Francesco Manacorda, La Stampa, 17/04/2005, 17 aprile 2005
Ricucci, La Stampa, 17/04/2005 "Ricucci chi?" - come replicò Cesare Geronzi nell’autunno di tre anni fa a chi gli domandava di quell’immobiliarista che stava accumulando azioni su azioni di Capitalia - non se lo chiede più nessuno
Ricucci, La Stampa, 17/04/2005 "Ricucci chi?" - come replicò Cesare Geronzi nell’autunno di tre anni fa a chi gli domandava di quell’immobiliarista che stava accumulando azioni su azioni di Capitalia - non se lo chiede più nessuno. "Ricucci dove?", piuttosto, ripetendo il nome che da settimane si sente sulla bocca di tutti, e che ha motivato due giorni fa un editoriale del Sole 24 Ore mirato a scoprire da dove vengono tanti soldi. Ricucci dove: e qui la risposta si fa multiforme: ad esempio nel capitale della Bnl con il 5%, attraverso la sua Magiste, una holding lussemburghese che da tempo annuncia di voler portare in Italia e che è controllata dal Lybra Trust, fondo fiduciario delle Isole Guerney; prima bussando insistentemente alle porte del patto di sindacato guidato dagli spagnoli del Bbva nel quale "mi riconosco totalmente" e poi passando con mossa repentina al contropatto guidato da Francesco Gaetano Caltagirone, dal quale pure lo dividono non pochi tratti caratteriali e stilistici; ma c’è Ricucci anche nell’Antonveneta contesa tra olandesi e lodigiani, con una quota dichiarata appena sopra il 2%, a fianco dell’amico e sodale Gianpiero Fiorani, dominus della Popolare di Lodi; o ancora Ricucci alla scalata apparentemente impossibile del capitale di RcsMediagroup dove ha ufficialmente superato il 5% ma dove - almeno prima dello sboom borsistico cominciato giovedì - si attribuiva già una quota vicina al 7,5%. Una sorta di Don Ciccio Ingravallo finanziario di gaddiana memoria, insomma, "ubiquo ai casi, onnipresente su gli affari tenebrosi". "Ricucci come?", poi. Ovvero, come ha fatto l’odontotecnico nato a Roma quarantatre anni fa da una famiglia normalissima, con un papà che faceva l’autista dell’Atac, a trovare i capitali che lo hanno lanciato prima nel mondo del mattone e poi in quello della finanza con un patrimonio tra azioni e immobili che lui stesso stima in due miliardi di euro, ossia poco meno di quanto capitalizzano in Borsa l’intera Mondadori o il gruppo Espresso. Di qui la curiosità, legittima, sulla ricchezza e sulla trasparenza di quel trio di immobiliaristi - Coppola, Statuto e naturalmente Stefano Ricucci - ora finanzieri d’assalto. L’interessato la sua risposta l’ha data ieri sullo stesso quotidiano, con una garbata lettera in cui spiega anche che "non accetto lezioni di trasparenza da questo sistema e dai suoi rappresentanti". Del resto tutto il percorso tra lo studio di odontotecnica di San Cesareo e le fortune attuali sta nel racconto ormai leggendario e ricco di particolari che negli scorsi anni Ricucci stesso non ha mai negato a chi si interessava alla sua eccezionale progressione economica. In sintesi: inizio Anni ’80, nuovo piano regolatore di San Cesareo, terreno edificabile della madre, prestito del padre con ipoteca sulla casa, costruzione di piccolo centro commerciale "e così ho guadagnato 186 milioni di lire". Di là in poi è un crescendo ininterrotto narrato secondo uno schema rigorosamente esponenziale: "Con un miliardo ho comprato un’altra area ceduta dopo sei mesi a 1,7 miliardi". Nell’87 il primo incontro con la finanza: "Avevo 25 anni e circa due miliardi da parte". Li investe in fondi comuni e - sì, indovinato - "sei mesi dopo mi sono ritrovato con quattro miliardi". Quindici anni tra mattoni, fondi e banche prima di fare il grande salto nella finanza, con un indiscutibile fiuto nello scovare situazioni "calde" su cui scommettere. Così l’ingresso e l’uscita da Capitalia gli lasciano in tasca almeno 100 milioni di euro di plusvalenze; o il passaggio nella Hopa di Chicco Gnutti - con il quale però non è rimasto amico - gli consente di ricavare la sua parte nell’affarone della vendita di Telecom a Marco Tronchetti Provera. Ora, non più ai margini ma prossimi al centro della scena finanziaria italiana - sebbene le porte dei patti di sindacato rimangano per lui inesorabilmente chiuse - Ricucci conta su una rete di rapporti consolidati. Quello con Fiorani, innanzitutto, anche perché la Popolare di Lodi è una delle banche che hanno linee di credito a suo favore per circa 600 milioni di euro complessivi - ma anche con il potente capo della Confcommercio Sergio Billé con il quale ha appena messo in piedi la Confimmobiliare. E nel febbraio scorso, al Forex di Modena dove il governatore Fazio difende l’italianità delle banche, l’immobiliarista diventato azionista di Bnl è seduto nelle prime file. Ricucci e la cronaca, infine, capitolo da non sottovalutare. Quella rosa, innanzitutto, che si innesta sul duraturo rapporto con l’ex miss Italia diventata attrice Anna Falchi, destinato a trasformarsi in matrimonio ("ma voglio pochi invitati, al massimo una ventina") sabato due luglio in Sardegna, e si spinge nelle pagine sportive con una toccata e fuga nell’azionariato della Lazio - di cui Anna è tifosissima. Ma in tanta esposizione mediatica "che non è altro che la indesiderata conseguenza di importanti sfide imprenditoriali che mi vedono protagonista", come ha scritto ieri al Sole 24 Ore, c’è spazio anche per vicende meno frivole. Come i colpi di pistola sparati il 27 luglio 2002 contro gli uffici della Magiste, appena dieci giorni dopo un furto di orologi per 250 mila euro a casa Ricucci. O la vicenda che lo vede contrapposto al fratello dell’ex moglie Francesco Bellocchi, già dirigente della Magiste, e che proprio questa settimana gli è costata la richiesta di rinvio a giudizio da parte della Procura di Roma per truffa, appropriazione indebita e calunnia. Cose spiacevoli. Ma "Ricucci chi?" non lo dice più nessuno Francesco Manacorda