Emma Fattorini, Corriere della Sera, 21/04/2005, 21 aprile 2005
Benedetto XV, Corriere della Sera, 21/04/2005 Quando, dopo sapienti pause, in un crescendo di suspense è stato pronunciato il nome Joseph, e poi, dopo un’altra studiata attesa, è riecheggiato il nome Ratzinger, l’emozione della piazza non è stata di sorpresa
Benedetto XV, Corriere della Sera, 21/04/2005 Quando, dopo sapienti pause, in un crescendo di suspense è stato pronunciato il nome Joseph, e poi, dopo un’altra studiata attesa, è riecheggiato il nome Ratzinger, l’emozione della piazza non è stata di sorpresa. E’ un altro il nome che ha stupito, quello da lui prescelto: Benedetto XVI. Il nome. Tutti si sono letteralmente tuffati nelle prime, più evidenti, spiegazioni: S. Benedetto il santo protettore dell’Europa, quest’Europa che non è più capace di amarsi. Benedetto XV, il Papa dell’ inutile strage . Poi sono venute le spiegazioni più ragionate, che hanno cercato, come sempre, di appropriarsi fin da subito del pezzettino di Papa che più risulta vicino e congeniale a ciascuno. E cosi, per « i progressisti delusi » , il richiamo a Benedetto XV, indicherebbe una centralità della pace, per altri la conciliazione tra modernisti e intransigenti, dopo il pontificato di Pio X , grande fustigatore dei modernisti. Altri hanno sottolineato la promulgazione del sospirato Codex iuris canonici del 1917, il nuovo diritto canonico che valorizzava gli episcopati nazionali. Un Papa vitale per la chiesa novecentesca eppure dal profilo minimalista. Non si è notato, invece, il fatto che Benedetto XV sia stato un Papa molto amato dalla Germania e dai cattolici tedeschi. Nel suo sofferto e difficilissimo tentativo di fare uscire la S. Sede dall’isolamento internazionale spostò l’asse della diplomazia vaticana dalla fedele e cattolica Austria alla luciferina e protestante Germania. Con le prestigiose nunziature prima di Monaco di Baviera e poi di Berlino, cui mise a capo, a partire dall’agosto del 1917, il nunzio Eugenio Pacelli, quel futuro Pio XII, che sarà in assoluto il Papa più amato dai tedeschi ma dal quale probabilmente sarebbe stato troppo imbarazzante prendere il nome. Benedetto XV, discepolo di quel cardinale Rampolla, che proprio dalla Austria subì l’ultimo veto in Conclave e che tentò un avvicinamento ai modernisti, contribuì allo spostamento dell’asse non solo diplomatico ( dall’Austria Ungheria verso la Germania), ma anche di quello culturale e politico della Chiesa. Dal rassicurante e compatto universo cattolico, la Chiesa era ora costretta, in posizione di minoranza, al confronto con il mondo protestante. In un quadro che non era più quello del confortante assetto dinastico ma quello dei tormenti della democrazia, minacciata, oltre tutto, dalla nascita del nuovo lucifero, la rivoluzione bolscevica. Benedetto XV evoca anche un pontificato breve, ( dal 1914 al 1922) di transizione, eppure decisivo. Importante , quanto poco conosciuto e per lungo tempo sottovalutato è considerato ora, dagli storici più avvertiti, un passaggio fondamentale di quello snodo novecentesco rappresentato dalla prima guerra mondiale, evento da cui ha davvero inizio, il secolo breve . Cesura fondamentale anche per la chiesa novecentesca. Il mito della Grande Guerra, « apocalisse della modernità » si fonda sull’idea di un evento sacro salvifico che in Germania era vissuto in senso letterale. Come assoluta identificazione tra fede nazionale e fede cristiana: « Mentre i francesi combattevano contro i tiranni – scrive Mosse – i tedeschi combattevano per la morale e la fede » . Negli scritti sulla guerra, composti tra il 1914 e il 1929, il filosofo cattolico più amato da Wojtyla, Max Scheler, « il Nietzsche cattolico » celebrava l’evento bellico come « un risvegliarsi metafisico dal cupo letargo di un plumbeo sonno » . Una corrente che si potrebbe dire « carolingia » ( e che poi confluirà nel nazismo) perché affidava al cattolicesimo e alla nazione il compito di realizzare l’unità politica dell’Europa, un binomio che era anche vissuto come occasione per purificare la stessa Chiesa cattolica dal suo universalismo, dalla sua prelazione latina. Lo statuto sopranazionale della Chiesa cattolica, sarà contestato anche da tanti cattolici che abbracceranno, per la prima volta, la loro specifica identità nazionale, trovando in essa le ragioni di una « guerra giusta » , per i cattolici europei, banco di prova della propria legittimazione nazionale. Soprattutto per il cattolicesimo tedesco diventa l’occasione ( e la tentazione) di superare la prelazione latina della Chiesa cattolica per tornare ad aspirare ad una egemonia spirituale europea. Quasi il vagheggiamento di sacri romani imperi, tra il bisogno di una rinnovata vocazione universalistica e la scoperta emozionante di un nuovo ruolo nazionale una volta che caduti gli Hohenzollern, appoggiati dai protestanti, i cattolici non si ritrovarono orfani e sconfitti come loro, ma protagonisti dei nuovi governi democratici della Repubblica di Weimar. E così i cattolici tedeschi esprimono al suo massimo la tensione tra rigenerazione della tradizione cristiana e sfide della modernità. Eletto appena un mese dopo lo scoppio della guerra, Benedetto XV, ingaggerà con essa un vero e proprio corpo a corpo: iniziative diplomatiche, imprese umanitarie, proposte di tregua, tentativi di composizione del conflitto. E’ l’orrore della sproporzione tra le tremende perdite umane e gli obiettivi militari ad ispirarlo, nei primi mesi del 1915, quando voleva evitare lo scontro tra l’Italia e l’Impero degli Asburgo e che lo porterà dopo tante iniziative concrete alla famosa Nota di pace ai capi dei popoli belligeranti del 1 ? agosto 1917 che termina con il noto appello a porre fine alla « lotta terribile che si rivela sempre più un’inutile strage » . Criticato e attaccato, Giacomo Della Chiesa dovette misurare l’esiguità dei mezzi e delle possibilità della Santa Sede di fronte ai nazionalismi più accesi che vedevano persino i cattolici, gli uni contro gli altri armati, a seconda delle rispettive appartenenze nazionali. Gli archivi vaticani sono ricchi di documentazione sulle vicende avventurose che dovevano affrontare gli inviati del Papa che sbarcavano senza riconoscimenti e strutture nei paesi più lontani. Sia gli Imperi centrali, sia i Governi dell’Intesa erano solo interessati a tirare il Vaticano dalla propria parte. Proseguendo il cammino tracciato da Leone XIII, inascoltato e strumentalizzato dalle varie potenze, il Pontefice lascia però in eredità una consapevole « debolezza » : dalla « debolezza » politica posteriore al 1870 si era sviluppata nella Santa Sede una autorità internazionale nuova, finalizzata ad un ruolo di pacificazione nelle controversie internazionali e anche extraeuropeo, basti pensare alle missioni che vengono rese autonome dalle influenze delle potenze coloniali e all’avvio del rapporto con la Cina. Giacomo Della Chiesa trasforma questa debolezza in una autorevolezza morale. Benedetto XV pone come fondamento delle relazioni internazionali « la forza del diritto e non le ragioni della forza » . Sono linee che, passando per Pio XII, arriveranno alla Pacem in terris di Giovanni XXIII ( « è contro ogni ragione che nell’era atomica la guerra sia utilizzata come strumento di giustizia » ) o di Giovanni Paolo II ( « la guerra è sempre una sconfitta per l’umanità » ) . Nel suo primo discorso, Benedetto XVI ha fatto suo il motto: In Te, Domine, speravi; non confundar in aeterno! Una frase del Te Deum , molto cara a Benedetto XV, scritta anche sotto il suo stemma. Diplomatico di carriera, che teneva testa ai potenti delle nazioni, affidava questa forza solo all’intervento di Dio. Nel recitare questa frase il nuovo Papa non ne ha dichiarata la provenienza. A noi capire quante e profonde siano le ragioni per cui il bavarese Ratzinger ha scelto di chiamarsi Benedetto. Emma Fattorini