Varie, 1 maggio 2005
IZZO
IZZO Angelo Roma 23 agosto 1955. Assassino. Già condannato all’ergastolo per il massacro del Circeo (1975, con Andrea Ghira e Gianni Guido seviziarono e uccisero Rosaria Lopez, l’amica Donatella Colasanti si salvò fingendosi morta, chiusa nel bagagliaio di un’auto con il cadavere dell’amica), nel 2005, mentre era in regime di semilibertà, uccise Carmela Linciano e la figlia quattordicenne a Ferrazzano, vicino Campobasso • «Chi ha visto quegli occhi [...] - tanto voraci e avidi da sembrare onniveggenti - tutto poteva leggervi fuorché pietà o rimorso. [...] Eppure, in tutto il tempo trascorso tra la fine di settembre del 1975 e il luglio 2001, Angelo Izzo aveva confessato, ad un’inviata del ”Venerdì” di Repubblica, di aver ”smesso di amare la violenza grazie all’amore per gli altri”; che in carcere aveva avuto ”il tempo di leggere, studiare, riflettere, guardarmi dentro”. Era cambiato, insomma. Anche fisicamente non era più il pariolino snello e ricciuto, ma un uomo di cinquant’anni, grasso e calvo. Però gli occhi erano sempre gli stessi: quelli di un pluriomicida, pluristupratore, plurirapinatore cresciuto, parole sue, ”in una mentalità guerriera e fascista”, in una continua regressione che permettesse a lui, e a quelli del suo gruppo, di ”ritrovare l’istinto sanguinario”. L’istinto di seviziare per 36 ore - con altri due camerati, Gianni Guido e Andrea Ghira - due ragazzine di 17 anni: Maria Rosaria Lopez e Donatella Colasanti. Per poi, alla fine del ”festino” in una villa del Circeo, affogarne una nella vasca da bagno e cercare di finire l’altra a bastonate. I due corpi vennero messi in altrettanti sacchi di plastica e caricati sulla 127 di Guido che la parcheggiò sotto casa per andare a cena: avrebbero finito il lavoro a stomaco pieno. Furono i gemiti di Donatella Colasanti - fintasi morta - ad attirare un metronotte. Era il 30 settembre 1975. Per lo scempio e il delitto atroce, Izzo e Ghira (subito fuggito, quest’ultimo, e rimasto [...] latitante) furono condannati all’ergastolo, Gianni Guido a 30 anni. Eppure, con il passare del tempo e la valanga di confessioni rese, ”il delitto del Circeo” si rivelò solo un capitolo del romanzo criminale scritto dalla ”Banda del Drago” cui appartenevano i tre camerati. Gli Anni Settanta - anni feroci - sembrava dovessero portare diritti all’inferno. Nel ”73 c’era stato il rogo di Primavalle in cui furono bruciati vivi i due figli di un caposezione missino. A Milano, Franca Rame, caricata a forza su un furgone, venne seviziata per ore (su istigazione - racconterà poi Izzo - di alcuni ufficiali dei carabinieri della divisione Pastrengo). L’anno dopo, la strage dell’Italicus. Nel ”75 l´omicidio del neofascista greco Miki Matakas. Nel ”77, quello di Giorgiana Masi (Izzo accuserà in seguito il compare di stupri, latitante, Andrea Ghira). In mezzo a questi episodi più noti, gli agguati, le rapine, i regolamenti di conti. In gran parte generatrice e strumento del clima di violenza e di sangue che avvolse l’Italia intera fino alla strage del treno a San Benedetto Val di Sangro, nell’84, fu quella sorta di alleanza tra criminalità organizzata e criminalità politica di estrema destra: la prima forniva le armi e, all’occorrenza, la manodopera; la seconda incassava parte del bottino delle rapine ed eseguiva delitti su commissione troppo direttamente riconducibili ai mandanti ”comuni”. La criminalità organizzata aveva un nome: la Banda della Magliana. Gli altri erano gruppuscoli che ruotavano all´esterno del Msi con nomi che ognuno si sceglieva. Come, ad esempio, la ”Banda del Drago” di Izzo, Ghira e Guido. Angelo Izzo - almeno quattro anni prima del delitto del Circeo - era già parte integrata, di non secondaria importanza, in questa miscela eversiva. Confesserà poi che aveva alle spalle sette omicidi e un numero imprecisato di stupri (’era una prassi consolidata, facevamo così da anni. La prima fu una ragazza americana”) e rapine (’anche quattro a settimana”). Figlio di un ingegnere edile benestante, residenza ai Parioli, racconterà: ”Il mio apprendistato cominciò a sedici anni quando, espulso dall’associazione giovanile del Msi, entrai in ambienti extraparlamentari che mi addestrarono al terrorismo. Da allora non smettemmo più. Rapinavamo banche e gioiellerie, assaltavamo furgoni portavalori, sequestravamo persone, trafficavamo droga”. Quando fu arrestato per il delitto del Circeo aveva già fatto qualche mese di carcere, il resto abbonato con la condizionale. Durante il processo dimostrò la sua durezza disertando l’aula perfino il giorno della sentenza per evitare il fastidio delle proteste femministe. Altre dimostrazioni della tempra di ”guerriero” (’ci sentivamo i cavalieri assediati in guerra con il resto del mondo, invulnerabili e imbattibili”) le fornirà in seguito. Dopo due anni di carcere e ben prima della condanna definitiva all’ergastolo (settembre ”83), Izzo tenta di evadere dal carcere di Latina facendosi scudo di un maresciallo delle guardie di custodia: fallirà. Nell’86 ci riprova, ma viene scoperto prima che possa mettere in atto il piano di fuga. Gli va bene nell’agosto del ”93 durante un generoso permesso speciale concessogli grazie alle sue confessioni nelle quali aveva praticamente parlato di tutti i misteri d’Italia: delle stragi di Piazza Fontana, della stazione di Bologna, di Piazza della Loggia a Brescia; dell’omicidio di Mino Pecorelli, di quello di due ragazzi romani di sinistra (Fausto e Iaio), di quello del presidente della Regione siciliana, Piersanti Mattarella, e di altri episodi minori di terrorismo e di mafia, molto probabilmente orecchiati in carcere. Sta di fatto che quando, il 25 agosto del ”93, evade dal carcere di Alessandria, dimostra che i suoi contatti con la mala sono ancora saldi. L´Interpol lo arresterà meno di un mese dopo a Parigi con addosso una Smith&Wesson calibro 38, una serie di documenti falsi e dieci milioni di lire. Secondo gli investigatori si preparava ad emigrare in Sudamerica per raggiungere, forse, il vecchio amico e camerata Andrea Ghira. Spavaldamente, ancora una volta, sorridendo ai fotografi dirà agli agenti che lo arrestano: ”Complimenti, siete stati bravi. Però avevo bisogno di una bella vacanza”. Si vanterà anche di aver speso, durante il soggiorno parigino, due o tre milioni al giorno. Di nuovo il carcere, la presunta macerazione (’Sono stato un vile che se la prendeva con i più deboli, un maschilista che stuprava, un ricco bastardo che sfogava il suo odio e i suoi complessi. Ho avuto ripugnanza di me stesso”). Nel contempo i nuovi, o vecchissimi, contatti con la malavita fino alla manna della libertà vigilata. L’epilogo - ma è davvero tale? - è stato il duplice omicidio, a freddo - come lo fu quello di Maria Rosaria Lopez - di due incolpevoli donne. Quell’istinto, ”l’istinto sanguinario” di cui lui stesso ha parlato, è rimasto un seme che ha continuato a germogliare sepolto nel buio, sotto la montagna di confessioni, al riparo di un plateale quanto retorico pentimento. Lo ha covato pazientemente fino alla prima occasione utile. Fra tante menzogne, il suo sguardo - quello del ragazzino magro e ricciuto di vent’anni, come quello del cinquantenne calvo e obeso - non ha mai mentito» (Massimo Dell’Omo, ”la Repubblica” 1/5/2005). «Valentina aveva 14 anni. L’hanno trovata morta assieme alla madre, sepolta sotto mezzo metro di terra, davanti a una villetta nelle campagne della periferia di Campobasso. Era nuda. Ammanettata, come la madre, con le gambe legate e lo scotch sulla bocca, un sacchetto di plastica sul viso. Soffocate e forse stuprate le due donne, moglie e figlia di un collaboratore di giustizia. E dietro questa storia da incubo spunta il nome di Angelo Izzo [...] Una storia ancora tutta da ricostruire ma che porta ad un boss della Sacra Corona Unita. Giovanni Maiorano, un capo della mafia pugliese ed ex collaboratore di giustizia, e compagno di Maria Carmela e il padre di Valentina, le due donne uccise e aveva conosciuto Angelo Izzo in carcere. Maiorano, nel 1990, aveva assassinato nel Leccese, Cristian Matteo, 17 anni con un colpo di pistola alla nuca gli aveva tagliato la testa per ritardare l´identificazione. Movente del duplice omicidio, forse, una frase tra pentiti (anche Izzo in passato era stato classificato come collaboratore di giustizia) o una vendetta per una rivalità nata dietro le sbarre. L’assassinio delle due donne potrebbe essere stato ordinato da qualcuno ma chi indaga non esclude nemmeno che si sia trattato solo di un raptus. [...] Angelo Izzo, secondo le ricostruzioni degli investigatori, avrebbe convocato le due donne (che abitano a trenta chilometri da Campobasso) per un incontro. Il massacratore del Circeo le aveva conosciute quando erano andate a trovare Giovanni Maiorano, che era suo compagno di carcere. Una conoscenza rinnovata quando Izzo, a Campobasso, aveva ottenuto la semilibertà. [...]» (Caterina Pasolini, ”la Repubblica” 1/5/2005).