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 2005  aprile 24 Domenica calendario

Griffiths PhilipJones

• Rhuddlan (Gran Bretagna) 18 febbraio 1936, 18 marzo 2008. Fotografo. «I soldati lo chiamavano Benny Hill, perché li faceva ridere. Sotto le bombe, in mezzo alla giungla. Philip Jones Griffiths, gallese, membro della Magnum, e poi suo presidente, uno dei grandi fotoreporter del Vietnam, per sei anni ha seguito le truppe americane col grado ufficiale di maggiore in ogni missione, in ogni villaggio, in ogni buca. [...] Come fa un ragazzino di un paesino della campagna inglese a diventare a 27 anni un fotografo della Magnum? ”La vita era così noiosa dove vivevo: poi tutto, tutto ciò che vale, si fa con la passione. A 16 anni lessi su un giornale un’intervista a Robert Capa che parlava della Magnum: ricordo che m´entusiasmai perché diceva che l’agenzia si occupava anche della sua biancheria. La Magnum era un gruppo umanistico, con un’etica che affascinava un giovane comunista come me. Per entrare alla Magnum non basta fare belle foto, è la testa che conta [...] Tutti i media erano a favore della guerra, volevo far conoscere questo popolo di cui gli americani non sapevano nulla e che non capivano. E infatti la guerra lo ha dimostrato, i vietnamiti furono più intelligenti, studiavano il nemico giorno e notte: d’altra parte cosa diamine fai ad Hanoi tutto l’inverno? Capirono dell’America più di quanto capirono gli Americani stessi, li fecero vincere per due anni interi e poi, nel momento psicologicamente perfetto, quando gli americani pensavano che era finita, nel ”68 attaccarono l’Ambasciata. Io ero giovane, m’interessavano i meccanismi del potere, ma capii che o lavoravo come Tim Page, dell’Associated Press, con la speranza giorno per giorno che la tua foto finisse in prima pagina, o dovevo raccogliere pezzi, lentamente. Così raccontai la mia storia: l’attacco della potenza più tecnologica del mondo contro la popolazione più semplice del mondo. Quando il librò usci, non mi fu più permesso di tornare in Vietnam fino al ”76 [...] Sapevo che ero lì per i posteri. C’erano giorni in cui dovevo scegliere tra mangiare un piatto di riso e comprare un rullino. L’acqua con cui sviluppavo le foto era più pura di quella che bevevo. Non pensavo che ai negativi. Il difficile era capire come persuadere gli altri. Si può farlo in due modi: o scioccandoli, ma rischi di disgustarli, o accendendo la loro umanità. Ho sempre cercato il lato caustico della vita, in cui c’è l’orrore ma anche l’umanità. Ovviamente fotografavo gli attacchi, l’azione della guerra, ma erano le incongruenze che m’interessavano: il cecchino che s’annoiava alla finestra, il vietnamita che fa il bagno in un cratere lasciato da una bomba, il soldato che punta il fucile alla testa di un ragazzino di sei anni e poi gli dà un piatto di riso e una pacca sulla spalla”. [...] cita una frase del filosofo socialista Jean Baudrillard: ”La guerra fu vinta da entrambe le parti. I vietnamiti hanno riportato la vittoria politica, gli altri hanno fatto Apocalypse Now” [...] ”Ottima, era un bellissimo film.Coppola ha saputo cogliere perfettamente quel senso di follia che aveva invaso le truppe. La scena in cui Robert Duvall dà da bere ad un uomo che si tiene le budella colle mani è tratta da una mia foto, le battute sono prese dalla didascalia del libro. Dalla Magnum chiamarono Coppola chiedendo i diritti, era una specie di plagio. ”Fatemi causa’ rispose Coppola, e mise giù la cornetta [...] In guerra la verità emerge. Tesa tra la vita e la morte la gente si rivela, getta la maschera, e si mostra con un’onestà che non c’è altrove nella vita”» (Carlotta Mismetti Capua, ”la Repubblica” 24/4/2005).