varie, 2 maggio 2005
CARFI
CARFI Paolo Casale Monferrato (Alessandria) 10 aprile 1954. Magistrato dal 1985, non è mai stato pubblico ministero, ma sempre giudice. Presidente di uno dei tre collegi della quarta sezione del Tribunale di Milano. Riservato e pignolo, Carfì ha giudicato di tutto, dai pedofili ai tangentisti. Si è trovato a giudicare Craxi nel processo Eni-Sai concluso con la prima condanna per corruzione. Nel ”94 escluse di poterlo interrogare ad Hammamet perché a quell’epoca nessun certificato medico lo definiva «intrasportabile». Nel ”96 negò il patteggiamento a Dell’Utri per i fondi neri di Publitalia ritenendo troppo bassa la pena concordata dall’imputato con il pm. Nel 2001 fu aspramente criticato per aver chiesto al presidente della Camera lumi sul calendario parlamentare «Severo come un professore all’antica, preciso come un entomologo, riservato come un monaco. Se c’è un magistrato, nel palazzo di giustizia di Milano, per descrivere il quale ci si può affidare solo alle sentenze, alle ordinanze, ai processi celebrati dal medesimo, ecco, quello è appunto il giudice Paolo Carfì. Mai un’intervista, mai una frase che non rientrasse nella dialettica dibattimentale: se il giudice Carfì appartiene a qualche corrente non ha mai detto a nessuno qual è, se ha qualche hobby non è il tipo che ne parla al bar. Pignolo, questo sì […] nel ”94 rifiutò di interrogare Craxi ad Hammamet perché a quell’epoca nessun certificato medico definiva Bettino ”intrasportabile”. Lo stesso Bettino che riferendosi al collegio presieduto da Carfì parlò di ”banda armata”, e lo stesso Carfì che a sette anni di distanza Taormina bolla come ”escrescenza da eliminare”. La risposta del magistrato è sempre stata: silenzio, e avanti coi processi. […] Divenne uditore giudiziario all’età di ventinove. Il suo ingresso in magistratura risale all’85: mai stato pubblico ministero, sempre giudice. Magistrato d’appello dal ”96, è tuttora presidente della quarta sezione del tribunale di Milano. Da quella seggiola ha giudicato di tutto: pedofili, bancarottieri, narcotrafficanti, rapinatori. E tangentisti, naturalmente: il suo processo a Craxi, concluso con la prima condanna per corruzione dell’ex leader del Psi (cinque anni e mezzo, confermati in Cassazione), riguardava l’affare Eni-Sai. I difensori di Bettino, in quel periodo già ”esule” in Tunisia, avevano proposto a Carfì una trasferta per andare a interrogarlo là. ”Casomai - fu la controproposta del pm Fabio De Pasquale - si potrebbe allestire un collegamento video con Hammamet...”. Carfì disse di no a tutti. Motivazione letta in aula: nelle carte mediche presentate dai difensori dell’imputato ”non si specifica neppure da quale patologia sia afflitto, né si afferma l’impossibilità a muoversi dalla Tunisia”. Commento di Craxi, il giorno della condanna: ”Quella non è una corte di giustizia, ma una banda armata di pregiudizio e faziosità politiche”. La querelle sul caso Previti per i processi Imi-Sir e Mondadori-Fininvest […] Previti invoca i suoi impegni parlamentari per far rinviare le udienze? Carfî scrive al presidente della Camera, Pier Ferdinando Casini, invocando una ”collaborazione leale” e chiedendo un calendario dei lavori futuri. Previti lo ricusa, Casini nel frattempo risponde che il calendario della Camera ”è su Internet”, al giudice non resta che rammaricarsi del fatto che ”il computer della sezione non è collegato alla rete da mesi”. Previti lo ricusa di nuovo. Chiede anche, alla luce della nuova legge, di annullare le rogatorie che lo riguardano. E poi di annullare, stante il pronunciamento della Corte Costituzionale sugli impegni parlamentari, tutte le udienze tenute finora... Ma Carfì dice no: l’autenticità delle carte svizzere, in tutti questi anni, non era mai stata messa in discussione neppure dalle difese. E gli ”impegni parlamentari” in questione, all’epoca, non erano stati ”documentalmente provati”. In passato Carfì aveva saputo dire di no anche al pool Mani pulite. Scavalcandolo, in severità, quando nel giugno ”96 negò il patteggiamento a Dell’Utri per i fondi neri di Publitalia: ”La pena di 14 mesi patteggiata con il pm - scrisse - appare a dir poco inadeguata per difetto”. Il massimo del rigore, in ogni caso, Carfì lo raggiunse il 18 aprile 1993. In un processo per droga alle due del pomeriggio la segretaria d’udienza dichiarò che non poteva più fare straordinari, e se ne andò a casa. Carfì la fece rintracciare e la convinse a rientrare. Dopodiché inoltrò un rapporto alla presidenza del tribunale per interruzione e abbandono di pubblico servizio» (Paolo Foschini, ”Corriere della Sera”, 23/11/2001).