Gianni Clerici, L’espresso 5/5/2005, pag. 82., 5 maggio 2005
Gianni Clerici, L’espresso 5/5/2005. Guarda qui. Guarda che roba. Bionda come il miele, capelli lunghi che le accarezzano il culino
Gianni Clerici, L’espresso 5/5/2005. Guarda qui. Guarda che roba. Bionda come il miele, capelli lunghi che le accarezzano il culino. E le gambe, sono lunghe un metro, le gambe. E quelle tettine che iniziano a gonfiarsi. Mio Dio, che bambola. A parlarmi così, quattro anni fa, era Art Seitz, il miglior fotografo di tennis americano. Le foto della giovanissima bellezza si stagliavano sul bordo di una piscina. Uespressione volta a compiacere il fotografo, insieme ingenua e seducente avrebbe sconvolto Nabokov. Dopo averla percorsa con occhi da vecchio porco, accennai alla racchetta: "Come se ne serve? ", ridacchiai. "Un uragano", si entusiasmò Art: "Una belva da arena. Hai in mente la Seles ragazzina? Questa tira anche più forte, e grugnisce di più. Il campo si trasforma in un triclinio per orgasmi. Altro che la tua Williams. Fossi in te, farei un salto alla Accademia di Bollettieri, per darle un’occhiata, a Maria Sharapova. Sì, è russa ". Con tutta la stima per Art, un tipo capace di fotografare la reticente Steffi Graf seminuda, da un elicottero, non affrontai il viaggio sino alla Florida. Ma, alla prima occasione, mi spinsi su un campo periferico di Flushing Meadows, dov’era in corso il torneo juniores dello U. S. Open, e dove era programinata la Sharapova. Individuarla fu facile, poiché fin da 50 metri giungevano altissimi quelli che gli yankees chiamano "grunt", qualcosa a mezzo tra il gemito e il rantolo: grantoli. Ma non feci in tempo ad affacciarmi che mi fischiò vicina un pallaccia, scagliata da un rovescio bimane non meno violento di quello di Serena Williams. L’autrice era la ragazza della foto, un po’ meno bambina, con i suoi 15 anni, e ancor più attraente, se è possibile. Alzai gli occhi, a cercare conferma, e la trovai in un sorriso di Lorenzo Cazzaniga, il miglior giovane specialista italiano, uno di quelli che arrivano in anticipo. "Maria Sharapova, accento sulla seconda sillaba", informò. " Russa, nata il 19 aprile 1987. Scappata da Chernobyl per rifugiarsi a Bradenton da Nick Bollettieri. Dice, il coach, che non ne ha più visto una così dai tempi di Monica Seles". Lorenzo si fermò, per annotare due nuovi punti che l’uragano biondo aveva nel frattempo messo a segno e, indicando un ometto scuro dai larghi zigomi, "Youri, il papà", informò. "Se vuoi, ci possiamo parlare". Parlammo, mentre la sua piccina terminava di scorticare la malcapitata avversaria. Aveva da poco sposato e messa incinta Youlia, Yuri, che scoppiò Chernobyl, il 25 aprile 1986. Gli Sharapov vivevano a Gomel, a circa 400 chilometri, e Yuri perse il sonno, immaginandosi padre di un bambino deformato dalle radiazioni. A quei tempi, in Urss vigeva ancora il passaporto interno, e cambiare lavoro era un’impresa impervia. Youri le tentò tutte, e riusci infine a trasferirsi a Nvagan, in Siberia, un posto terribilmente inquinato da raffinerie di petrolio, un posto dove la temperatura finisce sotto i 40 gradi. Dopo quattro anni, la lotta per la sopravvivenza offrì a Sharapov, operaio specializzato, l’occasione per trasferirsi in Crimea. E, lì giunto, fece conoscenza con Youri Yutkin, un amico di Kafelnikov, il vincitore dei Campionati di Francia e d’Australia. Fu così che con un racchettone di Kafel la piccola Maria colpì le prime palle. In modo tanto ispirato, che papà decise di condurla a Mosca, ad ammirare le protagoníste della Kremlin Cup, un torneo voluto da un potente appassionato, Boris Eltsin. Youri fece in modo di infilare la sua piccola in una clinic, una lezione pubblica dì Martina Navratilova. E l’incredula campionessa suggerì la cosa più ovvia. Andare in Usa, da Bollettieri. Si mise, papà Sharapov, a raggranellare denari. Non sapeva come esprimersi, se non in russo, quando si ritrovò con una bambina di otto anni, e 500 dollari in tasca, all’aeroporto di Miami. Dovette pregare, disperato, sinché un aiutante di Bollettieri si degnò di dare un’occhiata alla piccola, prima di andarsene. Yuri si vide perduto, privo dei denaro necessario a ritornare a Mosca. Dopo qualche minuto arrivò il celebre insegnante. Dopo mezz’ora Maria era ammessa All’Accademia, e a Yuri concesso un posto di inserviente. Quando chiesi a Maria, che tutti ora chiamano Mascia, un ricordo di quei giorni avventurati: " stato come centrare un muro a cento l’ora", fu la fisposta. "Mia mamma non riuscì per due anni a ottenere un visto e, insomma, fu duro". Alla sua prima uscita ufficiale, tra gli juniores, Maria si imbattè ìn un altro allenatore, forse ancor più preparato di Bolletticri, Robert Lansdorp. Si trasferì nel suo club in Califorma, e iniziò col firmare un paio di contratti. Era partita. Nel 2002 vinceva il titolo austrafiano junior, nel 2003 metteva per la prima volta piede su un campo in erba, a Wimbledon. A 16 anni da poco compiuti, avrebbe buttato fuori la testa di serie n. 11, Jelena Dokic, salendo tra le prime 16. Fu allora che alcuni geni del giornalismo rosa presero a paragonarla ad Anna Kournikova, un’altra russa che a 18 anni era salita alle semifinali, per poi perdersi nello sport, approdando a sorprendente successo mediatico e pubblicitario, grazie anche a un fidanzamento con Iglesias jr. Qualcuno fece notare che la Kournikova prevaleva largamente nei siti Internet a lei dedicati, 900 mila contro 200 mila. E che Anna guadagnava molti milioni di dollari in più, con tutte le sue sponsorizzazioni. Fortunatamente, Mascia se ne fregava. Si allenava come una belva, e quando non si allenava faceva il liceo per corrispondenza, com’è possibile in Usa, con ottimi risultati. Il suo inglese, o meglio il suo americano, era infatti grammaticalmente perfetto, non meno dei colpi di rimbalzo, non solo il diritto ma il rovescio che si giova di un ambidestrismo tanto vivo da permetterle, in allungo, qualche salvataggio mancino. Le sarebbe stato utile, quel suo brillante inglese, per ricevere le congratulazioi del duca di Kent, presidente onorario dello All England Teénnis and Croquet Club, il giorno della vittoria, il 3 luglio dell’anno passato. Vittoria contro Serena Williams, successo per 6-1, 6-4 molto più facile di un’avventurosa semifinale contro Lindsay Davenport, nella quale un’interruzione per la pioggia l’aveva salvata da probabile sconfitta, permettendole un geniale ribaltamento tattico. Da molti ritenuto felicemente avventuroso ed episodico, il successo a Wimbledon si sarebbe mostrato un trampolino per il prosieguo dei 2004, concluso con il trionfo al Masters femminile, nuova affermazione su una Serena Williams sempre più inferocita e ribelle. E siamo ormai alla cronaca, alla sconfitta di Masha contro Serena all’Australian Open, seguita a tre match-point non trasformati. Si profilano le rosse dune di Roland Garros, i regali prati di Wimbledon . La ex sconosciuta è sommersa di contratti, ha superato il primo milione di dollari in soli premi. Può ancora migliorare tecnicamente. Nell’accingermi ad ammirarla, mi ritrovo curioso a domandarmi cosa le accadrà dentro. In fondo, non sappiamo molto di quel che capitò a Cenerentola dopo che incontrò il Principe, e insomma il successo.