 1971, c’era tutto il Carniti che poi gli spettatori dello Stato-spettacolo hanno conosciuto, amato, odiato, ammirato, avversato. [...] fu sempre trasandatissimo. [...] vestito come un tranviere, o come uno di quei preti che, se si mettono in borghese, indossano sempre la roba color grigio più grigio. Abiti modesti e anche vita modesta, anzi, vita sacrificata. Perchè le scelte esistenziali si pagano sempre e si fanno sempre pagare a chi ti vive insieme. In quel 1971, Carniti mi raccontò anche di lui e di sua moglie, Mirella, una ragazza di Cremona. S’erano sposati giovanissimi, il 4 luglio 1960, ed erano andati in luna di miele a Stresa, luogo vicino e di poca spesa. Tre giorni dopo, Pierre era già costretto a tornare a Milano per uno sciopero all’Alfa Romeo. Mirella fece le valigie senza dir nulla. Poi, in città, al momento d’infilar la chiave nella porta di casa, scoppiò a piangere, ”forse prevedendo - disse Pierre - quel che le sarebbe toccato”. Mirella Carniti aveva previsto giusto. Il matrimonio è durato ben saldo, ma il sindacato (tredici, quattordici ore di lavoro al giorno, riunioni senza fine, viaggi continui) ha distrutto la loro vita privata. La casa era buona solo per dormirci, e lei aveva voluto dare al loro primo figlio il nome di Pierre: ”Perchè tu non ci sei mai - gli spiegò un giorno - E quando ci sei non parli, e se ti chiamo non rispondi...”. [...] la vera forza di Carniti era Carniti. Ossia la sua lucida rabbia di leader che, nelle campagne di Castelleone, aveva sofferto molto, anche la fame. La sua intelligenza ansiosa. La sua carica interiore. E persino la capacità di coltivare il proprio carattere spigoloso, di costruire con accortezza il mito di un Carniti perennemente dissacrante, che dice sempre e soltanto ”no”. Quel giorno, Pierre rise un po’ sprezzante di questi ultimi frammenti del ritratto. E allora provammo insieme a scrivere la sua scheda. Carniti ha grinta, tenacia, rude realismo, una volontà che non si scoraggia mai. Si sente coinvolto sino in fondo in tutte le cose che fa. intransigente. Ha il gusto di andare sempre avanti, e amore per la coerenza e le posizioni nette. ”Anche dentro il sindacato - ammetteva - tendo a radicalizzare i confronti perchè i propositi di ognuno siano ben chiari e ciascuno possa schierarsi con sicurezza”. E i difetti? Carniti è caparbio. Insofferente di chi non capisce al volo. Settario. Distruttivo. Quando occorre, anche abile nel bluff. Brutale con gli avversari. Uomo di rancori lunghi, le battaglie politiche lasciano in lui ferite profonde che guastano i rapporti umani. E infine, le sue famose furie improvvise, a freddo, che gli salgono alla gola: è accaduto anche in certe trattative, ”quando - dice - volevano farmi credere che Gesù Cristo era morto di freddo e invece era un’altra malattia...”. Più difficile risultò comporre la sua scheda politica. Ma già allora mi regalò un’ immagine di se stesso poi diventata usuale: ”Non sono un estremista come dicono. Nessuno ci crederà - continuò con un sogghigno cordiale - ma se mi paragono alla Fim, sono di estremo centro, dal momento che qui c’è gente assai più scatenata di me”. Sì, Carniti estremista di centro. Anche perchè, nel suo commiato dalla Cisl, ci richiama a valori davvero estremi: ”uguaglianza”, ”solidarietà”, ”libertà”, ”pluralismo” ”pace nella giustizia”. Ecco le parole che Carniti ha più amato. Parole vecchie? Da vecchio estremista? Qualcuno può pensarlo. Ma nel congedarsi, lo smunto-ferreo Pierre è come se ci domandasse: possiamo vivere facendone a meno, senza ascoltarle, fingendo di non sentire tutte le voci, milioni di voci, che le gridano ancora con rabbia?» (Giampaolo Pansa, ”la Repubblica” 11/7/1985).