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 2005  aprile 30 Sabato calendario

Bin Laden il nemico. Repubblica 30/04/2005. La politica estera, nel ’98, interessava a pochi. Quasi a nessuno

Bin Laden il nemico. Repubblica 30/04/2005. La politica estera, nel ’98, interessava a pochi. Quasi a nessuno. Gli americani pensavano alle loro faccende. Per Jonathan Randal era un guaio. La Guerra Fredda era finita con la caduta del Muro di Berlino e la gente, liberata dall´incubo durato mezzo secolo, si occupava soltanto di quel che accadeva sotto casa, negli Stati Uniti. Per tutta la vita Jon aveva fatto il contrario. Aveva raccontato guerre, rivoluzioni e crisi varie in tutti gli angoli del mondo, dal Vietnam all´Europa Orientale, dal Medio Oriente all´Africa del Nord. Era stato l´inviato dell´United Press, di Time, del New York Times e del Washington Post. L´anno precedente, il Washington Post l´aveva mandato in pensione, senza preavvisi, mentre era a Saraievo. A sessantacinque anni si era trovato all´improvviso senza lavoro e con un´inservibile esperienza professionale alle spalle. Era l´autore di ottimi libri, uno sulla guerra civile libanese (Going All the Way: Christian Warlords, Israeli Adventurers and the War in Lebanon), e un altro sui drammi dei Curdi (After Such Knowledge, What Forgiveness? My Encounter with Kurdistan). Ma quale editore, visto il disinteresse generale per quel che accadeva fuori dall´America, avrebbe accettato un´altra sua inchiesta su situazioni e luoghi remoti? Dopo quattro mesi di riflessione, passati all´Università di Harvard, Jon non sapeva come spendere le sue intatte energie e come arrotondare il suo magro reddito. Un pranzo all´hotel Ritz di Boston aprì uno spiraglio. Ad invitarlo era stato David Fromkin, autore di un libro fortunato (A Peace to End All Peace. The Fall of the Ottoman Empire and Creation of the Modern Middle East), in cui si analizza con intelligenza una storica conferenza per la pace, quella di Versailles nel 1918, durante la quale furono create tutte le condizioni per rendere impossibile la pace in Medio Oriente. Al Ritz il dinamico, geniale Fromkin suggeri con impeto a Jon : "Perché non fai un libro su Osama bin Laden?". "Jon" sapeva poco di Osama. L´aveva appena sentito nominare quando c´erano stati due attentati contro ambasciate americane in Africa. Niente di più. Ma, aiutato da alcuni bicchieri di buon Bordeaux, abbracciò con entusiasmo l´idea. Raggiunse Geneviève, la moglie, nel piccolo appartamento affittato a Cambridge, e le annunciò trionfalmente: "Ho trovato un lavoro". Così è nato quello che per me è il miglior libro, tra i tanti, tantissimi, scritti e pubblicati sull´uomo che ha cambiato gli umori del mondo. Un libro raro perché privo di luoghi comuni, di facili indignazioni e di ovvie sentenze. E´ la storia non solo di come nasce un terrorista, ma anche di come lo si crea. Di come lo si ingigantisce, fino a farne un mito: un grande criminale o un grande eroe, comunque un personaggio da leggenda. E a fabbricarlo, a dargli queste straordinarie dimensioni, sono stati i suoi nemici. Per cinque anni Jon ha seguito, dagli Stati Uniti all´Arabia Saudita, le tracce dell´uomo più ricercato della Terra, su cui la superpotenza non riesce a mettere la mani. Con lo stile del giornalismo narrativo, grazie al quale (se è riuscito) diventano leggibili, come romanzi, le inchieste più rigorose (altrimenti pedanti), Jon ci spiega, infine, con appassionante serietà, chi è e da dove viene Osama bin Laden. Nel settembre 2001, quando il miliardario saudita diventò la persona di cui tutto il mondo voleva sapere tutto, aveva già scritto centottanta pagine. Ma non si lasciò tentare dal successo e dal guadagno che avrebbe potuto ricavare da una veloce pubblicazione. E continuò la sua inchiesta per altri tre anni. Adesso del suo Osama esce anche l´edizione italiana (Piemme, pagg. 463, euro 18, 90 euro). Chiedo a Jon: all´inizio sapevi poco, quasi niente, di Osama; poi nei cinque anni durante i quali hai indagato su di lui ti sei fatto via via un´idea del personaggio: chi è? Un Robin Hood? Un avventuriero? Un fanatico? Un uomo in buona fede? Un puritano? Un ambizioso? "E´ senz´ altro un po´ di tutte queste cose. Lui in partenza era ansioso di diventare un leader, era assetato di protagonismo, voleva essere ascoltato e amato, ma a far di lui il personaggio che è sono stati gli americani e i sauditi. Mi riferisco in primo luogo alla Jihad nell´Afghanistan occupato negli anni Ottanta dai sovietici. E´ allora che il giovane miliardario saudita acquista autorità, in particolare grazie al denaro dato dagli americani, dai sauditi e dalle moschee ai movimenti di resistenza. Durante i frequenti soggiorni in Arabia Saudita, reduce dall´Afghanistan, Osama attira l´attenzione come raccoglitore di fondi e come predicatore in favore di quella guerra santa contro gli infedeli comunisti, invasori di un paese musulmano. Dopo Ibn Saud, il fondatore del regno saudita, il paese non ha più avuto eroi. Osama colma in parte quel vuoto". Quando diventa anti americano il miliardario finanziato dagli americani? " Anti americano lo era già. Ma prima che questo suo sentimento si manifestasse, Osama era soprattutto anti-Saddam. E non lo nascondeva. Per lui il raìs iracheno era un miscredente, un cattivo musulmano, era il capo di un partito laico come il Baath, quindi un uomo da combattere. Ed è questo suo atteggiamento che gli crea le prime difficoltà con la famiglia reale saudita, assai più cauta con il regime di Bagdad". Dopo l´invasione del Kuwait Osama si offre per combattere le truppe d´occupazione irachene, ma i sauditi rifiutano il suo aiuto e si affidano a un ben più consistente alleato, gli Stati Uniti, i quali mandano la loro imponente armata in Arabia Saudita. E´ allora che esplode il suo anti-americanismo? "A quell´epoca Osama è assai più prudente di altri sauditi che deplorano apertamente la presenza di truppe americane in terra santa, a due passi dalla Mecca e da Medina, e che si scandalizzano per le donne soldato senza velo di quell´esercito di infedeli". E´ dunque lentamente che l´anti-americanismo di Osama matura e poi esplode. E fa di lui l´avversario diretto del presidente della superpotenza. Bush lo favorisce riconoscendogli questo ruolo. Tu dici che dall´11 settembre in poi, ogni giorno che passa senza che lui si faccia uccidere dal più forte esercito del mondo lanciato alla sua caccia, rafforza la leggenda che l´avvolge, e che è di gran lunga superiore a quella da lui sognata nei momenti di più sfrenata ambizione. In questo senso Bush, che ha sguinzagliato finora invano sulle sue tracce i migliori segugi d´America, contribuisce alla sua fama? "Più o meno dappertutto nel mondo Osama e Bush sono apparsi a lungo due fondamentalisti. Il primo totalmente votato a un Islam jihadista, l´altro al servizio dei suoi seguaci ultrareligiosi, alleati dei neoconservatori. Questa quasi assimilazione, in un confronto tanto impari tra la superpotenza planetaria e una manciata di jihadisti, è stata un´innegabile vittoria per Osama". L´ultimo video di Osama risale al 2004... "Ha parlato anche dopo, ma il suo intervento alla vigilia delle elezioni presidenziali americane è stato significativo. Il suo evidente proposito era di far rieleggere Bush. Bush l´aveva promosso al ruolo di principale avversario, e lui ha ricambiato comparendo sui teleschermi e spingendo con le sue minacce gli americani spaventati a confermare il presidente. Bush ha bisogno di lui, e lui ha bisogno di Bush. Si alimentano a vicenda". Osama è popolare tra gli arabi e in generale nel mondo musulmano? "Non credo proprio che lo sia per la maggioranza dei musulmani. Ma a lui basta avere l´approvazione di gruppi di militanti. Inoltre gli americani si fanno in quattro per far dimenticare le sue malefatte o per rimediare alle sue sconfitte. "L´esempio più vistoso è naturalmente l´Iraq. Quando Osama è alle corde, perché ha perduto il sostegno dei talebani in Afghanistan, Bush invade l´Iraq attizzando l´anti-americanismo e offrendo ad Al Qaeda un nuovo terreno di manovra. Sul quale si lancia Zarkawi, un avversario di Osama che vista l´occasione diventa suo alleato e suo rappresentante sulle sponde del Tigri". Da un po´ di tempo Osama non si fa vivo. Dove pensi si trovi? "Non ne so nulla. Probabilmente è nella zona di confine, tra Pakistan e Afghanistan". Tu parli a volte di lui come di un personaggio sofisticato. " Il suo arabo è sobrio e classico. Ed esercita un certo fascino sui giovani, anche su individui educati all´occidentale, e assidui telespettatori di Al Jazira. Una segreteria della redazione francese di Al Jazira, più parigina che marocchina, benché quest´ultima sia la sua nazionalità, mi ha confessato un giorno di non essere insensibile alle parole di Osama. Il suo modo di parlare gli ricordava quello del padre e dei nonni. La sua reazione mi è parsa geneticamente programmata". Bernardo Valli