19 aprile 2005
Tags : Mario. Kindelán
Kindeln Mario
• Nato a Holguin (Cuba) il 10 agosto 1971. Pugile. Medaglia d’Oro dei pesi leggeri alle Olimpiadi di Sydney e Atene. «Combatte in giro per il mondo ma si allena a L’Avana in una palestraccia dismessa, su un sacco lento costruito con tre pneumatici di automobile (’anche abbastanza rovinati”) appesi a un canestro sbilenco. E di sacco veloce, non se ne parla neppure. Mario Kindelán è il ”million dollar baby” mancato degli ultimi anni, il più richiesto e il più schivo. Non perde dal ’99. [...] Da anni il telefono di casa Kindelán, a Holguin, squilla in continuazione. Lo cercano per convincerlo a mollare l’etica del duro e puro (’sei un pozzo di dollari, ragazzo”, gli dissero [...] anni fa con gli occhi sgranati). Ma lui è figlio dei figli della rivoluzione e questa storia di dover combattere per Zio Paperone non l’ha mai convinto. Anche Evander Holyfield e Sugar Ray Leonard hanno tentato di intaccare la sua integrità. Il primo ha cominciato a lavorarlo ai fianchi a Sydney nel 2000. Leonard ci sta ancora provando: ”Lo ringrazio ma i soldi non possono comprare ciò che già possiedo. Forse me lo farebbero perdere”. A chi vorrebbe strapparlo da casa non va che questo ragazzo ostenti un senso dell’appartenenza da mandare ko qualunque trattativa commerciale che non tenga conto del suo punto di vista: ”Le mie conquiste sono le conquiste di Cuba”. Neppure Leonard era attrezzato per gestire il lato spirituale di un’offerta di lavoro. Nel 1972 Teofilo Stevenson, adorato da Castro come Supermario oggi, davanti all’occasione della sua vita non poté fare a meno di chiudersi nella sua buccia cubana: ”Che cosa può contare un milione di dollari di fronte all’amore di otto milioni di cubani?”. Dopo tre ori olimpici era rimasto dilettante dentro. A Mario l’America piace ancora meno: ”Sono trafficanti di anime”. Quel che ricorda di più della notte in cui vinse il Campionato del Mondo a Houston nel ’99 non è tanto il suo trionfo ma il trattamento scandaloso che venne riservato dagli arbitri agli altri pugili cubani. ”E Fidel ci ordinò di tornare immediatamente a casa”. A quasi 34 anni [...] Mario va in giro con una Peugeot 205 più ammaccature che carrozzeria, in casa non ha l’acqua corrente, però ha ”due figlie meravigliose, Jaine e Jarianne, due ori olimpici (Sydney e Atene) e il rispetto della mia gente e di me stesso”. I suoi concittadini lo onorano come fosse il loro Muhammad Ali. Gli ricorda Kid Chocolate, mito della boxe cubana degli anni Trenta. Gli aprono i ristoranti nel giorno di chiusura e si offendono se tenta di pagare il conto. Sua madre Barbara, prof di matematica, voleva farlo diventare un ballerino, poi un musicista, e in un certo senso Mario l’ha accontentata. Solo che suona i rivali al posto degli strumenti. ”Si muove come se ballasse la salsa”, ha detto il suo coach Julian Cedeno. [...] ”[...] A Cuba siamo pochi, ma tutti combattenti, e per tutta la vita non abbiamo fatto altro che combattere. [...]” [...]» (Enrico Sisti, ”la Repubblica” 19/4/2005).