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 2005  aprile 17 Domenica calendario

Monicelli & Risi. La Repubblica 17/04/2005. "Caro Mario", "caro Dino". A novant´anni (il 15 maggio) Monicelli, a ottantotto Risi, i due attaccano a scambiarsi scherzi velenosi su rispettivi acciacchi ed età, a gareggiare con finta modestia su chi ha avuto più successo con le donne

Monicelli & Risi. La Repubblica 17/04/2005. "Caro Mario", "caro Dino". A novant´anni (il 15 maggio) Monicelli, a ottantotto Risi, i due attaccano a scambiarsi scherzi velenosi su rispettivi acciacchi ed età, a gareggiare con finta modestia su chi ha avuto più successo con le donne. Risi in jeans, l´altro in pullover verde sgargiante. Cazzeggiano a tutto andare e non c´è verso di iniziare l´intervista. Ciascuno dei due ne ha date centinaia, ma mai una insieme. Per onorare il maestoso compleanno di Monicelli abbiamo proposto loro quest´incontro: un dialogo tra i due maestri della commedia all´italiana. Iniziato spavaldamente e concluso con parole malinconiche e un abbraccio commosso. Monicelli. "Mi fa piacere che non stai bene". Risi. "Come ti fa piacere?". Monicelli. "Il mio problema è di non morire insieme a un altro. Mi si cancellerebbe la visibilità". Risi. "Quindi è meglio se muoio prima di te". Monicelli. "L´importante è che moriamo separatamente. Basta che non mi succeda come a Ranieri. Ma il giornalista, qui, vuole parlare di cinema".  prassi consolidata considerarvi parenti stretti. Di identificare nei vostri film il cuore della commedia italiana. Monicelli. "Non vorrei essere confuso". Allora cominciamo dalle differenze. Una eccola: Risi è per definizione il cantore dell´Italia del boom, delle spiagge, delle canzonette, dell´euforia consumista. Monicelli non è identificabile con una stagione. Monicelli. "Risi è un libertino". Risi. "Un po´ sì. Ma anche tu non scherzi". Monicelli. "Sei tu quello á la page, che frequenta. Non hai sentito il giornalista? I tuoi film questo raccontano". Risi. "Sono un solitario, non vado da nessuna parte. Il mio motto è evitare". Monicelli. "I tuoi erano film pieni di gioventù. I miei pieni di poveracci". Risi. "A Roma c´è un ristorante che è un ritrovo di cinematografari. Una volta che è andato a uno di questi raduni Mario ha detto: non ci vado più, troppi vecchi. E avevano tutti dieci o vent´anni meno di lui". Non vi siete mai sentiti rivali? Monicelli. "No perché andava bene a tutti. Il lavoro era tanto che bisognava rifiutarlo, avevamo tutti successo, il pubblico ci premiava". Risi. "Poi c´erano dei bei gruppi di lavoro, stare insieme era piacevole, eravamo una famiglia". Mai provata invidia per i colleghi che godevano di maggior considerazione artistica? Monicelli. "Antonioni? Io avevo il pubblico e la critica mi considerava trash, lui era amato dalla critica ma non aveva il pubblico. Eravamo abituati, la critica parlava male dei film miei e di Dino e io mi ero convinto che avesse ragione". A Sordi avete dato occasioni memorabili. Quali sono state le sue prove più belle? Monicelli. "Una vita difficile di Dino, l´ho sempre detto. Più che un merito una fortuna, se vuoi che dica una cattiveria". La domanda è antica ma non avete mai risposto insieme: di che cosa è fatta una commedia all´italiana? Monicelli. "Viene da lontanissimo: Boccaccio". Risi. "Plauto". Monicelli. "Turpitudine, cinismo. La Mandragola. La commedia dell´arte, arrangiarsi, sopravvivere a miseria e fame, ai padroni". Non è stata soltanto un genere. Un modo di essere, di pensare. Un clima, uno stato d´animo. Monicelli. "Una stagione. Anche quando stavamo tra noi, scherzavamo, ci passavamo le battute e perfino i soggetti l´un l´altro, vivevamo dentro la commedia". In che misura avete inventato voi e quanto era sotto i vostri occhi? Monicelli. "Era tutto nella società. Ricordate quello dei frigoriferi, Borghi, per noi diventò il prototipo dell´industriale lombardo un po´ volgare". Risi. "Tutto è cominciato con il frigorifero e la Lambretta". La diffidenza critica, e da parte del cinema cosiddetto serio. Risi. "I critici per noi erano degli stronzi. Pensare che poi gli stessi, dopo vent´anni, ti chiamano maestro". Monicelli. "Io mi arrabbiavo quando scrivevano che i film non facevano ridere. Erano loro che non sapevano ridere". Ora siete ampiamente celebrati. Monicelli. "Anche troppo". La consacrazione vi ha tolto una certa spensierata irresponsabilità? Era proprio il sospetto di superficialità e disimpegno a rendervi incisivi? Da quando siete stati presi sul serio avete perso qualcosa? Monicelli. "Non c´è dubbio, per me". Risi. "Invecchiando io ho sentito che la mia vita diventava più seria. Attratta da film che non fossero più solo di divertimento, vacanze, belle ragazze". Monicelli. "Io no. Avrei continuato con Totò all´infinito". La Grande Guerra o Una vita difficile comunicavano un messaggio che era più avanti di quello che si diceva a scuola o alla tv o sui giornali. Monicelli. "Ma La Grande Guerra prese un sacco di botte. Anche Il sorpasso fu liquidato come una commediola". Risi. "Il produttore Cecchi Gori non voleva che finisse in tragedia". Monicelli. "Era la battaglia che dovevamo combattere sempre. Difendere il principio che la commedia italiana non è a lieto fine". I vizi italiani che voi rappresentavate venivano sovrapposti al giudizio su di voi, accusati di essere complici. Risi. "Un po´ è vero". Monicelli. "Un po´ di compiacimento ma identificarsi no. Tante domande non ce le ponevamo". Risi. "Ci sono registi che inseguono il capolavoro. Noi eravamo artigiani, mestieranti. Ci piaceva una cosa, la facevamo". Monicelli. "Poi i significati uno ce li aveva dentro, senza bisogno di fare film a tesi". Ma erano più presenti che nei film a tesi. Questo pensate? Risi. "Alla fine dell´anteprima del Sorpasso, con le mogli impellicciate dei funzionari, ci fu un gelo totale". Oggi si rivendica che la commedia all´italiana era di sinistra. Ma se Monicelli portò I compagni al congresso del Psi di Nenni, Risi si è sempre dichiarato non politicizzato. Risi. "Non mi è mai fregato niente di essere di destra o di sinistra, ma raccontavo cose che avevano dentro un cuore politico. E non si spiega perché nessuno abbia fatto un film su Berlusconi o Bossi. I giovani raccontano i loro tormenti privati mentre il mondo produce mostri. Qualsiasi film intelligente è politico, se parla non a dieci persone ma a centomila". Oggi prevale un´idea di voi non dico bonaria perché non avete mai smesso di essere provocatori, ma insomma siete due patriarchi. Risi. "Come?" Monicelli. "Dice che sei un patriarca". Ma nei vostri film avete messo molta cattiveria. Siete cattivi? Monicelli. "La commedia all´italiana cos´è? Argomenti drammatici visti attraverso la commedia. Per trovare il comico nel drammatico non puoi che essere cattivo". Risi. "Chi più cattivo di Chaplin?". Monicelli. "Il vero comico è spietato. L´umorismo non ha pietà". Tratto comune è il cinismo (vero o apparente?): sminuire, smitizzare tutto. Siete stati severi verso voi stessi, iperautocritici. Risi. "Per pudore". Monicelli. "Siamo stati educati così. Se usciva un film di De Santis era un trionfo di discussioni, interventi di pezzi grossi del partito. Noi non siamo abituati alla considerazione di sé". I registi più giovani sono alla vostra altezza? Risi. "Che parolone. Ci sono ragazzi che valgono". Monicelli. "Ce ne sono di qualità. Marra, Costanzo, Sorrentino". Estranei al vostro modello. Ce ne sono altri che si ispirano a voi. Monicelli. "Cui però manca l´anima nata da una dittatura e da una guerra perduta e dalle macerie". Vengono dalla pace e dal benessere, non è una colpa. Monicelli. "Già. C´era la famosa battuta: non possiamo mica perdere una guerra per far fare un bel film a Rossellini". Venite da famiglie borghesi, intellettuali, antifasciste. Risi. "Mio padre è morto quando avevo dodici anni. Era medico della Scala. Ho visto Toscanini mentre si cambiava la camicia tra un atto e l´altro, Toti Dal Monte mi ha preso in braccio. La domenica arrivava a casa con il pacchetto delle paste ed era una festa". Monicelli. "Mio padre è stato cacciato dal fascismo da direttore del Resto del Carlino, vent´anni senza poter lavorare, quando è tornata la libertà il crollo delle illusioni è stato tale che si è suicidato". Risi. "Mio padre era stato compagno d´armi di Mussolini. C´è una foto dove, capitano medico elegante, è accanto a un uomo con le mani in saccoccia e l´elmetto sulle ventitré con la faccia da mascalzone. Mussolini". Avete raccontato la guerra. Come è stata la vostra? Monicelli. "Chiamato nel ´40 in cavalleria, mi hanno mandato in Jugoslavia. Poi a Napoli dovevo essere imbarcato per la Libia ma è arrivato prima l´8 settembre, mi sono messo un vestito borghese, sono uscito dalla caserma e non mi hanno più visto". Risi. "Ero al corso allievi ufficiali, dovevo partire per la Russia ma ho beccato un´epatite che mi ha salvato. I miei compagni sono partiti in duecento e sono tornati in cinquanta. L´8 settembre con mio fratello, Giorgio Strehler e altri siamo entrati in Svizzera e ci siamo rimasti fino alla Liberazione". Un pensiero sui vostri compagni di strada? "Monicelli. "Con Steno ho vissuto il momento più felice della mia carriera, i film di Totò. Di Germi sono stato amico anche se non era facile: fu lui ormai malato a chiedermi di dirigere Amici miei". Sui titoli c´è scritto "un film di Pietro Germi". Monicelli. "Certo, era suo". Risi. "I primi due produttori della mia carriera. L´avvocato Martello, che guidava come un pazzo, un giorno mi trascinò a Varese, poi a Lugano per comprare le sigarette, poi a pranzo alla corte del principe del Liechtenstein, dove si presentò come giornalista mostrando la tessera dei tram di Milano: diventò l´ispiratore del Sorpasso. E il commendator Mambretti che si rifiutò di fare Pane amore e fantasia perché secondo lui offendeva l´Arma. Ancora una parola per due "ragazzi" della nostra età: uno condannato in un letto dal Parkinson, Comencini. L´altro, Lattuada, sono andato a trovarlo e non mi ha riconosciuto. Che siano festeggiati anche loro". Vi sono piaciute le vostre vite? Risi. "Nel cinema non ho mai sentito nessuno scontento. o almeno era un´avventura, una vacanza". Monicelli. "Anche quando va male, figurati quando va bene: sono andato in giro dappertutto a spese altrui, ho conosciuto gente importante, fino a 90 anni. Che vuoi di più?". Risi. "Lasciami ricordare anche un´altra faccia. Gassman, l´ultima volta che è venuto qui da me, si è affacciato alla finestra e ha visto l´aquila lì nella gabbia (Risi abita di fronte allo zoo, ndr). Ha detto: quell´aquila sono io. L´ultima cosa che abbiamo fatto insieme era una pubblicità di trenta secondi e Vittorio non riusciva a ricordare l´unica battuta. Alla fine, come un debuttante, mi è venuto vicino e sottovoce mi ha chiesto: come sono andato?". Paolo D’Agostini