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 2005  aprile 25 Lunedì calendario

VOLTOLINA Carla Torino 14 giugno 1921, 6 dicembre 2005 • «[...] moglie di Sandro Pertini col quale ha condiviso 50 anni di amore e di battaglie politiche

VOLTOLINA Carla Torino 14 giugno 1921, 6 dicembre 2005 • «[...] moglie di Sandro Pertini col quale ha condiviso 50 anni di amore e di battaglie politiche. Malgrado la forte differenza di età, entrambi erano persone di un altro tempo, un tempo in cui la parola ”impegno” aveva ancora un senso forte, capace di segnare un’intera vita. Si erano conosciuti nel 1944 a Torino, la sua città natale. Lui già eroe antifascista, protagonista di avventure rocambolesche, condannato più volte dal regime per la sua militanza nel Partito Socialista, sottrattosi alla cattura, rifugiato a Milano e poi in Francia, arrestato di nuovo in Italia dove aveva scontato 11 anni tra reclusione e confino, riarrestato, era appena evaso dal carcere insieme a Giuseppe Saragat e dirigeva la lotta partigiana. Lei giovane staffetta, attiva prima a Torino poi nelle Marche dove era stata arrestata durante un rastrellamento delle SS e fatta evadere dal medico del reparto, poi a Roma e a Milano. Lui sarà insignito della medaglia D’Oro, lei sarà iscritta al Distretto militare di Roma come combattente decorata con la Croce di Guerra. Fu subito amore, malgrado i 25 anni di età che li separavano. Si sposano nel 1946, quando lui è segretario dello Psiup e deputato all’Assemblea Costituente. Un matrimonio in cui passione e comunanza di vita a due sono cementati dall’impegno ideale e politico di ciascuno. Carla Voltolina è giornalista dal ’45 e ha due lauree, in Scienze Politiche e Psicologia. Collabora a ”Il Lavoro” di Genova, poi, come giornalista parlamentare, a ”Noi Donne”, la rivista dell’Udi, l’Unione Donne Italiane in cui militano donne del Pci e del Psi, antesignana del movimento femminista degli anni a venire. Pubblica inchieste sulle carceri, sugli anziani, sulla prostituzione e su questo tema nel 1955 scrive anche un libro (Lettere dalle case chiuse) insieme a Lina Merlin. Contrassegnato dall’impegno sociale è anche il suo lavoro di psicologa. A Roma, al Servizio creato dal Policlinico Gemelli e all’Ente Ospedaliero di Monteverde, si occupa di alcolismo e farmacodipendenza, prima di fare la psicoterapeuta volontaria in un quartiere popolare di Firenze col professor Andrea Devoto e a Prato, che nel ’99 le consegnerà le chiavi della città. Ma Voltolina è e resta una donna schiva, restia agli omaggi, alle cariche, alle onorificienze e a tutto quel che sa di potere. Anticonformista, soprattutto. Quanto Pertini ormai capo dello Stato ama essere elegantissimo e attento all’etichetta (al punto che il 10 luglio 1979 rimandò a casa Bettino Craxi salito al Quirinale per ricevere l’incarico di presidente del Consiglio perchè si era presentato in bluejeans), tanto lei continua a verstirsi in modo semplice, quasi dimesso. Rifiutando il ruolo di first lady al punto di non spostare nemmeno la sua dimora al Quirinale. Continuò a restare nella casa di piazza Trevi dove Pertini la raggiungeva spesso la sera e dove è morta ieri. Una casa zeppa di quadri di pittori del Novecento di cui il marito era amante e conoscitore. Ma piena anche di fotografie di Pertini ritratto mentre tiene comizi o parla alla gente, foto che lei a volte regalava agli ospiti con una dedica» (’La Stampa” 7/12/2005). «Carla Voltolina, ovvero l’antiretorica fatta moglie di un personaggio come Sandro Pertini. Dal febbraio 1990, quando il suo mondo s’era sfigurato per sempre con la morte di quell’uomo, aveva scelto uno slogan che ripeteva alle cerimonie o agli incontri con i ragazzi delle nuove generazioni: ”Che volete che dica ancora? Sandro è stato per me un grande amore, un grande maestro, un grande socialista”. Ancora più completa una definizione affidata a Mario Capanna, che la raccoglie e la scrive su Sette nel settembre 1996: ”Un uomo affascinante, educato, forte, altruista, generoso, mai una slealtà. Un grande amore. Un grande compagno”. Un solo aggettivo per espressioni diverse: grande. Conosce Pertini nel 1944 a Torino e lo sposa l’8 giugno 1946. Lui le ha insegnato (ancora Capanna) a ”dissentire ma con educazione”. Sarebbe ingeneroso ridurre la sua personale storia di vita a quel patto matrimoniale. Alta, bruna, una bellezza da foto Luxardo, gran temperamento, eccellente nuotatrice, nasce a Torino nel 1921 da una famiglia borghese. Insomma, impossibile non notarla. Diventa staffetta partigiana nella sua città (dove conosce Sandro e i 25 anni di differenza non ostacolano un amore lungo quasi mezzo secolo) poi nelle Marche, dove viene arrestata dalle SS, a Roma (accanto a Eugenio Colorni) e a Milano. Due lauree (Scienze politiche e Psicologia), lunghe collaborazioni a ”Il lavoro” di Genova e a ”Noi donne”: inchieste sulle carceri, sulle prostitute, sugli anziani. Per le edizioni de L’avanti pubblica con Lina Merlin il volume Lettere dalle case chiuse, in pieno appoggio all’’abolizione della prostituzione organizzata. Quindi il lungo impegno come psicologa nei servizi romani di farmacodipendenza, alcolismo e cura psichiatrica. A tutto questo, cioè tantissimo, occorre aggiungere la vita di Carla Pertini, come non si è mai fatta chiamare davvero. A lei, di quello specialissimo lui, per prima cosa piace la voce. Il legame diventa d’acciaio (’lui mi ha amato moltissimo, certo. Ma anch’io l’ho amato. Forse di più”) cementato da mille interessi comuni. Ovviamente la passione politica, la fede socialista. La pittura e l’amicizia con tanti artisti: Guttuso, Vedova, Turcato, Manzù. Il teatro: li incontravi spesso, a Roma, lui con la pipa spenta tra i denti e lei nelle sue indicibili toilettes, famoso fu un suo smoking da uomo (pantaloni, cravatta nera, fascia) indossato a una prima all’Argentina. La presidenza della Camera non modifica i loro ritmi. Ogni tanto la vita pubblica irrompe nella privata. Capita dopo l’uccisione di Moro, due mesi prima di arrivare al Quirinale: ”Se le Br mi rapissero, considerate falsi ed estorti i miei eventuali scritti”, scrive alla moglie, l’unica di cui si fida davvero. Ma nemmeno la presidenza della Repubblica altera un equilibrio assai strano per i riti e le ambizioni della politica italiana. Lei affida la promessa a un’indiscrezione lasciata circolare senza fatica di smentite (’io al Quirinale? mai e poi mai”). E resta al suo posto: il lavoro in ospedale tra i drogati e gli alcolizzati, la sera nella mansarda accanto a Fontana di Trevi, un cunicolo di stanzette, un bagnetto ricavato, un angolo cottura ma con la libertà di vista sui tetti di Roma. Lei chiama il Quirinale ”quel lavoro lì” e si lamenta di vederlo troppo poco, lui non le chiede mai un impegno da First Lady. Solo una volta lei lo accompagna in Cina per curiosità, dice, e anche per seguire una terapia dell’agopuntore professor Wu. Diventa amica di Juan Carlos di Spagna e di altri potenti ma senza obbligo di banchetti e di brindisi. Poi Sandro nel 1984 torna a casa, i due festeggiano con un pranzetto solitario in campagna. Passano altri sei anni tranquilli. Infine nel febbraio 1990 lui muore battendo la testa in bagno dopo uno scivolone. L’antiretorica torna nelle immagini che la ritraggono mentre accompagna la bara al crematorio romano. Un addio con un cenno della mano destra. Poi l’urna stretta tra le braccia. Gli ultimi quindici anni registrano una Carla Voltolina impegnata a raccontare il suo Sandro. Ne parla sempre al presente (’Sandro dice, Sandro vuole...”). Nel novembre 1992 il missino Giulio Caradonna chiede di sapere che fine abbiano fatto i quadri che gli regalarono da presidente. E lei: ”Caradonna, imbecille, bastava informarsi, tutto è custodito al museo Pertini di Savona”. Decide di affrontare i capelli bianchi tingendoli di rosso tiziano. Si amareggia per Tangentopoli che travolge il suo Psi: ”Io sto dalla parte dei giudici, facciano pulizia, vadano fino in fondo. I ladri vanno puniti. Lo dice anche il settimo comandamento”. Regala la pipa di Pertini a Bruno Trentin segretario della Cgil. Ogni tanto affida a una tintoria un vecchio abito del marito custodito in armadio: ”L’ho fatto rimettere a posto, qui vicino c’è un signore che se la passa male, oggi glielo regalo”. L’estremo bagno di folla, lei che non ne aveva mai avuti [...] quando Ciampi la saluta in piazza Duomo a Milano ”a nome di tutti gli italiani”, la piazza l’applaude e lei si commuove. [...]» (Paolo Conti, ”Corriere della Sera” 7/12/2005). «’Facciamo così: se ti eleggono presidente, io me ne vado in Francia, e ci rivediamo quando finisci il settennato”. Non aveva l’aria di una che scherza, Carla Voltolina, quando lesse sul giornale che suo marito - Sandro Pertini - era tra i favoriti per il Quirinale. Era felice, certo, che il suo Sandro concludesse sul Colle la sua carriera politica, ma la domanda che sin dal primo momento cominciò a rimbalzarle nella testa riguardava lei, cioè i sette anni che avrebbe dovuto attraversare come moglie del Presidente. Come ”first lady”. Pertini conobbe la risposta a quella domanda prima ancora di sapere che era stato eletto: ”Io non verrò mai al Quirinale, Sandro”. E così fu. Di Carla Voltolina maritata Pertini, per sette anni gli italiani non seppero pressoché nulla. Mai un’intervista, un’apparizione ufficiale, un discorso pubblico. Rifiutò persino la carica di presidentessa della Croce Rossa, per non essere chiamata ”presidentessa”. Spiegò: ”Penso che sia giusto che la mia persona non venga confusa con quella del Presidente. Gli italiani hanno eletto Sandro, non me. Io non c’entro niente. Per questo vivo cercando addirittura di non far sapere che sono la moglie del presidente della Repubblica. Sono la dottoressa Voltolina, e basta”. Neanche Pertini, si sa, dormì mai al Quirinale. La sera, scendeva per via della Dataria (le prime volte a piedi, poi con la Maserati blindata) e saliva nel suo attichetto di piazza Fontana di Trevi, piccolissimo appartamento in affitto. Non sempre trovava Carla, che per aumentare ancora di più la distanza di sicurezza dal cerimoniale s’era intanto trovata un lavoro a Firenze e faceva la vita del pendolare. Cominciando a trovare divertente anche il suo rendersi invisibile: ”A volte mi capita che qualcuno mi riconosca - raccontò una volta - ma io nego. Per esempio, l’altro giorno stavo facendo la fila per aspettare un taxi e dietro di me c’era una coppia. Ho sentito che lei diceva a lui: ’Ma questa signora qui davanti non è la moglie del presidente?’. Lui rispondeva: ’No, figurati se sta qui a fare la fila’. La donna, però, che è sempre la più curiosa, si avvicinò e mi chiese: ’Ma lei non è la signora Pertini?’. Io risposi: ’No, le assomiglio soltanto’. E fui contenta quando lei disse: ’Sì, è vero, a vederla da vicino lei è molto più giovane’”. Nata a Torino nel 1921, figlia di un ufficiale dell’esercito, Carla sarebbe forse diventata una campionessa di nuoto (aveva già vinto alcuni trofei, con la squadra allievi della Juventus) se non fosse scoppiata la guerra. Diventò invece una staffetta partigiana, per le formazioni Matteotti: ”Era bionda, bella, vistosa, molto poco clandestina” ricordavano i suoi compagni di allora. Una sera, il vicecomandante partigiano della piazza di Torino, Alfredo Fantino detto ”Carlo”, le chiese di partecipare a un incontro con un coraggioso socialista che era appena arrivato dalla Francia per entrare nel Comitato di Liberazione Nazionale. Quell’uomo era Sandro Pertini. Non si sa se la scintilla scoccò sin dalla prima sera, fatto sta che due anni dopo ci fu il matrimonio. Lui aveva 48 anni, lei 23. Fu lei a prendere la decisione. ”Io - spiegò più tardi Pertini - non volevo sposarla perché era troppo più giovane, e un fallimento matrimoniale sarebbe stato un dramma per me. Avrebbe incrinato la mia psiche per sempre. Carla è la mia unica fonte di serenità”. L’ex staffetta partigiana diventò giornalista (si firmava Carla Barberis, col cognome della madre) per ”Il Lavoro” di Genova, entrò nella redazione di ”Noi donne”, settimanale dell’Unione Donne Italiane, e condusse con la senatrice Lina Merlin una celebre inchiesta sulla prostituzione, ma cambiò lavoro quando il marito fu eletto presidente della Camera. Prese un’altra laurea, in scienze sociali, e si specializzò in psicologia. Così, quando Pertini salì al Quirinale, l’ex giornalista era diventata una volontaria nel reparto psichiatrico dell´ospedale Forlanini, servizio assistenza tossicomani. Per sette anni, pretese di restare nell’ombra. Di lei è rimasta l’immagine commovente di una vedova che stringe al cuore l’urna con le ceneri del marito. A lui, al suo uomo, alla difesa della sua memoria, Carla Voltolina ha appassionatamente dedicato gli ultimi anni. Ricordandolo nelle commemorazioni ufficiali, ma anche bloccando una fiction televisiva giudicata troppo ”macchiettistica”, e varando a Firenze la ”Fondazione Sandro Pertini” [...]» (Sebastiano Messina, ”la Repubblica” 7/12/2005). «[...] I nazifascisti occupavano ogni strada, ogni piazza. Sandro, che sarebbe poi diventato mio marito, nel ’45 con Leo Valiani e Luigi Longo fu tra gli organizzatori dell’insurrezione milanese. Ricordo che ci davano la caccia dappertutto, e se sono viva lo devo anche alle portinaie di Milano [...] Ci aiutavano, ci mettevano a disposizione dei nascondigli. Sono state donne di grande coraggio, donne rimaste anonime ma, in un certo senso, eroine [...] Io sono stata una staffetta partigiana. Prima a Torino, dove sono nata, poi nelle Marche, dove venni arrestata dalle SS, e poi a Roma e a Milano. Ma odiavo la violenza, non la sopportavo. Infatti non giravo armata [...] Studiavo alla Bocconi. Ero scappata da Torino perché là ormai ero troppo conosciuta. Sandro veniva in università, insegnava ai giovani l’importanza della libertà [...] stata una lotta incredibile. La notte si dormiva nello studio di un compagno avvocato, si chiamava... non mi ricordo... Ecco, si dormiva in questo studio, pancia a terra, dietro un’intercapedine o sotto la scrivania [...] Ancora oggi i nazifascisti mi appaiono negli incubi. Li vedo ancora lì, appostati sui tetti a sparare sulla gente che passa in strada. E mi torna sempre alla mente un ragazzo ucciso a fucilate, accanto me. Era già a terra, e quelli continuavano a sparare [...] Sandro sgridò i compagni che si accanivano sul cadavere di Mussolini. Lui che veniva da anni di torture e persecuzioni, aveva ancora la forza e la misura per rimproverare chi infieriva. Questo era Pertini [...]» (Paolo Berizzi, ”la Repubblica” 25/4/2005).