La Repubblica 19/04/2005, pag.17 Filippo Ceccarelli, 19 aprile 2005
Conclave e scrittori. La Repubblica 19/04/2005. "Sembrerebbe un grandissimo film!" gongolava ieri Bruno Vespa, oppure: "Godiamoci questo momento!"
Conclave e scrittori. La Repubblica 19/04/2005. "Sembrerebbe un grandissimo film!" gongolava ieri Bruno Vespa, oppure: "Godiamoci questo momento!". Ma anche prima della televisione, e della radio, e dei quotidiani, quando ancora tutto avveniva nel palazzo del Quirinale, insomma, l´elezione dei papi è sempre stato uno spettacolo straordinario: "Questa sera alle ventidue siamo andati a vedere la processione dei cardinali che entrano in Conclave" appunta in data 23 febbraio 1829 Stendhal nella sue Passeggiate romane (Laterza, 1973). Ora, il salto da Vespa a Stendhal è brusco e perfino irriverente, ma nessuno meglio del grande scrittore francese è mai riuscito a rendere il senso anche mondano dell´evento, l´occasione turistica, l´appagamento visivo delle scene. E dunque, "alle tre di notte siamo ritornati in piazza Montecavallo per aspettare i tre famosi colpi di cannone". Bombarde, liturgie, fumi, simboli. Si direbbe oggi che Stendhal e i suoi disincantati compagni di viaggio, per lo più giovani diplomatici, erano andati in fissa per il conclave. Girano, raccolgono versi satirici, si scambiano pettegolezzi, se la spassano, rinviano la partenza: "Le nostre amiche però desiderano vedere a tutti i costi l´incoronazione del papa (...) I nostri amici inglesi hanno fatto delle grosse scommesse". Il 6 di marzo: "L´eccitazione è al colmo". Il papa non arriva: "Le mie amiche si divertono moltissimo a tutte queste cerimonie, chiaramente eseguite da gente che a tutto sta pensando meno che ad esse". Riescono pure a intrufolarsi nel palazzo e assistono all´arrivo delle ceste che recano il pranzo a ciascun cardinale. Qui c´è un vescovo che "studia ogni piatto con aria serissima, lo annusa quando ha buon aspetto" e, verificato che non contenga bigliettini, lo mette sulla ruota. Ma dall´interno filtra anche un bigliettino: sono due numeri "con l´ordine di giocarli al Lotto". Il 31 marzo, in attesa della fumata, nella calca sotto un acquazzone, un romano sembra quasi giustificarsi: "E´ molto più interessante dell´estrazione del Lotto!". Un gioco, dunque, forse un vizio, a suo modo. Ma pure qualcosa di spaventosamente serio, il conclave, per gli scrittori. "Fate attenzione alla frusta, fate attenzione al fuoco, non irridete la pazienza di Colui che vi aspetta a penitenza". Così, nel 1314, dopo la morte di Clemente V, rivolgendosi in latino ai cardinali italiani riuniti in conclave a Carpentras, c´è chi comincia a sperimentare il potere delle proprie invettive e si firma: "Dante fiorentino". E´ impressionante come già nella sua XI epistola Dante invochi lucidamente l´Italia, negletta, a cominciare dalla sua Chiesa prigioniera dei francesi. E sferza la vigliaccheria dei cardinali, con nomi e cognomi, la loro "cupidigia, empietà, iniquità"; gli lascia intravedere "una cicatrice d´infamia". Con una modestia che in verità non suona del tutto sincera sostiene di considerarsi "una ben misera pecorella"; e infatti di lì a poco arriva a proporsi come voce del popolo: "Quel che io grido, infatti, tutti lo mormorano, o lo mugugnano, o lo pensano, o lo sognano, benché non lo dimostrino apertamente". Invano Dante chiede ai cardinali italiani di svegliarsi, riportare il papato a Roma. Inutile qui sottolineare quanto la storia, in venti secoli, s´incrocia con l´elezione papale. Nel Galileo di Brecht, l´uomo di scienza perseguitato si rianima quando apprende che sta per essere eletto il cardinale Barberini, il futuro Urbano VIII, un matematico: "Uno scienziato sulla cattedra di Pietro!" gli dicono. E lui: "Non avremo più bisogno di guardarci intorno come malfattori per dire che due e due fanno quattro". Le amarezze, le speranze. Ma anche i sarcasmi, i "pasquilli" dell´Aretino, che fu conclavista nel 1522, oltre a una strana opera, "Il Puttanismo romano" (ripubblicato da Salerno nel 2004) di uno strano scrittore, Gregorio Lati (1630-1701), morto calvinista, che alla morte di Alessandro VII, papa omosessuale con enorme corte di prelati omosessuali, immagina le cortigiane di Roma, ormai senza lavoro, impegnate in un conclave parallelo per scongiurare un altro pontefice gay. Fino ai diversi romanzi, anche contemporanei, d´intrigo vaticano: di solito la trama si dipana nel corso di un´elezione interminabile funestata da assassinii, e vale qui ricordare "Il conclave" di Roberto Pazzi (Frassinelli, 2001) e, prediletto da Federico Fellini, "Il conclave" di Fabrizio Battistelli (Garzanti, 1991), dove si narrano le avventure di un nobile romagnolo che si pone al servizio dell´ala cripto-giansenista della Chiesa favorendo l´ascesa di Benedetto XIV. Tutto sommato si arriva quasi a ridosso del conclave di Stendhal, da cui uscì Pio VIII. Ha fatto notare Alberto Moravia che proprio in quell´occasione finiscono le Promenades e cominciano, effettivamente, i sonetti di Giuseppe Gioachino Belli. Ce n´è appunto uno, terribile, che dà conto della figura fisica dell´eletto. Un vecchio malandato che mette paura ai bambini: "Che fior de Papa, creeno. Accidenti./ Co´ rispetto de lui pare er cacamme./ Bella galanteria de tate e mamme/ pe´ fa bobò a li fiji impertinenti./ Ha un erpete pe´ tutto, nun tiè denti,/ è guercio, je strascineno le gamme,/ spennola da una parte e buggiaramme/ si arriva a fa la pacchia a li parenti./ Guarda lì che figura da venicce/ a fa da Crist´in terra. Cazzo matto/ imbottito de carne de sarcicce"... Fece in effetti una pessima impressione anche al piemontese Massimo D´Azeglio, Pio VIII, il papa "strucchione". Di lì a poco morì. E allora subito un altro conclave per l´atroce vena belliana. Filippo Ceccarelli