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 2005  aprile 23 Sabato calendario

MOUSSAOUI Zacarias Saint-Jean-de-Luz (Francia) 30 maggio 1968. Terrorista • «[...] il ventesimo uomo dell’11 settembre, reo confesso [

MOUSSAOUI Zacarias Saint-Jean-de-Luz (Francia) 30 maggio 1968. Terrorista • «[...] il ventesimo uomo dell’11 settembre, reo confesso [...] un giovane francese che adorava i jeans e sognava gli eroi dei film americani [...] arrestato per la sua goffaggine, ha taciuto per un mese consentendo ai complici di trasformare in realtà la macchina infernale dell’11 settembre. Diventando assassino per omissione. Si sgomitola la giovinezza, madre di ferite spesso inguaribili: Mulhouse, poi Narbonne, la pigra provincia, una famiglia che arriva dal Marocco, scaglia dell’altra Francia, quella delle banlieu che s’arrangia di fronte alla richiesta categorica di integrazione. C’è una madre, sposa forzata a 14 anni, che decide di crescere quattro figli da sola e di farli diventare ”francesi” a tutti i costi. Non parla mai dell’islam, spesso davanti a loro getta in aria bestemmie scultoree su quel mondo. Il più piccolo l’ha chiamato Zacarias perché affascinata dai racconti dell’Antico Testamento, a suo modo anche quello uno schiaffo al passato. [...] Ha scritto invano a Chirac, ha pianto davanti alle tv americane, per convincere che quel figlio non c’entra con al Qaeda. poco. Forse qualcosa di più può rivelare il fratello, Abd Samad, avvinghiato alle sue certezze di integrazione riuscita, che ha scritto un libro per sfuggire ai rimorsi di aver perduto per strada quel ragazzo che ”gli è sfuggito di mano”? Sì, c’è qualcosa: un 14 luglio di molti anni fa a Narbonne, Marsigliese e festa di strada, due ragazzini magrebini aggrediti da un gruppo di razzisti. Zacarias ha la faccia rossa di sangue, chiede aiuto ai poliziotti. Quelli, ghignando, cospargono ”l’arabo” di lacrimogeni. Ecco, ci siamo: la rabbia dell’esclusione, la voglia di vendetta contro i parenti della sua ragazza, francese, che non vogliono in casa il musulmano. Troppo banale. Ma dove si incrocia la vita di questo studente rassegnato a un ”bac” di basso livello, con il Corano impugnato come una bomba, con Bin Laden? Forse bisogna andare nelle moschee nascoste di questo immenso Islam delle periferie, capannoni slabbrati, alloggi anonimi dove imam arrivati dal Medio Oriente ripetono parole ben diverse da quelle della religione ufficiale. Sono loro che cambiano questi ragazzi con il telefonino e le scarpe Adidas in qualcos’altro. Per lui la moschea fatale è a Londra, a Finsbury park, dove predica il Savonarola salafita Abu Hamza. qui che Moussauoi, venuto a ”studiare l’inglese” all’inizio degli Anni ”90, trova voci insinuanti: esce dalla pelle del ragazzo un po’ sbandato e entra in quella dell’aspirante kamikaze in un minuto. Ma non è da questi prati ben pettinati per il cricket che è partito il macellaio che ha sgozzato in Afghanistan il giornalista americano Richard Pearl? Anche Zacarias, giovanotto svogliato della vita, ha un anima che è come un dischetto vuoto, chiede solo di essere programmato: la fede, cieca e assoluta, fa balenare un futuro, chi sognava soldi e belle macchine si fa sedurre da una promessa di paradiso. Adesso ha la barba, quando torna a Narbonne rimprovera il fratello perché la nuora studia all’università: ”le donne non devono andare a scuola”. Nelle forsennate, febbrili confessioni rese al giudice americano avrebbe dovuto raccontarci di un amico che un giorno sparisce per andare a morire in Cecenia con il mitra in mano. O delle serate in uno squallido alloggio di Lambert Road, dove passano e ripassano giovani barbuti con passaporti sempre diversi. La loro Mecca adesso è Kabul, dove ex studenti piissimi si improvvisano boia davanti a folle da stadio. Anche Moussaoui arriva a quella Shan-grila dell’integralismo, viaggi senza tracce, campi di addestramento in luoghi senza nome. In due anni ”perde” tre passaporti e ogni volta si presenta all’ambasciata francese di Londra per farseli rinnovare. L’antiterrorismo francese comincia a interessarsi a questo espatriato, a trovare il suo nome in dossier (nel 1994!) dove si affianca alla sigla terribile del Gia, la manovalanza del terrorismo algerino. Un giudice passa la Manica in cerca di prove. Ma Moussaoui è impalpabile, il garantismo britannico lo tutela; torna indietro a mani vuote. Va in America in quel 2001, anno delle cifre sanguinose, con un regolare passaporto francese e 35 mila dollari che arrivano dalla Germania, dalla stessa fonte che ha finanziato la terribile trasferta di Mohamed Atta e dei suoi. Anche lui si iscrive a scuole di pilotaggio. Ma è malaccorto, rifiuta le lezioni di decollo e atterraggio. Fa di tutto per diventare il più grande rimorso dell’Fbi: lo arrestano per il visto scaduto, ad agosto, non decifrano gli indizi enormi che si è lasciato dietro. Lui tace. Poi, dopo il massacro, Zacarias, unico colpevole in mano agli americani, sembra esplodere, si scompone, diventa ancor più indecifrabile. Rifiuta gli avvocati che definisce ”giuda e sanguisughe”, si difende da solo, grida al complotto antislamico, produce centinaia di documenti scritti a mano nella cella perennemente illuminata, li spedisce al Congresso al tribunale alle ambasciate, lancia proclami antisemiti, insulta il giudice donna che vuole sottoporre a ”esame psichiatrico per fobia antislamica con complesso di inferiorità sessuale”. Grida, farnetica ma poi risponde alle domande in buon inglese. Pazzo ingiudicabile o accorto mistificatore? Ultimo choc, si proclama colpevole ma di un altro complotto mai messo in opera: con un 747 dovevo colpire la Casa Bianca. Non voglio suicidarmi, assicura, ma così prende ”un bìglietto di sola andata per il braccio della morte”, come dice uno degli esterrefatti avvocati, Francois Roux: ”Non si può lasciare un uomo di 36 anni da solo con da una parte la giustizia americana e dall’altra i suoi demoni”. vero: chi è Zacarias Moussaoui?» (Domenico Quirico, ”La Stampa” 24/4/2005). «[...] era coinvolto nel complotto che aveva portato agli attentati dell’11 settembre 2001, ed era stato scelto personalmente da Osama bin Laden per schiantare un aereo commerciale sulla Casa Bianca, in un attacco successivo a quello delle Torri Gemelle e del Pentagono. Lo ha ammesso lui stesso, confessando ieri la propria colpevolezza in un tribunale federale vicino a Washington. [...] è nato a Saint-Jean-de-Luz, nella Francia meridionale, da una famiglia di origini marocchine non troppo religiosa. Aveva preso la laurea alla South Bank University di Londra, e secondo gli investigatori in quel periodo era entrato in contatto con gli ambienti dell’estremismo islamico. Nell’aprile 1998 era andato ad addestrarsi nel campo gestito da al Qaeda a Khalden, in Afghanistan, e il 23 febbraio del 2001 era entrato negli Usa con un visto studentesco e 32.000 dollari in contanti. Si era iscritto alla Norman Oklahoma’s Airman Flight School, una scuola di volo nel Sud, ma siccome era un cattivo allievo gli istruttori non lo lasciavano pilotare. Quindi si era trasferito in Minnesota, offrendo 8.000 dollari in contanti ad un’altra scuola per ottenere la licenza. Il suo comportamento aveva insospettito l’istruttore, Clancy Prevost, che si era rivolto all’Fbi per verificare lo status dello studente. Due giorni dopo, il 17 maggio 2001, Moussaoui era stato arrestato per violazione delle leggi sull’immigrazione. La sua cattura forse era stata l’occasione migliore che le autorità americane avevano avuto per scoprire il complotto dell’11 settembre. Ma pur sospettando che il suo obiettivo fosse un dirottamento, gli investigatori erano stati bloccati del silenzio di Zacarias e da problemi burocratici che avevano frenato l’inchiesta. Dopo gli attentati, gli inquirenti avevano pensato subito che lui fosse destinato a diventare il ventesimo dirottatore, rimasto a terra perché arrestato. In realtà, secondo quanto hanno detto tanto Moussaoui, quanto l’organizzatore operativo degli attacchi Khalid Sheikh Mohammed, il suo compito era partecipare ad una seconda ondata che non si era mai realizzata. Mohammed ha rivelato che gli obiettivi si trovavano sulla costa occidentale degli Stati Uniti. Ma [...] Moussaoui ha spiegato che bin Laden gli aveva ordinato invece di schiantare un aereo sulla Casa Bianca. [...] Per quasi quattro anni Moussaoui aveva negato la sua responsabilità nella strage dell’11 settembre, chiedendo di poter interrogare i capi di al Qaeda per provarlo, ma [...] ha cambiato idea. [...]» (Paolo Mastrolilli, ”La Stampa’ 23/4/2005).