Fabrizio Rondolino, La Stampa, 18/04/2005, 18 aprile 2005
Nome del papa, La Stampa, 18/04/2005 Non appena il quorum per l’elezione del nuovo Pontefice è stato raggiunto, e terminate le operazioni di scrutinio e di controllo delle schede, l’ultimo per anzianità dei cardinali dell’Ordine dei Diaconi apre la porta sbarrata della Cappella Sistina e chiama il Segretario del Collegio cardinalizio e il Maestro delle Celebrazioni liturgiche pontificie
Nome del papa, La Stampa, 18/04/2005 Non appena il quorum per l’elezione del nuovo Pontefice è stato raggiunto, e terminate le operazioni di scrutinio e di controllo delle schede, l’ultimo per anzianità dei cardinali dell’Ordine dei Diaconi apre la porta sbarrata della Cappella Sistina e chiama il Segretario del Collegio cardinalizio e il Maestro delle Celebrazioni liturgiche pontificie. Subito dopo, il cardinale Decano (se fosse Joseph Ratzinger il nuovo Papa, il compito toccherà al primo dei cardinali per ordine e anzianità) chiede a nome dell’intero collegio il consenso dell’eletto: "Accetti la tua elezione canonica a Sommo Pontefice?". Dopo l’accettazione formale dell’elezione, è di nuovo il Decano (o il cardinale che dopo di lui ha maggiore anzianità) a porre la seconda domanda di rito: "Come vuoi essere chiamato?" L’usanza di cambiare nome non appena eletto Papa risale alla fine del X secolo, e nacque per caso o per necessità: non dunque per motivi dottrinali. L’istituzione stessa del Pontificato, è vero, nasce con un cambio di nome: Gesù, infatti, ribattezza il discepolo Simone proprio nel momento in cui gli conferisce, almeno secondo l’interpretazione cattolica, l’incarico di capo della Chiesa: "Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa" (Mt. 16, 18). E tuttavia nei primi secoli del cristianesimo i Papi, esattamente come gli imperatori di Roma, si facevano chiamare con il loro nome proprio: Lino, Anacleto, Clemente, Evaristo, Alessandro, Sisto, Telesforo, Igino, Pio, Aniceto, Sotero, Eleuterio, Vittore, Zefirino, Callisto, Urbano, Ponziano, Antero, Fabiano, Cornelio, Lucio, Stefano, e così via fino al 532, quando fu eletto Papa un umile prete di San Clemente, Mercuriale (o Mercurio): ritenendo probabilmente troppo pagano il proprio nome, lo cambiò in Giovanni II e così venne consacrato il 2 gennaio del 533. E’ possibile che, dopo di lui, abbiano anche cambiato nome Giovanni III (561-574), che forse si chiamava Catelino, e il suo successore Benedetto I (575-579), che forse si chiamava Bonosio. Il secondo a cambiare sicuramente nome fu nel 955 Giovanni XII: si chiamava in realtà Ottaviano ed era figlio di Alberico II, quell’"umile principe e senatore di tutti i Romani" che regnò su Roma per molti anni. Alberico, morendo, si era fatto giurare dai cardinali l’elezione a Papa del figlio: che in questo modo riunificò dopo trent’anni potere temporale e potere spirituale. Fu tuttavia soltanto nel 983 che il cambiamento del nome divenne una consuetudine mai più abbandonata: Pietro, vescovo di Pavia, ritenne inopportuno chiamarsi come il fondatore della Chiesa (nella libellistica apocalittica, tra l’altro, "Pietro II" è spesso l’ultimo Papa), e divenne Giovanni XIV. Morì avvelenato in una cella di Castel Sant’Angelo, a pochi mesi dall’elezione, quando Bonifacio VII riprese con l’aiuto di Costantinopoli il controllo di Roma (in capo a undici mesi fu assassinato dalla folla inferocita, che trascinò il suo cadavere per le strade di Roma). Nel corso del tempo il cambio del nome ha assunto naturalmente un significato simbolico, sia perché sta a significare una sorta di rinascita all’atto dell’elezione, sia perché nella scelta del nome si può individuare una prima dichiarazione programmatica del neoletto, o una sua ambizione, o un riconoscimento al Pontefice che lo aveva creato cardinale. Sembra dunque che Enea Silvio Piccolomini abbia scelto Pio II per via di Virgilio ("Sum pius Aenea"), che Rodrigo Borgia si sia chiamato Alessandro VI per emulare l’imperatore macedone, e che Giuliano della Rovere abbia voluto chiamarsi Giulio II in omaggio a Cesare. Nell’ultimo secolo la scelta assume anche un carattere per dir così politico: Giovanni Paolo I, per esempio, scelse di unire i nomi dei due predecessori per segnalare la continuità conciliare. Prima di lui Angelo Roncalli, per staccarsi anche simbolicamente da un passato costellato di molti Pio, e non tutti commendevoli, rispolverò il nome di Giovanni, che non veniva più scelto dal 1316. Esiste per la verità un altro Giovanni XXIII nella storia della Chiesa: è il cardinale napoletano Baldassarre Cossa, penultimo antipapa, eletto nel 1410 nel pieno dello scisma d’Occidente, poi deposto dall’imperatore Sigismondo, e infine perdonato da papa Martino V, che lo nominò cardinale vescovo di Tuscolo. Nella scelta di prendersi il nome di un antipapa, Roncalli non fu però l’unico, anzi: prima di lui, e proprio a segnalare l’illegittimità dell’elezione dell’omonimo, altri nove Papi si fecero chiamare come, prima di loro, si era fatto chiamare un antipapa. Per gli amanti delle statistiche, i nomi dei Papi sono in tutto una settantina, e meno della metà è stata ripetuta. Il più frequente è Giovanni, seguito da Gregorio (16), Benedetto (15), Clemente (14), Innocenzo e Leone (13). Torniamo al momento dell’accettazione. Il Maestro delle Celebrazioni, con funzione di notaio e avendo per testimoni due Cerimonieri, ne redige l’atto formale. Il Camerlengo preparerà invece, con l’aiuto dei tre cardinali assistenti, una relazione conclusiva sul Conclave che riporta l’esito di ciascuna votazione. Mentre il primo documento è pubblico, il secondo sarà consegnato al Papa e quindi chiuso in una busta sigillata prima di essere depositato presso gli archivi vaticani: non potrà essere aperta da nessuno, "se il Sommo Pontefice non l’avrà permesso esplicitamente". Le schede dell’ultimo scrutinio vengono bruciate dai Cerimonieri, che opportunamente "coloreranno" di bianco la fumata con uno speciale additivo chimico. Ora l’eletto è formalmente e a tutti gli effetti capo della Chiesa o, come specifica la Costituzione apostolica "Universi dominici gregis", "è immediatamente Vescovo della Chiesa Romana, vero Papa e Capo del Collegio Episcopale" e "acquista di fatto la piena e suprema potestà sulla Chiesa universale, e può esercitarla". Se non fosse già vescovo, verrà subito consacrato tale (accadde l’ultima volta il 5 luglio 1294, quando dopo 27 mesi di Sede vacante i cardinali elessero papa il frate Pietro Angeleri, lo sfortunato Celestino V). Portato in una sala adiacente alla Sistina, il neo-Pontefice indossa gli abiti papali ("immantatio") e, subito dopo, riceve l’"adoratio" dei cardinali. Il suo primo atto di governo sarà la conferma del Camerlengo, o la nomina di un nuovo Camerlengo, il quale gli infilerà al dito l’anello piscatorio. L’intera cerimonia dura di norma meno di un’ora: dopodiché il primo dei cardinali Diaconi annuncia alla loggia esterna della Basilica vaticana il nome del nuovo Pontefice con la ben nota formula: "Annuntio vobis gaudium magnum. Habemus papam". Infine il nuovo Pontefice si affaccia alla loggia e impartisce la solenne benedizione "urbi et orbi": usanza, quest’ultima, ripresa da Pio XI, dopo che i tre Papi che lo avevano preceduto si erano limitati ad una benedizione dalla loggia interna di San Pietro, in polemica con la proclamazione di Roma capitale. Terminata la benedizione, il Pontefice di norma si ritira: gli ultimi due Papi, però, hanno anche pronunciato un breve e tutt’altro che formale discorso alla folla (indimenticabili il "non sono mai diventato così rosso" di Giovanni Paolo I e il "se sbaglio mi corigerete" di Wojtyla). La domenica successiva all’elezione ha luogo, di norma, la cerimonia di consacrazione (o incoronazione), naturalmente in San Pietro. Un tempo la cerimonia era fastosa: il Pontefice portava in capo il triregno, procedeva tra i flabelli sulla sedia gestatoria con le sacre pantofole ai piedi e l’anello di brillanti e la croce d’oro sul petto. Per tre volte cardinali e vescovi intonavano il famoso versetto dell’Ecclesiaste ("Vanitas vanitatum..."), mentre un batuffolo di cotone veniva bruciato a simboleggiare la fuggevolezza della gloria mondana. Conclusa la complessa cerimonia in Vaticano, un lungo, pittoresco corteo di carrozze e di cavalieri, di nobili e di vescovi e di popolani accompagnava il Papa a "prendere possesso" della Patriarcale Arcibasilica Lateranense, cioè della propria sede come vescovo di Roma. Il "possesso" di San Giovanni segue il trasferimento dei Papi dal Laterano al Vaticano, cioè dopo il ritorno da Avignone nel 1377. In precedenza il corteo si sviluppava nella direzione opposta, da San Giovanni (dove il Papa era stato eletto) a San Pietro (dove veniva incoronato), per poi rientrare in Laterano. Con Giovanni Paolo I le cose sono cambiate radicalmente, secondo lo spirito del Concilio e in ideale continuità con il funerale minimalista voluto per sé da Paolo VI: niente triregno, niente sedia gestatoria, niente guardie nobili. La sua messa di consacrazione si svolse su un altare bianco; al termine sfilarono davanti a Luciani i cardinali per la rituale "professione di fede", col bacio dell’anello e l’abbraccio. Il "possesso" del Laterano, infine, fu assai meno solenne e sfarzoso. Wojtyla non si discostò molto da questo copione, e così è probabile che avvenga con il nuovo Papa. Fabrizio Rondolino