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 2005  aprile 24 Domenica calendario

L’hostess Ulrike eroe normale sul volo della paura, La Repubblica, 24/04/2005 La santa patrona delle hostess di tutti i cieli si chiama Ulrike (detta Uli) Dickerson

L’hostess Ulrike eroe normale sul volo della paura, La Repubblica, 24/04/2005 La santa patrona delle hostess di tutti i cieli si chiama Ulrike (detta Uli) Dickerson. Durante un lungo dirottamento avvenuto vent´anni fa sopra il Medio Oriente salvò qualche passeggero dalla morte e se stessa dal matrimonio con un terrorista musulmano. Successivamente, non potè salvarsi dal sospetto, dai traumi di un´azione più grande della vita, dall´ineluttabilità del dolore. Uli (1945-2005) nacque in Cecoslovacchia e crebbe nella Germania orientale. Visse l´infanzia tra macerie, ricordi di guerra e uomini feroci. Appena potè emigrò in America per lasciarsi alle spalle un passato che non le apparteneva. La sua Samarcanda l´aspettava all´imbarco una mattina di giugno (il 14) del 1985, ad Atene. Il volo 847 della Twa era diretto a Roma e trasportava 152 passeggeri. Non c´era un posto libero. Uli faceva parte dell´equipaggio. Quel lavoro era una delle cose che l´America le aveva dato. Le altre erano un marito di nome Russell, pilota Twa in pensione, un bambino di nome Matthew e una casa da telefilm nel New Jersey. Uli parlava quattro lingue, aveva un carattere deciso, nessuna fede religiosa. Notava tutto e non passava inosservata. Camminò tra le file della classe economica, lesse le solite istruzioni per l´uso della sciagura che nessuno ascolta mai veramente, tirò la tendina e scomparve. Il cielo era sereno, il volo breve, giusto il tempo di servire qualche bevanda. Un calcio fece volare il vassoio prima di colpirla in pieno petto. Cadde a terra e fu colpita ancora, e ancora, ai fianchi, alla testa. Trenta ore più tardi, Mohamed Ali Hamadi, l´uomo che la stava picchiando, affascinato dalla sua personalità dominante, le avrebbe chiesto di sposarla. Per il momento la strattonò, rimettendola in piedi, e la trascinò verso la cabina di comando. Il suo complice teneva in mano una granata pronta a esplodere e stava abbattendo la porta che li separava dai piloti. Urlando in arabo e puntando pistole alla testa fecero capire una sola parola: «Beirut». Lì volevano dirottare l´aereo. Nessuno dei due terroristi parlava inglese. Francese? Zero. Uli tentò, senza speranze, il tedesco. Lo sciagurato che l´aveva presa a calci sorprendentemente rispose. Era l´inizio di un rapporto, di un´odissea durata 55 ore (più 17 giorni), della leggenda e della maledizione di Uli. Hamadi la nominò interprete delle sue volontà. Uli accettò, «a una condizione». Lui la guardò stupito: non era quel che da una donna si aspettava. «Quando arriviamo a Beirut fate scendere i bambini e le donne». «Solo le vecchie». «Va bene». Ottenne le prime 19 vite. Poi l´aereo fu fatto ripartire per Algeri. «Adesso devi comunicare le nostre richieste. Siamo libanesi e vogliamo i settecento prigionieri detenuti da Israele. O ammazziamo i passeggeri. Vai di là e prendi tutti i passaporti, poi fai due pile, in una metti gli ebrei, cominceremo da loro». Uli obbedì, in apparenza. I viaggiatori erano, da ore, con la testa tra le ginocchia e le mani sopra, in quella che fu poi chiamata «la posizione 847». Lei raccolse i documenti e tornò oltre la tendina. Non fece alcuna spartizione. «Nel passaporto non si dichiara la religione», spiegò. «Capiscilo dai cognomi». Lei bluffò ancora. Continuò a rimescolare i primi della pila finché il terrorista si spazientì, ci mise le sue mani e individuò, se non altro, tre americani, per di più soldati: Stethem, Suggs e Carlson. Lo prese un´esaltazione infantile. Si fece dare il rossetto di Uli e scrisse per tutte le pareti dell´aereo morte agli Usa, tutto l´inglese che sapeva. Ad Algeri chiesero di fare rifornimento. In un ridicolo negoziato, le autorità locali pretesero il pagamento del carburante. I terroristi minacciarono di saldare con qualche vita. Uli estrasse la sua carta di credito Shell e fece il pieno. Il conto, seimila dollari, le arrivò a casa. Se ne occupò la Twa. Decollarono di nuovo e di nuovo verso Beirut. Era un andirivieni senza senso né speranza. Israele respinse il ricatto. Hamadi, infuriato, svelse il bracciolo di una poltrona e lo usò per picchiare i tre americani. La cosa sembrò placarlo. Sedette accanto a Uli, nell´oscurità. Non dormivano da ore, lei giocò l´ultima carta: si mise a cantare una ninna nanna in tedesco, sperando di fargli chiudere gli occhi e prendergli la pistola. Lui abbassò appena le palpebre e si concesse un sogno, ma a occhi aperti: «Quando avremo vinto questa battaglia voglio che tu venga via con me, sei straordinaria, sarai la mia donna, lotteremo insieme». Fu l´unico momento in cui a Uli venne da piangere, l´unico destino a cui le parve preferibile la morte. Il terrorista vide le sue lacrime e si riscosse. Si alzò in piedi, andò verso i tre americani. Quando atterrarono a Beirut appoggiò la pistola alla testa del soldato Stethem e gli sparò. Il cadavere fu gettato sulla pista dell´aeroporto. Poi si lanciò verso gli altri due, arma alla mano. Uli si frappose tra lui e le vittime designate. «Basta!», ordinò. L´uomo abbassò la pistola. Fu il suo regalo d´addio. Sull´aereo vennero fatti salire altri terroristi islamici e via verso Algeri, stavolta in assoluto silenzio. All´arrivo fu deciso il rilascio dell´equipaggio e di tutti i passeggeri, tranne i 39 di nazionalità americana. Il volo 847 rimbalzò di nuovo a Beirut dove rimase per 17 giorni, finché gli ostaggi furono scambiati con 31 prigionieri. A quel punto Uli era già fuori della storia e dentro un personale incubo: venne accusata di complicità con i terroristi, di aver scelto chi far scendere, di aver penalizzato americani ed ebrei. Dovette aspettare la testimonianza dei rilasciati per ottenere giustizia. Ma quando quelli ammisero di doverle la vita, ricevette minacce dai neonazisti d´America. Si trasferì dal New Jersey all´Arizona. L´ufficiale Kurt Carlson, al quale fece scudo, mantenne i contatti al telefono: «Di tutti noi, era la più traumatizzata». Continuò a fare la hostess, tuttavia. Twa fallì, passò a Delta. Divenne, anche, consulente per le situazioni d´emergenza. L´11 settembre 2001 era sullo Shuttle tra Washington e New York. Raccontò a Carlson che soltanto quella tragedia le consentì di venire a patti con la sua esperienza, ammettere l´esistenza di un male peggiore. A quel punto, perse il marito e le fu diagnosticato un cancro. È morta a Tucson nel febbraio scorso. Hamadi sconta in Germania l´ergastolo per l´omicidio del soldato Stethem. Per inchiodarlo con la sua testimonianza Uli prese l´ultimo volo per l´Europa. Non ha mai risposto alle sue lettere dal carcere. Gabriele Romagnoli