Paolo Foschini, Corriere della SEra, 26/04/2005, 26 aprile 2005
Le regole di Benedetto, Corriere della Sera, 26/04/2005 MILANO – « Ascolta, figlio » . Un invito al silenzio col tono amorevole, fiducioso, rassicurante di un padre: sono le prime due parole della Regula Benedicti che da quindici secoli disciplina la vita del monachesimo occidentale
Le regole di Benedetto, Corriere della Sera, 26/04/2005 MILANO – « Ascolta, figlio » . Un invito al silenzio col tono amorevole, fiducioso, rassicurante di un padre: sono le prime due parole della Regula Benedicti che da quindici secoli disciplina la vita del monachesimo occidentale. Un insieme di precetti cui attenersi, orari e modi di pregare, quando e quanto mangiare, quando e quanto dormire, insomma una fila di istruzioni su cosa il monaco possa o debba fare e cosa no nel corso della sua giornata: a volerne cogliere la semplice superficie. Eppure, nel momento in cui il non più cardinale Joseph Ratzinger sceglie proprio quel nome per qualificarsi come Papa, fermarsi almeno un attimo a riflettere anche su questo aspetto può valer la pena: cosa può avere da dire al mondo e agli uomini di oggi questo antico libricino compilato da lui, Benedetto da Norcia, quasi millecinquecento anni fa? FELICITA’ ANCHE IN TERRA – Ora et labora , è il famoso motto che la tradizione successiva attribuì al Santo: una sintesi magari efficace, ma alquanto incompleta. Come sottolinea padre Raffaele Talmelli, priore dei monaci benedettini vallombrosani dell’Eremo della Vita Eterna, in cima a un colle appena fuori Siena, Benedetto è forse il più chiaro di tutti « nel definire il senso e il concetto stesso di regola » . Ovvero? « La regola non è il " fine" bensì uno " strumento" la conquista della pace e della felicità: sulla terra prima, e poi eternamente in Cielo » . Così è vero che, dopo un Prologo iniziale, la Regula Benedicti fissa certamente una serie di « istruzioni generali » quindi sempre più minute che parte dai Dieci comandamenti per poi proseguire: dal « recar sollievo ai poveri » al « dire sempre la verità con le labbra e col cuore » , dal « non ricambiare le calunnie » al « non essere superbi, né dediti al vino, né ingordi, né troppo amanti del sonno, né pigri » , dall’avere « ogni giorno presente la morte » al « non disperare mai della misericordia di Dio » : per concludere che « questi sono gli strumenti dell’arte spirituale » . IL DIGIUNO GRADUALE – Ma è appunto in quel Prologo che si individua il principio cardine di tutto ciò: quello per cui la felicità non si raggiunge seguendo la propria « pigrizia istintiva » ma attraverso l’umiltà, la moderazione, l’obbedienza, la preghiera, lo studio, il lavoro. Non in modo fine a se stesso ma, ripete padre Raffaele, finalizzato a uno scopo che è sempre l’essere umano: « Prendiamo l’esempio del digiuno. Da perseguire con gradualità, prima rinunciando a mangiare fuori pasto, poi alzandosi da tavola non completamente sazi... il valore di questa cosa non sta nel digiuno in sé, ma nel fatto che attraverso una rinuncia si possa imparare a non essere aggressivi per il cibo: il che, se si pensa che proprio per il cibo gli uomini si facevano la guerra, rappresenta uno degli esercizi possibili per il perseguimento della pace » . NESSUNA PROPRIETA’ – Perché proprio questo, il lavoro, fu « il principale esempio attraverso cui il monachesimo benedettino riuscì nell’impresa di evangelizzare l’Europa » . Come si legge, del resto, in un passo esplicito della Regola: « L’ozio è nemico dell’anima » e i « monaci sono veramente tali quando vivono del lavoro delle proprie mani, come fecero i nostri padri e gli apostoli » . Quanto poi al frutto del lavoro, Benedetto prescrive che « nessun monaco possieda alcunché di proprio » : un « vizio » da « estirpare radicalmente » e da sostituire con la prassi per cui « ciascuno riceva secondo il bisogno » . IL VALORE DEL SILENZIO – Ma anche il lavoro non basta. Ora, Labora et Lege , dovrebbe recitare la sintesi completa del celebre motto: cioè pregare e lavorare sì, ma anche leggere, studiare, imparare. E si torna, con lo studio, a quella prima e fondamentale parola da cui prende le mosse l’intera Regola: l’ascolto, sottolineato da Benedetto XVI anche nel giorno del suo insediamento. Che presuppone la capacità del silenzio: « Forse l’arte più dimenticata oggi – riflette padre Raffaele – non solo dal mondo laico, con tutti i suoi rumori impegnati a sopraffarsi a vicenda, ma anche da alcuni settori della Chiesa stessa, dove l’importanza di " dire", " esprimere" un punto di vista, a volte fa scordare la prioritaria necessità di ascoltare comunque l’altro. O, semplicemente, di tacere per poter sentire la voce di Dio». Scorrendo i dodici « scalini » che la Regola propone per la conquista dell’umiltà, al nono posto si trova il precetto per cui «il monaco parla solo quando è interrogato » . L’ascolto è la prima forma di preghiera: « E naturalmente – conclude il priore – anche questo è uno strumento. Da praticare, analogamente a ogni altra regola, non come una rinuncia in sé: ma come un modo per vivere in modo migliore e più felici». Paolo Foschini