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 2005  aprile 21 Giovedì calendario

Auto cinese, Panorama, 21 aprile 2005 Ha vetri elettrici, aria condizionata, lettore di compact dísc, cruscotto digitale

Auto cinese, Panorama, 21 aprile 2005 Ha vetri elettrici, aria condizionata, lettore di compact dísc, cruscotto digitale... perfino qualche inserto in simil-radica. E costa appena 4.400 euro: metà di una Fiat Panda, meno di uno scooterone. Possibile? Sì, se l’auto arriva dalla Cina profonda. Prodotta da un’azienda del gruppo Faw, la Faw-Hongla Yurman Automobile, la macchinetta si chiama Happy Emissary, è una cinque porte con un motore a tre cilindri, 1.000 di cilindrata: ha la forma di un piccolo furgoncino, come la Opel Agila o la Atos della Hyundai. Tra qualche mese potrebbe essere venduta in Italia, magari in un supermercato ad appena 50 euro al mese. "Beh, con un prezzo come quello potremmo davvero inventare delle formule commerciali molto innovative" riconosce Massimo Di Risio, 44 anni, presidente della Dr Automobiles Groupe di Macchia d’Isernia, in Molise, la società che vorrebbe importare l’auto supereconomica in Europa. Panorama ha provato l’Happy Emissary nel grande piazzale davanti alla Dr: a parte gli innesti delle marce un po’ troppo lunghi e uno sterzo duretto, fa dignitosamente il suo mestiere. Interni, esterni, motore, guida, tutto normale. Quasi una delusione per chi si aspettava un tocco di esotismo: a un occhio non molto esperto potrebbe sembrare un’auto coreana, da cui in effetti deriva. Ma come è arrivata proprio qui, tra le colline molisane, l’auto che potrebbe rivoluzionare il mercato delle utilitarie? Il fatto è che a due passi da Isernia c’è un’azienda unica nel suo genere: sfruttando la direttiva europea sulla liberalizzazione delle vendite di auto, offre quasi tutte le marche in una specie di enorme centro commerciale (riquadro a pagina 283). E l’interesse di questa società verso i prodotti cinesi era inevitabile. Così dal 2002 Di Risio ha puntato gli occhi sulla Cma: egli stesso, poi l’amministratore delegato Achille Bianchi sono andati a visitare saloni e fabbriche fino a individuare la Happy Emissary della Faw, la più grande casa automobilistica cìnese. Ora la Happy Emissary è in prova a Macchia d’Isernia. Ma non è detto che riesca ad ottenere l’omologazione per il mercato europeo. Non tanto per la qualità in sé del veicolo, ma perché tutti i componenti della vettura devono rispondere a una serie di requisiti per essere certificati. Esempio: la plastica del cruscotto non è a norma secondo gli standard dell’Unione. Quindi, o la Faw si adegua, oppure l’importatore, cioè la Dr, deve far rifare il pezzo a qualcun altro. Così i costi salgono, e se salgono troppo, il progetto non ha più senso. Un rischio di cui è ben consapevole lo stesso Di Risio: "Non ci facciamo grandi illusioni". Ma se l’operazione salta, c’è già una carta di riserva: "Abbiamo contatti con un’altra casa cinese, la Chery. Vorremmo diventare i loro importatori in Italia, se non in Europa". Anche se lo scorso anno ha venduto solo 80 mila vetture, meno di un decimo della Faw, la Chery è la casa cinese più proiettata sui mercati internazionali: ha iniziato a esportare auto complete nel 2001, ha reti di vendita in 25 paesi, produce anche in Iran e sbarcherà sul mercato Usa nel 2007 con l’obiettivo di vendervi 250 mila vetture all’anno. Del resto, la Chery è la prima azienda del paese a costruire vetture, a differenza della Happy Emissary, già studiate per i mercati esteri, tanto è vero che da anni lavora con la Pininfarina: al prossimo Salone di Shanghai, che apre il 22 aprile, verrà presentata una "novità mondiale" frutto proprio della collaborazione con il designer italiano. "Giapponesi e coreani hanno successo in tutto il mondo, America ed Europa comprese. Perché non possiamo fare altrettanto anche noi? " ha dichiarato Jin Yibo, direttore commerciale della Chery. Aggiungendo sardonico: " solo questione di tempo". Già, il tempo. Mentre gli automobilisti italiani tempestano di telefonate il centralino della Dr, l’intera industria delle quattro ruote si chiede quando lo "tsunami" cinese si abbatterà sulla sua testa. E con quali effetti. Anche perché ora le grandi case europee sono alle prese con una feroce battaglia sui prezzi: vetture come la Volkswagen Fox, prodotta in Brasile, la Fiat Panda fatta in Polonia o il trio Toyota Aygo, Peugeot 107 e Citroén C l, figlie di un’inedita alleanza tra gruppo Psa e Toyota e costruite nella Repubblica Ceca, contendono i clienti alle coreane cercando di stare sotto la soglia dei 9 mila euro. E poi ci sono le "low cost", come la berlina romena Dacia Logan della Renault, che fa concorrenza all’usato con un prezzo inferiore ai 7 mila euro. Ci manca solo che insieme ai dieci milioni di reggipetti a 50 centesimi l’uno, dalla Cina arrivino in Italia anche 50 mila Happy Emissary da 4 mila euro. "Nel 2004 si diceva che i cinesi sarebbero arrivati in Europa dopo almeno cinque anni" ricorda Massimo Vecchio, analista auto della Intermonte. "Ma allora il mercato cinese stava tirando. Adesso invece va male e poiché le case locali ormai gli investimenti li hanno fatti, devono vendere da qualche altra parte: così hanno accelerato il programma di espansione all’estero, i tempi del loro sbarco in Europa sì accorceranno". Come reagiscono i concorrenti europei? Come la Fiat (intervista qui a fianco), anche la Peugeot ostenta tranquillità: "I marchi che vincono hanno una rete capillare, non possono basarsi solo sul prezzo" afferma Christophe Bergerand, amministratore delegato della Peugeot Italia. "Certo, i distributori multimarche potrebbero accelerare questo fenomeno, ma anche loro non possono giocarsi i rapporti con i grandi produttori di massa". In sintesi, le case cinesi hanno tre problemi da risolvere: primo, molti loro prodotti sono frutto di joint-venture con società europee, auto a volte non vendibili sul nostro mercato perché superate; secondo, non hanno all’estero una rete di distribuzione capillare; terzo, hanno marchi sconosciuti, e quando cercano di comprarli, come nel caso dell’inglese Rover, l’operazione non sempre va a buon fine. In queste condizioni, riuscire a conquistare un ruolo significativo in Europa richiede almeno una decina d’anni. Questo non significa che nel frattempo i cinesi non rappresentino una minaccia reale: "Basta poco per rovinare un mercato con prezzi assurdi" ricorda Vecchio della Intermonte "come fece la Daewoo, che provocò una guerra sui listini per poi dichiarare bancarotta. Ora è finita alla General Motors". Nonostante il suo amplomb, il suo gruppo che rischia maggiormente è la Fiat: i segmenti di mercato dove la casa torinese fa profitti sono soprattutto quelli delle auto piccole, proprio dove la concorrenza cinese picchierà di più. E dove il gruppo italiano è già sotto pressione, come dimostrano gli ultimi dati di vendita in Europa. Per questo si continua a parlare di accordo tra la Fiat e un produttore cinese, come la Saic di Shanghai. Un eventuale partner orientale potrebbe garantirsi il design e la tecnologia italiana (tra le più avanzate al mondo nel settore delle utilitarie). In cambio i torinesi otterrebbero una produzione a basso costo. I due gruppi, che già collaborano nei veicoli industriali, hanno smentito più volte le voci che li davano in trattativa nel settore auto. Ma in Cina i produttori sono tanti... Riuscirà questa volta il Lingotto a giocare d’anticipo e a trasformare una minaccia in un’opportunità? Guido Fontanelli