Arturo Zampaglione, La Repubblica, 24/04/2005, 24 aprile 2005
Mestieri moderni: hostess, La Repubblica, 24/04/2005 Il rito dell´ipocrisia e del rimpianto si celebra ogni giorno in migliaia di aeroporti del mondo
Mestieri moderni: hostess, La Repubblica, 24/04/2005 Il rito dell´ipocrisia e del rimpianto si celebra ogni giorno in migliaia di aeroporti del mondo. Al momento di scendere dal Boeing o dall´Airbus, dopo un tragitto tanto scomodo quanto stressante, gli occhi dell´assistente di volo e del passeggero si incrociano per un attimo: «Grazie», «merci», «thank you», «arigato gozaimas». E abbozzano un sorriso. In realtà, frastornata dal jet-lag, stanca per avere trascinato su e giù il carrello delle bevande che pesa più di un quintale, irritata dalle richieste bizzarre e dai commenti impertinenti, l´assistente di volo non vede l´ora di liberarsi del passeggero. Segretamente lo disprezza, specie quello di classe economica, che viaggia a prezzi stracciati e pretende - chissà perché? - un servizio a cinque stelle. E a sua volta il passeggero rimpiange, come milioni di altri dannati del trasporto aereo, i «bei vecchi tempi», quando le hostess si chiamavano hostess, ed erano belle, giovani, cortesi, eleganti, servizievoli e magari disponibili a una avventura. Un mondo esclusivo Il mito delle hostess è duro a morire, anche perché è intrecciato a doppio filo con la storia dell´aviazione civile, come ricorda una mostra di fotografie, divise e altri cimeli storici organizzata nell´aeroporto internazionale di San Francisco per festeggiare i tre quarti di secolo della professione. In una foto della mostra si vede una ragazza affacciarsi dal portello di un bimotore cromato. Indossa uno strano mantello e una gonna che le arriva quasi al polpaccio. Si chiama Ellen Church. E sono passati esattamente 75 anni - il compleanno è a metà maggio - da quando la United airlines la assunse per la rotta Chicago-Oakland. La Church, che oggi avrebbe 100 anni, fu la prima sky girl (ragazza dei cieli). A quei tempi, e fino agli anni Sessanta, erano in pochi a potersi permettere le altissime tariffe degli aerei ad elica. Viaggiavano soprattutto vip e uomini d´affari, trattati con vassoi di Beluga e calici di Moët-Chandon. Diventare una hostess (o stewardess) significava entrare in questo mondo esclusivo, fascinoso, chic. Di qui l´effetto-calamita per migliaia di belle ragazze, che si sottoponevano a una dura selezione (un posto ogni duecento candidate) e a un faticoso addestramento, pur di indossare la divisa. Le prescelte erano sempre le più carine e simpatiche, dovevano già avere una professione, aver compiuto almeno 21 anni, non potevano sposarsi, pena il licenziamento, e a 32 venivano mandate via senza tanti complimenti. I regolamenti erano severissimi: fisico slanciato, pettinatura perfetta, unghie smaltate, divisa impeccabile e sorriso onnipresente. Il clima cominciò a cambiare nei primi anni Sessanta per effetto della crescente concorrenza nei cieli. Per attrarre il pubblico maschile, le compagnie aeree pubblicizzavano, senza farsi troppi scrupoli, le loro hostess come donne moderne, sexy, emancipate. In compenso, anche per non allarmare i passeggeri, veniva passata sotto silenzio la loro funzione per la sicurezza del volo. Furono assoldati celebri stilisti, a cominciare da Emilio Pucci e Valentino, per concepire divise sgargianti (blu o rosa shocking), avveniristiche (con una visiera sferoidale tipo astronauta), o magari anche di carta, tipo usa-e-getta, come quella della britannica Boac. «Fly me», Vola con me, dicevano (e promettevano) le protagoniste maliziose di uno spot della americana National, mentre la Braniff international lanciò la moda dell´"air-strip", del semi-spogliarello d´alta quota. Alle hostess veniva richiesto di cambiarsi abito subito dopo il decollo. «Si fece strada l´idea che i manager avessero un vero e proprio diritto a essere coccolati durante il volo da una donna carina e compiacente», spiega Kathleen Brown, che all´università di Cambridge studia la sociologia del trasporto aereo. Nell´immaginario collettivo la figura della hostess si avvicinava sempre più a quella della coniglietta di Playboy. E un libro pubblicato nel 1967 da Trudy Baker e Rachel Jones - Caffè, tè o me? - ha codificato questo stereotipo. Prima i movimenti femministi, poi la deregulation del trasporto aereo portarono a una svolta. Le hostess scesero in piazza perché non volevano più essere considerate un «oggetto sessuale». Tra le più agguerrite, Patricia Ireland, che lavorò per sette anni sui voli PanAm prima di diventare presidente della Now (National organization for women). «Ero laureata, parlavo tre lingue, ero in grado di far partorire una donna a diecimila metri d´altezza», ricorda la Ireland. «Ma il marketing si concentrava sul nostro sorriso e le nostre gambe. Ed era inevitabile che qualche cliente provasse a toccarci, a palpeggiarci». La stagione dei dirottatori Nel 1970 ci fu poi la rivoluzione linguistica: le hostess furono ribattezzate "assistenti di volo". L´anno successivo, con l´assunzione dei primi uomini, venne infranto un altro tabù. Era anche la fase calda dei dirottamenti: gli assistenti di volo - uomini e soprattutto donne - si ritrovarono sulla linea del fuoco. «Eravamo noi ad affrontare per primi i dirottatori», ricorda T. C. Roberson, coinvolta in un brutto incidente a Oklahoma City nel 1971. «Dovevamo cercare di calmarli, di isolarli, proteggendo al tempo stesso i passeggeri». La carriera, insomma, aveva già preso una piega ben diversa da quella originaria. E i mutamenti furono accelerati nel 1986 dalla deregulation reaganiana, che portò alla liberalizzazione delle tariffe e all´esplosione del traffico aereo. Incapaci di reggere la concorrenza, molte compagnie chiusero i battenti, licenziando i dipendenti. Per ridurre i costi, gli stipendi delle assistenti di volo subirono uno stop. Intanto gli aerei diventavano più capienti, specie in classe economica, con un aggravio del lavoro di cabina. Nel 1978 lo sciopero duro degli assistenti di volo della PanAm, durato ben 72 giorni, sancì il mutamento dell´immagine professionale e dei rapporti interpersonali sugli aerei di linea. Sia i passeggeri che le dirette interessate capirono - non senza rimpianti - che i tempi romantici e a volte birichini delle sky-girls, delle ragazze del cielo, erano finiti per sempre. Chi viaggiava, si sarebbe accontentato del servizio anonimo e sbrigativo delle waitress in the sky, le cameriere del cielo, dal titolo non lusinghiero della canzone dei Replacements. E da allora in poi le ex-hostess avrebbero nascosto montagne di frustrazioni dietro all´ipocrisia di un sorriso. Arturo Zampaglione