6 maggio 2005
DELLA VALLE Raffaele.
DELLA VALLE Raffaele. Nato a Acqui Terme (Alessandria) il 17 novembre 1939. Avvocato. «Chi lo conosce da tempo ricorda bene quel giorno in una vecchia casa di ringhiera di via Italia a Monza: lui, giovane legale, che vola da una parte all’altra del cortile, op-là!, con i giudici della Corte d’Assise venuti apposta da Milano che dicono: ”Che fa avvocato, è matto?”. Altro che matto: con quel salto, Raffaele Della Valle riuscì a dimostrare l’innocenza del suo cliente, un giovane accusato dell’omicidio del padre. L’imputato pareva spacciato: una domenica mattina aveva detto che dei rapinatori erano entrati in casa sua e lo avevano colpito alla testa, facendogli perdere i sensi. Quando si era svegliato, i rapinatori erano fuggiti e suo padre, un orefice molto noto in città era morto, ucciso. A quel punto, aveva chiesto aiuto. Ma dall’unica porta di quella casa, aveva giurato un testimone, quella domenica mattina non era uscito, né tantomeno fuggito nessuno. Il figlio dell’orefice era così stato arrestato per omicidio, nela convinzione che i rapinatori, in realtà, non esistevano. Della Valle sosteneva che si poteva scappare dalla case del delitto anche senza uscire da quella porta ”controllata” dalla testimone: bastava saltare da un balcone all’altro, e poi da un tetto all’altro. Di fronte allo scetticismo dei giudici, li aveva invitati a seguirlo sul posto, dove avrebbe mostrato egli stesso la possibilità della via di fuga alternativa. Il figlio dell’orefice fu assolto per non aver commesso il fatto e Della Valle si fece la fama del ”Perry Mason della Brianza”, come lo chiamarono i giornali. Una fama consolidata poi da una pioggia di altre assoluzioni eccellenti - Enzo Tortora, per dirne uno - e di altri processi impossibili vinti tutti con la stessa tecnica: indagini, indagini, indagini [...] ”[...] Prendiamo il caso Tortora. Il 4 agosto 1983 l’accusa fa sapere a tutti di avere l’asso nella manica perché sull’agenda di un camorrista c’è il numero di telefono di Enzo Tortora. Solo due mesi dopo, il 2 ottobre, ci fanno vedere quell’agenda, e scopriamo che il numero di telefono non è quello di Tortora. Facciamo un controllo con la Sip e veniamo a sapere che il numero è di un certo Tortona, commerciante di generi alimentari. Capito? Tortona, non Tortora! I pubblici ministeri non avevano neanche fatto un controllo che potrebbe fare chiunque. La verità è che quando ho vinto i processi, li ho vinti perché ho smascherato gli errori delle indagini dei magistrati, non perché ho potuto fare indagini io. Tanto, se io porto una prova d’innocenza non vengo creduto. Lei ricorda quel figlio dell’orefice di Monza che feci assolvere saltando da un tetto all’altro? Bene: sappia che quel poveraccio, prima di essere assolto, e badi bene che fu assolto già in primo grado, si era fatto quattro anni di manicomio criminale” [...]» (Michele Brambilla, ”Sette” n. 49-50/2000).