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 2005  aprile 21 Giovedì calendario

Quando il Papa è un tedesco. La Repubblica 21/04/2005. Poi ci sarebbe questo fatto che è tedesco, papa Ratzinger

Quando il Papa è un tedesco. La Repubblica 21/04/2005. Poi ci sarebbe questo fatto che è tedesco, papa Ratzinger. E allora: "Nazinger" fioccano gli sms. "Il pastore tedesco", titola il Manifesto; "Il tedesco dei grandi "No"", l´Unità. "E quando tornate a casa - si leggeva sul Riformista facendo il verso al famoso invito di Papa Giovanni - date un ceffone ai fostri pampini". I tedeschi, infatti, menano. Per natura, storia e vocazione. Sono ordinati, sono efficienti, ma proprio per questo sono anche severi e soprattutto molto aggressivi, preferibilmente con gli italiani. Nazisti, gotici, ubriaconi. Il papa, ovvio, non fa eccezione. Basta guardarlo, com´è rigido, com´è serio, com´è inflessibile; e basta sentirlo quando dice "qvanto" o "Ciofanni". E´ questo, s´intende, un classico stereotipo. Ma l´immaginario di un popolo, più che di conoscenze dirette, o di elaborazioni culturali, vive di stereotipi e di luoghi comuni, per lo più imprecisi. E così, ad esempio, quando c´è un nuovo papa, "tetesco ti Cermania", detto allegramente, per non dire con qualche spregio un papa "crucco", che pure è una parola che viene da "croato" ed è entrata in circolo dopo l´ultima guerra mondiale, ecco, a questo punto stereotipi e luoghi comuni ricominciano a vibrare. E´ così. Del resto pure Dante ci cascava: "E come là tra li tedeschi lurchi..." (Inferno, XVII). "Lurchi" sta per mangioni, beoni. Questo allora si pensava dei popoli germanici, e per la verità anche in tempi più recenti. Vedi quella poesia di Umberto Saba che dice: "Tutto mi portò via il fascista abietto/ anche la tomba/ ed il tedesco lurco". Certo le vicende del 1943-45, la dura occupazione, le rappresaglie, non contribuirono ad alleviare il pregiudizio anti-germanico. Perciò, "lurchi", oltre al resto. Ora, si dà il caso che Ratzinger sia addirittura astemio e, secondo la principessa Borghese, assai frugale nel cibo. Altre testimonianze lo descrivono timido, cortese, umano. Il presidente del Senato Pera si è spinto fino a evocare la "dolcezza". Eppure basta che il nuovo papa parli e in tutta Italia ci sono persone, specie di una certa età, che avvertono un tuffo al cuore; e altre che, sia pure senza un motivo razionale, si sentono intimidite, a disagio. Ieri, per dire, sul Tempo il fotografo Maurizio Piccirilli ha descritto con queste parole il momento in cui si è trovato di fronte l´allora monsignor Ratzinger per un servizio: "Ed eccomi al cospetto del cardinale più temuto (...) e che il suo accento tedesco faceva apparire ancora più temibile". Conferma il professor Gustavo Corni, uno storico dell´università di Trento che ha dedicato un numero impressionante di studi non solo sui rapporti tra Italia e Germania, ma anche tra italiani e tedeschi: "Premesso che in questi casi si rischiano sempre astrazioni e semplificazioni, nell´immaginario collettivo italiano il tedesco, o "todesco"resta figura di riferimento negativo per eccellenza". Una sorta di "diffidenza epidermica" di cui, in periodi di pace, si coglie il senso nelle strisce di fumetti Sturmtruppen, o nell´epopea calcistica di Italia-Germania 4a 3. Una diffidenza, secondo Corni, ampiamente ricambiata per cui "i tedeschi, nel migliore dei casi, ci ritengono degli allegri e simpatici casinisti, nello stadio intermedio dei casinisti e basta, e nel peggiore dei traditori". Questo contenzioso, questa ombrosa immaginazione, questa reciproca sfiducia non si sta a rivangare tutti giorni. Ma c´è di sicuro, e anche nella chiesa si trascina appresso il suo peso. Lungi dal distinguere tra bavaresi, sassoni e perfino boemi, sin dai tempi della Riforma protestante i cattolici romani non si fidano tanto di quelli tedeschi. E´ un po´ una loro rivalsa: anche innocua quando i popolani dell´Urbe chiamavano "gammeri cotti", cioè gamberi abbrustoliti, per il colore rosso acceso delle tonache, i seminaristi del Collegio Germanico. Ma ben più sintomatica in altre circostanze. E qui, a maggior ragione dopo l´arrivo del papa tedesco, anzi del "Panzerpapst" o pontefice corazzato, vale la pena di ricordare i sospetti, i timori e anche le infamie che la Curia romana riservò alla religiosa bavarese che fin dai tempi della nunziatura a Berlino accudiva Pio XII: suor Pascalina Lehnert, l´"angelo dispotico e teutonico"; l´anima della "corte germanica del papa romano" a detta di Manlio Cancogni; "la Papessa", infine, secondo quanto Giovanni Di Capua, autore di "Pascalina, la Dama Nera di Pio XII" (Scipioni, 1997) attribuisce al linguacciuto Cardinal Nicola Canali, uno dei pezzi grossi della Santa Sede. E saranno anche storie d´altri tempi, ma pure questa modesta vicenda di cortigianeria tedesco-fobica lascia trapelare, a suo modo, tutta la complessità, l´ambiguità e il non-detto che da secoli lega a filo doppio italiani e tedeschi. Per cui regolarmente si parte dai barbari, dalla vittoriosa calata dei Visigoti su Roma (410), si procede con il sacco di Roma da parte dei lanzichenecchi (1527), e si arriva al Risorgimento. E allora, ritrovatosi dentro Sant´Ambrogio, Giuseppe Giusti nemmeno riesce a capacitarsi che i soldati imperiali riescano ad ascoltare musica: "E mi stupisco che in quelle cotenne/ in quei fantocci esotici di legno/ potesse l´armonia fino a quel segno". E dal Risorgimento, dopo un breve periodo di ammirazione per la scienza e le virtù germaniche, ecco che gli italiani arrivano all´odio e al sangue nella Prima, nella Seconda guerra mondiale, e nella Resistenza ("e ho trovato l´invasor"). Poi sì, certo, dopo la guerra, tutto cambia. D´estate i turisti scendono a milioni sulla riviera adriatica; oppure vanno felicemente a popolare il lago di Garda. E quando si tratta di entrare in Europa, San Carlo Azeglio Ciampi, che i tedeschi è uno dei pochi a conoscerli sul serio avendo studiato in Germania, riesce nell´impresa di convincere il governatore della Bundesbank Hans Tietmayer il ministro delle Finanze Theo Waigel ad accettare l´Italia. E nel suo "Un metodo per governare" (Il Mulino, 1996) racconta con orgoglio di quando presentò a Helmut Kohl l´accordo sul costo del lavoro: "Se lei riesce a fare una cosa del genere - rispose il presidente tedesco - la invito in Germania per spiegarlo al Bundestag". Eppure, in Italia, il rischio di "germanizzazione" (un espresso due marchi ) è stato vissuto come un´autentica sciagura. Ci vuole poco perché nei leader nostrani, senza troppe distinzioni, si riaccenda il sentimento anti-germanico che cova sotto la cenere delle prudenze diplomatiche. Vedi Andreotti che nel 1986, all´improvviso, se ne uscì con la storia delle Germanie che "sono due e due devono restare". Così come, durante il semestre europeo, a un eurodeputato tedesco che si era mostrato con lui particolarmente duro, il presidente Berlusconi ha risposto, come se fosse del tutto normale: "Lei mi sembra un capò". E sempre lì si torna. Al tedesco cattivo. O alla sua caricatura che deformante, ma pericolosa. Birra, Raus, Kartoffel, Kaputt. Il Papa, veramente, non c´entra nulla. E´ votato, semmai, all´universalismo. Ma i pregiudizi sono pregiudizi: a loro modo illuminanti, spesso anche per quello che mettono in ombra. Filippo Ceccarelli