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 2005  maggio 06 Venerdì calendario

I 18 milioni di militari tedeschi: l’ufficio dove sono schedati Quell’Ufficio di Berlino dove la guerra non è mai finita, Corriere della Sera, 06/05/2005 Vuole un antico detto russo, che una guerra finisca veramente solo quando l’ultimo soldato sia stato sepolto

I 18 milioni di militari tedeschi: l’ufficio dove sono schedati Quell’Ufficio di Berlino dove la guerra non è mai finita, Corriere della Sera, 06/05/2005 Vuole un antico detto russo, che una guerra finisca veramente solo quando l’ultimo soldato sia stato sepolto. E basterebbe visitare quest’angolo anonimo della capitale tedesca, in quello che a suo tempo fu il settore francese della Berlino divisa, per rendersi conto di quanta verità contenga quel piccolo grano di saggezza, attribuito a un generale zarista di due secoli fa. Visto da fuori sembra un edificio ministeriale, imponente costruzione in mattoni rossi e un largo spazio verde a circondarlo. Ma dentro, invece che di funzionari, impiegati e uscieri, è pieno di carte, chilometri di scaffali zeppi di cartelle. Diciotto milioni, per l’esattezza. Sono i dossier personali, con ogni informazione disponibile, di tutti i militari tedeschi che presero parte alla Seconda Guerra Mondiale. E’ la sede di un ufficio, che dal 1939 non ha mai cambiato acronimo: WASt sta infatti per Centro di informazioni della Wehrmacht per i caduti e i prigionieri di guerra. In quel mare di carta, c’è tutta la memoria di dolore, di sangue e di morte del popolo che seguì e pagò caramente la follia nazista: ferimenti, malattie, decessi, scomparse di ogni militare tedesco, in tutto 150 milioni di informazioni, sono scritti in quei dossier e vengono continuamente aggiornati dai quasi 400 addetti all’archivio. Ma un altro compito, meno burocratico e più complicato, meno freddo e più emotivo, impegna il personale del WASt. Sessant’anni dopo la fine della guerra, ogni giorno centinaia di tedeschi continuano a scrivere chiedendo notizie, frammenti di verità, tessere di mosaici spezzati, conferme o smentite sulla sorte di uomini inghiottiti in qualche modo dalla voragine del conflitto e mai più riapparsi. « Riceviamo 18 mila richieste l’anno – spiega il direttore Peter Gerhardt – e per ogni caso possono essere necessari anche 18 mesi, prima di raccogliere tutta l’informazione che ci viene domandata » . Non è stato sempre così, naturalmente. Durante gli anni della Guerra Fredda, l’archivio poteva contare solo sulle proprie forze, poiché era impossibile ottenere dall’Unione Sovietica o dai Paesi del Patto di Varsavia qualsiasi notizia sui dispersi o sui caduti di guerra. Nel 1955, il cancelliere Adenauer era riuscito a negoziare un accordo con Krusciov per la liberazione dei prigionieri di guerra: quasi un milione di ex soldati della Wehrmacht fecero ritorno a casa. Ma si dovette aspettare la caduta del Muro di Berlino, la fine dell’Urss e la riunificazione tedesca, perché il WASt cominciasse finalmente a ricevere informazioni sui dispersi. L’apertura degli archivi della Germania dell’Est fruttò da sola l’identificazione di ben 15 mila tombe di soldati, fin lì anonime. La vera svolta avvenne nel 1992, quando il maresciallo Kulikov, ex comandante del Patto, colse di sorpresa il governo federale, offrendo l’apertura degli archivi di Podolsk, a sud di Mosca, e piena cooperazione nella ricerca dei missing in action. Dalle carte sovietiche, saltarono fuori i nomi di settecentomila ex soldati tedeschi che erano stati tenuti prigionieri, ma di questi quasi 500 mila casi rimangono ancora oggi senza soluzione. « Stabilire la vera identità di queste persone, individuarne con esattezza il destino, è molto complicato, anche perché spesso i loro nomi vennero traslitterati in cirillico in modo errato » , dice Gerhardt, secondo il quale, a tutt’oggi, il numero degli ex militari tedeschi dispersi è « superiore a 1 milione » . A inondare di lettere il WASt sono soprattutto le nuove generazioni, i figli e i nipoti che hanno avuto « la grazia di essere nati dopo » . Dopo la guerra, colpa e vergogna prevalsero sulla volontà di sapere. Gerhard, 63 anni, ricorda il totale rifiuto di suo padre, che aveva combattuto in Olanda, a discutere l’argomento. Oggi, la nuova Germania vuole confrontarsi senza reticenza col proprio passato. Il dibattito sui tedeschi come vittime, nato sull’onda di un romanzo di Günter Grass e di numerose ricostruzioni storiche sulle sofferenze patite dal popolo, è stato un momento decisivo di questo passaggio. « Nel caso del WASt – dice Gerhardt – io credo che giovani di 20 e 30 anni si rivolgano a noi perché vogliono sapere cosa successe, vorrebbero poter visitare la tomba di un parente, oppure semplicemente visitare i luoghi dove i loro nonni o i loro zii furono tenuti prigionieri o segnalati per l’ultima volta. Spesso è un modo di chiudere». Paolo Valentino