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 2005  aprile 16 Sabato calendario

Mazzantini Carlo

• Roma 1925, 28 dicembre 2006. Scrittore. Padre di Margaret • «[...] il 25 aprile 1945, uno dei tanti ragazzi che avevano scelto la parte sbagliata, con l’incoscienza e la testardaggine che l’avevano condotto sin lì, nel centro di Milano, invece di nascondersi, procurarsi abiti civili, si tolse la maglia grigioverde d’ordinanza e uscì per le strade con la camicia nera. Fu catturato, stava per essere fucilato, ma riuscì a salvarsi e ora è qui a raccontare [...] quelle vicende le ha narrate anche in altre occasioni, soprattutto nel più bel romanzo scritto dalla parte dei vinti, i reietti, A cercar la bella morte, e poi nel saggio I balilla andarono a Salò, oltre che in una serie di opere narrative in cui il dato autobiografico prevale sullo sfondo storico. [...] Se dovessimo riassumere l’assunto di Mazzantini sul biennio cruciale 1943/45, useremmo l’espressione di ”caduta del padre”. Perché in quegli anni andarono in crisi non soltanto la retorica fascista, ma anche i valori di quegli italiani, come il padre di Mazzantini, che avevano combattuto e sofferto nella prima guerra mondiale e poi avevano dato origine al fascismo. Ecco il credo di Mazzantini: ”La vera festa nazionale non è il 25 aprile, che oltre alla Liberazione dal nazifascismo è simbolo soprattutto di divisioni, ma il 4 novembre, giorno della vittoria di una guerra che fu combattuta da tutti gli italiani uniti. Il 25 aprile per me non può essere festa nazionale, perché rappresenta la lotta di una minoranza, i duecentomila che aderirono alla Resistenza, contro un’altra minoranza, e perché non è la fine ma l’avvio di una guerra civile durata ancora due o tre anni”. [...] racconta il suo punto di vista, la sua crisi: quella di un ragazzo borghese, che il 12 settembre 1943, appena diciottenne, si arruola per andare al fronte e lavare la vergogna di un re e una classe dirigente in fuga davanti al pericolo. Una generazione di ”pharmakoi”, capri espiatori, che ”raccolgono la responsabilità patriottica lasciata cadere dagli adulti, dai padri” e si ritrovano invece che al fronte, come volevano e credevano, a combattere una guerra civile contro ragazzi come loro. E al ritorno la delusione più grande: ”Eravamo partiti convinti di essere salvatori della patria e ci ritrovammo non soltanto sconfitti ma reietti, costretti a nasconderci, considerati traditori. Nella gran zuffa della guerra civile si fronteggiano due facce del postfascismo: quella dei nostri fratelli maggiori, i Vittorini e i Bocca, che avevano avuto la possibilità di incontrare intellettuali critici verso il regime, avevano potuto leggere libri anticonformisti, e noi, i più giovani, educati a credere nella retorica fascista, nei valori della patria. [...]Per mezzo secolo, sostiene [...], siamo stati incapaci di guardare il passato ad occhi aperti. ”Una rimozione cominciata con lo scempio di piazzale Loreto, orribile momento catartico che offrì al Paese l’alibi per dimenticare. Quanto diversa sarebbe stata la nostra storia se Mussolini, invece che ucciso in quel modo, fosse stato processato. E quanto diverse sarebbero state le nostre vite se i rappresentanti della patria, invece di abbandonarci, si fossero assunti la loro responsabilità. Magari comunicando all’alleato tedesco la decisione di firmare l’armistizio, attendendo a pie’ fermo la reazione. Non ci sarebbe stata guerra civile, non ci saremmo stati noi, i reietti, e non ci sarebbe stata la storia rimossa, il passato che non passa [...]”» (Dino Messina, ”Corriere della Sera” 16/4/2005).