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 2005  aprile 21 Giovedì calendario

PARK CHAN-WOOK Tanyan (Corea del Sud) 23 agosto 1963. Regista • «Il maestro coreano del cinema estremo, il Tarantino d’Oriente

PARK CHAN-WOOK Tanyan (Corea del Sud) 23 agosto 1963. Regista • «Il maestro coreano del cinema estremo, il Tarantino d’Oriente. Sono le definizioni che accompagnano Park Chan-wook, il regista di Old boy, il film che impressionò la giuria di Cannes 2004, presieduta proprio da Tarantino, che gli assegnò il Gran Premio. [...] “Tarantino è più famoso di me, mi fa piacere il paragone, ma non penso di ispirarmi ai suoi film, se non a qualcuno dei primi. Se mai, vedendo Kill Bill, si sente che è lui ad essere influenzato dal cinema orientale. Altri autori mi hanno colpito, soprattutto Hitchcock. Sergio Leone è un altro autore importante per me. Alcune sequenze di Old boy sono un misto di scene alla Leone e del manga giapponese, da cui è tratto il soggetto del film”. Nell’aggettivo “estremo” si riconosce? “Più che estremo, parlerei di radicale, nel senso di cercare le radici. Ho studiato filosofia, ho imparato che per avere la conoscenza di tutto ciò che si fa o si pensa è necessario arrivare fino in fondo. Il mio modo di vedere il cinema è lo stesso. Ed è normale che un regista radicale scivoli nell’estremo [...] I temi dei miei film sono vari, ma l’elemento comune è il senso di colpa che hanno tutti i miei protagonisti, anche in Old boy. E il senso di colpa viene dall’educazione cattolica. Lo conosco bene, negli anni Ottanta, durante la dittatura, ho visto molto miei amici catturati, torturati, alcuni uccisi dalla polizia per le manifestazioni di protesta, io stavo malissimo, mi sentivo impotente, colpevole di non poterli aiutare, di non dividere la loro sorte” [...] ha cominciato con il cinema politico. Perché ha smesso? “Crescendo ho avuto voglia di passare dalla politica ad un’introspezione più personale, ad una ricerca dei valori etici dell’individuo. Ma ho in mente altre storie sui temi politici che riguardano il mio paese” [...]» (Maria Pia Fusco, “la Repubblica” 9/5/2005) • «[...] un vero maestro della vendetta omerica e della visione contemporanea. Alchimista di genio nel mescolare l’antico e il nuovo, cultura popolare orientale e cinefilia europea. Lui, figlio della buona borghesia (padre architetto e madre pittrice), voleva diventare un artista ma viene trascinato dietro la macchina da presa dall’amore per i classici Alfred Hitchcock e Douglas Sirk. Da vero cinefilo indica poi come sua esperienza fondamentale la visione di Vite vendute di Clouzot (“Il calore, il sudore su corpi e abiti, i visi lucidi, la polvere della terra mi hanno dato una vera emozione. Ma ero giovane a quel tempo”). Da appassionato della “junk culture” trasforma un manga giapponese di otto volumi -Old Boy [...] - nel suo capolavoro. Da uomo di cultura classica sceglie come musa la Dea Vendetta fin dal 1997 quando propone a diversi produttori la sceneggiatura di Vengeance is mine. Inutilmente, nessuno all’epoca vuole finanziare il film. Ma la Vendetta è un piatto freddo e Park Chan-wook, dopo aver avuto un enorme successo coreano con il thriller politico-militare Jsa: Joint Security Area, riuscirà a portarla sullo schermo nel 2002 con il primo capitolo di una trilogia che lo renderà famoso Simpathy for Mister Vengeance [...]: film corale e affollato che diventa subito un cult da festival. Anche qui la straordinaria potenza visiva si sposa a sentimenti assoluti e archetipi, sullo sfondo di melodrammi e disgrazie. Un fratello sordomuto con i capelli verdi e una sorella in dialisi, perfidi trafficanti di organi, il rapimento di una bambina, gruppi di terroristi anarchici, le periferie di Seul con le loro case di cartone e arredi technicolor, le vendette a colpi di coltelli e punteruoli, arterie e ossa spezzate, fantasmagorie di passioni, paesaggi e collutazioni. [...]» (Alessandra Mammì, “L’Espresso” 28/4/2005) • «[...] un omino gentile, mite, interessato alla filosofia e alla pittura, ma anche amante dei film di serie b americani degli anni Cinquanta e Sessanta. [...] Confessa di aver compiuto la sua cinecultura sulle videocassette pirata che circolavano in Corea dei film Usa d’azione di Robert Aldrich e persino del veterano Robert Siodmak. [...]» (Giovanna Grassi, “Corriere della Sera” 5/5/2005).