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 2005  aprile 23 Sabato calendario

Fratelli De Rege, ttL de La Stampa, 23/04/2005 I copioni dei Fratelli De Rege non cominciano con la battuta: «Vieni avanti, cretino!»; e nemmeno risuona, quella battuta, nelle otto registrazioni sopravvissute a testimonianza dei loro sketch

Fratelli De Rege, ttL de La Stampa, 23/04/2005 I copioni dei Fratelli De Rege non cominciano con la battuta: «Vieni avanti, cretino!»; e nemmeno risuona, quella battuta, nelle otto registrazioni sopravvissute a testimonianza dei loro sketch. Eppure è con quell’esclamazione che sono rimasti abbarbicati alla comune memoria: era destino che la loro vita e la loro arte si trasformassero in leggenda e, come ogni leggenda, anche quella dei Fratelli De Rege ha i contorni molto confusi. Dunque, vediamo quello che si sa per certo: Guido (la spalla) e Giorgio (il comico, il cretino, insomma, che tutti chiamavano Ciccio) di cognome facevano De Rege di Donato di San Raffaele e nacquero negli ultimissimi anni dell’Ottocento a Casagiove, dalle parti di Caserta, dove il padre Alessandro era militare di carriera (forse nell’Esercito, forse nei Carabinieri) al seguito del Conte di Torino che risiedeva alla Reggia. Insomma, erano rampolli di una famiglia nobile piemontese, ben introdotta in casa Savoia: i loro zii e i loro cugini (come i loro avi) erano tutti o ufficiali o diplomatici. Sicché anche i due futuri comici dovevano entrare in diplomazia: si sa che Ciccio fece da interprete e accompagnatore di Cicerin, ministro per gli Esteri di Lenin alla Conferenza di Genova del 1922 (quella che sbloccò l’isolamento internazionale della giovane Unione Sovietica). Nel senso che Cicerin, il ministro comunista, era figlio di un ex ambasciatore dello Zar Nicola II presso casa Savoia, amico di famiglia dei De Rege di Donato di San Raffaele. Ma i due De Rege non erano portati né per l’aristocrazia né per la diplomazia né per l’esercito: il più grande, Guido, abbandonò la famiglia e già a metà degli Anni Venti si mise a fare l’attore brillante nella compagnia di Guido Di Napoli (nome d’arte di Giulio Trevisani), un impresario teatrale bizzarro, mezzo comunista, fondatore del primo sindacato di attori e di una Siae alternativa, nonché futuro committente del Federico Fellini autore di rivista. Invece Ciccio aspettò qualche altro anno prima di entrare in arte e capitò come in una favola. Assunto quale macchinista e suggeritore nella compagnia del fratello, Ciccio dovette sostituire all’improvviso un attore malato; non voleva entrare in scena perché aveva paura e diceva di non sapere la parte (falso: i suggeritori sanno tutte le parti a memoria, ovviamente), ma alla fine si presentò in scena e per l’emozione balbettò le sue battute. Il pubblico, a quella balbuzie, si sbellicò dalle risate e il giorno dopo Guido si licenziò dalla compagnia per fare coppia fissa con il fratello: così nacque l’incipit «Vieni avanti, cretino!». Che altro si sa dei De Rege? Intanto che furono ripudiati (e diseredati) dalla famiglia: come si possono tollerare due comici, pure di successo, tra nobili ufficiali e diplomatici? Loro tirarono dritto e mantennero rapporti con la famiglia solo attraverso la sorella Nene, pittrice stravagante e di un certo talento. D’altro canto, la loro fortuna teatrale non conobbe soste: lungo tutti gli Anni Trenta furono di gran lunga i più apprezzati comici della Rivista italiana. Strapagati, coccolati e amati da tutti malgrado alcune loro stravaganze. Per dirne una, Guido girava armato: chi dice una pistola, chi dice una mitraglietta, comunque sempre armato. E poi sua moglie, un’ex ballerina, voleva stare sempre in camerino durante le esibizioni del marito con accanto a sé un cane piccolo, noioso e rumoroso. Già, perché i De Rege vivevano in tre: Guido, Ciccio e la moglie di Guido. Anzi, in quattro: col cane. Vissero in quattro fino all’otto settembre del 1943, quando l’armistizio separò due coppie: la moglie di Guido e il cane a Roma, in una casa bella comprata con i risparmi accomulati a forza di «Vieni avanti, cretino!»; Guido e Ciccio a Milano, in una misera pensione affacciata su piazza Duomo. Lì, in quella pensione, Guido morì nel marzo del 1945 per un’infezione ai polmoni che la penicillina degli americani un paio di mesi dopo avrebbe potuto sconfiggere. Ciccio rimase accanto al fratello fino alla fine, ma non rinunciò a impegnarsi attivamente nella Resistenza milanese, come testimoniò qualche anno fa il vecchio medico che aveva in cura Guido. Poi? Poi, rimasto solo, Ciccio perse la vena ma dovette tornare a teatro per campare: quale spalla ebbe fra gli altri anche Carlo Dapporto, ma la nuova coppia non funzionò e il povero comico morì, in camerino, al teatro Reposi di Torino dopo aver avuto un infarto in palcoscenico; come Molière e Petito, insomma. Era il 1948. Nessuno sa dove sia sepolto, mentre è probabile che le spoglie mortali del fratello siano finite all’ossario di Milano nei giorni convulsi della Liberazione. Di loro non si sa altro di certo e a testimonianza del loro genio restano otto sketch registrati dalla radio negli Anni Trenta, due fotografie, la partecipazione del solo Ciccio ai film Non ti pago! e Casanova farebbe così con i fratelli De Filippo e alcuni abbozzi di copioni conservati presso l’Archivio centrale dello Stato di Roma nel Fondo Censura Teatrale del ministero della Cultura popolare. A essere sinceri c’è anche un altro documento, un film; ma è un’altra favola. Sommariamente: è l’unica copia esistente de Gli allegri masnadieri, un film girato da tutti e due i De Rege nel 1937. Fu ritrovata nel 1998 dai militari italiani in un magazzino di Tirana: ora è alla Cineteca di Bologna e aspetta di essere restaurata. Semmai lo sarà. Il segreto del loro successo è semplice come tutte le cose geniali: Guido, la spalla, era cattivo e aggressivo; Ciccio, il balbuziente, era sciocco, non capiva le provocazioni della spalla, storpiava le parole... ma alla fine con un colpo di genio rivoltava la faccenda e dava l’impressione di aver capito tutto grazie a una sua logica pazza e popolare. In un certo senso, i loro sketch inscenavano la rivalsa del «povero sciocco» sui poteri prevaricanti; la rivalsa della genialità convulsa e popolare sulle regole astruse. Questo improvviso rovesciamento di senso è ben visibile anche nei frammenti inediti che qui a lato in parte pubblichiamo e che fanno parte di un copione intitolato L’avvelenato sono io presentato all’ufficio di censura del regime fascista nel dicembre del 1937. Ci sono appunti, dialoghi, qualche sketch e un vero e proprio canovaccio alla maniera della Commedia dell’Arte: materiale polveroso, ma sufficiente a immaginare l’allegra genialità di un uomo alto e elegante che entrava in scena lentamente e subito, guardando verso la quinta, chiamava a sé un uomo stropicciato, con il naso finto in mezzo alla faccia. E proprio allora, esclamava: «Vieni avanti, cretino!». Nicola Fano