La Stampa 16/4/2005, pag.29 Mattia Feltri, 16 aprile 2005
La liberazione 60 anni dopo. La Stampa 16/04/2005. Sarzana. Cominciava a far buio quando Dante Alighieri giunse a "quel castello di Fosdinovo, sull’altura ventosa" - come l’avrebbe cantato secoli dopo Gabriele d’Annunzio
La liberazione 60 anni dopo. La Stampa 16/04/2005. Sarzana. Cominciava a far buio quando Dante Alighieri giunse a "quel castello di Fosdinovo, sull’altura ventosa" - come l’avrebbe cantato secoli dopo Gabriele d’Annunzio. Il poeta era diretto a Sarzana, su procura di Franchino Malaspina, per dirimere la disputa fra i Malaspina medesimi e il vescovo-conte di Luni. Si contendevano il castello della Brina, costruito sua una strada battuta dai pellegrini diretti dalla Francia a Roma, o a Gerusalemme, e diventato un fruttuoso centro di riscossione di pedaggio. Dante incontrò gli emissari della parte avversa nella piazza che oggi si chiama Matteotti, e in quel settembre 1306 "Platea Calcandola", e cominciò il negoziato. La guerrà finì. Sul Palazzo civico un’epigrafe ricorda lo storico evento: "Orma di Dante non si cancella". Sei secoli e 37 anni dopo, sempre di settembre, con la Lunigiana di nuovo in guerra, i tedeschi avrebbero stabilito a Sarzana, nella fortezza di Castruccio, il loro caposaldo oltre la Linea Gotica. La Wehrmacht entrò a Sarzana all’alba del 9 settembre e quello stesso giorno i primi gruppuscoli di partigiani salirono in montagna. Sarzana era ancora quella del 1921, quando Mussolini non era ancora al potere ma le sue squadre si erano impadronite di comuni e province. Di tutta la Lunigiana, soltanto Sarzana non aveva ceduto. Il 21 luglio il ras Renato Ricci aveva organizzato una spedizione di cinquecento squadristi. Furono accolti a pistolettate, pure dai carabinieri, sembra. Alcuni di loro cercarono salvezza fuggendo per i campi, e finirono intrappolati e uccisi a colpi di roncola e forcone dai contadini. I morti furono diciannove. Sarzana sarebbe capitolata più avanti. Sarzana nel 1943 era ancora più o meno quella: il 13 dicembre, tre mesi dopo l’armistizio, i gappisti si produssero nella prima azione, sparando in piazza al commissario prefettizio e ferendo gravemente un maggiore della milizia fascista. E nonostante il piglio risoluto e antifascista, i combattenti della Lunigiana non considerarono disonorevole lasciarsi affiancare da forestieri. Domenico Azzari era un radiotelegrafista della Marina e dovette adattarsi all’uso del paracadute. La mattina del 23 ottobre 1943 venne scaraventato fuori da un aereo della Special Force inglese e atterrò nel pontremolese. Da lì aveva il compito di tenere i contatti - stavolta con il telegrafo - con le formazioni alleate di stanza ad Algeri. Non se ne sa molto di più. Anche qui lo ricordano in pochi e vagamente, sebbene qualche testo riconosca che la sua comparsa diede il via alle operazioni di resistenza. Nell’agosto dell’anno successivo, per rendere meno dispersiva la lotta, le bande della Lunigiana e della Garfagnana si riunirono in summit e si unirono sotto il comando di un’unica divisione, la Garibaldi Lunense. Fu nominato comandante il maggiore inglese Anthony Oldham. Mantenne il comando fino a dicembre, quando lo stallo della guerra sulla Linea Gotica, e le molte sconfitte, gli consigliarono, seguito da numerosi partigiani, di passare il fronte e ricongiungersi con l’VIII Armata. Anche di Oldham si è persa memoria. Nell’estate 1944, il capitano della Marina da guerra tedesca, Rudolf Jacobs, maturò la sua decisione. Era stato inviato in Liguria con il compito di controllare la costa fino a Viareggio, dal momento che a Berlino si aspettavano uno sbarco degli Alleati come quello avvenuto in luglio in Sicilia, e che invece ebbe repliche soltanto a Sorrento e ad Anzio. Jacobs viveva a Lerici, in una villa di pregio, e nessuno nella Wehrmacht dubitava di lui. I contatti con i partigiani furono segretissimi e frequenti. Verso la fine di settembre, con un commilitone, Jacobs rubò un autocarro, lo caricò di carburante, armi e munizioni e se ne andò. Si congiunse alla Brigata Garibaldi e prese il nome di battaglia "Primo". Secondo qualcuno, Jacobs si persuase definitivamente il 5 maggio del 1944. Il giorno precedente cinquemila uomini dell’esercito della Repubblica sociale giunsero a Fivizzano per fare piazza pulita. Nelle frazioni di Mommio e Sassalbo furono fucilati diciannove civili. Fra quei borghi, Domenico Azzari aveva coordinato il lancio, da parte degli inglesi, di attrezzature e armi, e tanto bastò perché fosse deciso il rastrellamento e la rappresaglia. Per Fivizzano fu un’estate di incubi. A fine agosto pagò con il classico (e molto elastico) rapporto di uno a dieci l’uccisione di altri soldati tedeschi. La mattina del 24 intorno alle 8 cominciarono ad arrivare nella frazione di Vinca le prime camionette dei tedeschi assieme alla formazione fascista dei "Mai morti". Una donna che si incamminava verso i campi fu la prima ad essere ammazzata. Nel giro di tre giorni vennero eliminate 163 persone, 164 se si tiene conto che una donna era incinta. Ventisei erano bambini. Vennero bruciate le case, sterminati gli animali. Gli uomini furono impalati. In pochi si salvarono riparando nei boschi. "Jacobs sentiva attorno a sé un po’ di diffidenza", racconta oggi Paolino Rinaldi, novantatré anni, allora commissario politico della Brigata Garibaldi "Muccini". I capi lo avevano accolto bene, ma gli altri erano perplessi. "Fu allora, per dimostrare di essere un nostro compagno, che Jacobs progettò e comandò l’azione". La sera del 3 novembre 1944, al comando di quindici uomini, Jacobs entrò a Sarzana. Erano tutti vestiti da soldati della Wehrmacht. L’idea era di attaccare il presidio delle Brigate Nere in piazza San Giorgio aprofittando dell’ora di cena. Jacobs chiese del comandante ma il comandante non c’era. Allora chiese del vicecomandante. La sentinella fece una faccia strana e il gruppo cominciò a temere di essere scoperto. Jacobs fu il primo a fare fuoco ma la mitragliatrice si inceppò dopo pochi colpi. La risposta fu adeguata. Jacobs morì e i partigiani ripiegarono. Oggi, in città, un monumento e una lapide ricordano quel nazista passato alla Resistenza: "Illuminato dalla Dea Giustizia / riscattata dalla soggezione al bestiale furore teutonico / non defezione / ma eroica rivolta...". Sulle colline della Lunigiana si cantava così: "Dai monti di Sarzana / momenti di dolore / giornata di passione / ti scrivo cara mamma / domani c’è l’azione / e la brigata nera / noi la farem morire". Anche Dante Castellucci fischiettava quel motivetto. Era un calabrese. Era finito a Sarzana per combinazione. Prima delle guerra era stato attore e musicista, suonatore di violino. All’alba del 25 novembre 1943 si trovava nella cascina dei fratelli Cervi quando venne circondata dai militi della Guardia nazionale repubblicana. In casa c’erano i due genitori, i quatto figli, le quattro figlie, due italiani e quattro stranieri. La casa fu saccheggiata e data alle fiamme, gli uomini arrestati, le donne abbandonate sulla strada. I sette fratelli Cervi vennero rinchiusi a Reggio Emilia e poi fucilati. Dante Castellucci, che parlava bene il francese, ebbe un colpo di genio e si spacciò per parigino, e così scampò alle torture e al plotone d’esecuzione. Stette qualche tempo in carcere a Parma, poi ne uscì e si riunì alle bande partigiane. Le vicissitudini lo portarono con la sua banda sulle colline di Sarzana, dove un altro tribunale e un altro plotone si sarebbero occupati di lui. La Liberazione, in Lunigiana, arrivò il 23 aprile 1945. Il giornalista e scrittore Enrico Peyretti, nato nel 1935 a Bagnone, la ricorda bene. Ricorda la sfilata dei partigiani in paese. Avevano con sé tre ostaggi, tre giovani soldati tedeschi col capo chino "di chi sa che va a morire" anche se la guerra era ormai finita. Il parroco sospese l’esecuzione, chiese alla gente in piazza chi davvero volesse quest’altro scempio. Tutti tacquero. Peyretti ricorda che uno soltanto alzò la mano. Il capobanda si infuriò, disse che erano tutti dei pecoroni, fece schierare i suoi e ordinò il fuoco. Una donna si incaricò del colpo di grazia. Paolino Rinaldi, a Sarzana, stava già organizzando il futuro. Presto sarebbe diventato sindaco e sarebbe andato in Germania a cercare la famiglia di "Primo", Rudolf Jacobs. Trovò la moglie a Brema. Lei credeva suo marito disperso, così le avevano detto le autorità, perché un disperso è un mezzo eroe, un disertore è un traditore. Vide a Sarzana la tomba di Rudolf e decise di lasciarlo lì. Dopo qualche anno, a Pontremoli si inaugurò un monumento a "Facio", Dante Castellucci. Era stato ucciso il 22 luglio 1944 su sentenza di un tribunale comunista composto dai suoi stessi uomini. Lo si accusò di aver tenuto per sé materiale paracadutato dagli Alleati. Paolino Rinaldi dovette indagare e oggi sostiene che fu tutto pretestuoso, che Dante era un grande capo partigiano e qualcuno sopra di lui, nel Comitato di liberazione, ne era geloso. Così fece la fine dei suoi amici Cervi per mano partigiana. Nei documenti dell’Anpi non si fa cenno di lui. Resta il monumento a Pontremoli, perché "orma di Dante non si cancella". Mattia Feltri