16 aprile 2005
Tags : Ron. Arad
Arad Ron
• Nato a Tel Aviv (Israele) nel 1951. Designer. «Sostiene Ron Arad che per diventare il Signore delle Curve ha dovuto obbedire a una sola regola: combattere la noia guadagnandosi la licenza di sperimentare. Per questo è stato un pioniere del riciclo e in pieno movimento high tech ha riesumato dalle discariche i sedili delle auto inventando la Rover Chair (’81) e assicurandosi un posto in pole position tra le belle promesse del design d’avanguardia. A quel punto, l’architetto israeliano emigrato a Londra in cerca di fortuna potè dare forma alla sua ossessione: piegare scintillanti fogli d’acciaio in enormi curve barocche per costruire sedie e poltrone sorprendentemente funzionali. Una poesia di concavi e convessi che ha moltiplicato su sculture, installazioni, mobili ed edifici come il foyer dell’Opera di Tel Aviv, i ristoranti londinesi Belgo ma anche il negozio di Yohji Yamamoto a Tokyo e l’Adidas Stadium di Parigi. Eppure Arad [...] rimane ”quello della Bookworm”, la libreria a onde che disegnò per Kartell nel ’94: da allora, di ”serpenti” in pvc ne ha venduti 1.000 km all’anno. Soddisfatto? ”Tornassi indietro farei il ballerino di breakdance perché non ho mai amato le convenzioni. Certo, quando torno a casa e dalle finestre che si affacciano sulla strada scorgo le mie librerie nei salotti di gente che neanche sa il mio nome, il mio ego sussulta. Quello è un bestseller e un pezzo di design che devia dalle soluzioni tradizionali. Rompere gli schemi aiuta a saltare i passaggi lenti dell’evoluzione [...] Lo scrittore Isaac Bashevis Singer una volta ha detto: ’Potessi scrivere un romanzo che solo io riesco a scrivere’. Io ho lo stesso problema con il design: non mi interessa lo stile, me ne frego delle proporzioni sublimi di sedie e tavoli. Mi annoio in fretta, voglio disegnare solo cose che non esistono ancora. Il mondo ha sempre bisogno di nuovi oggetti e io sono pronto a crearne o ripensarne altri. Ad eccezione delle armi [...] Creare oggetti belli che costano poco è possibile, ma sperare di piazzare una sedia di Arad in ogni casa è megalomania. Mi piacerebbe progettare cose accessibili a tutti, ma anche altre così costose che solo pochi possano permettersi e che vadano a finanziare la ricerca sul design a piccoli prezzi. Del resto, i giornali più cheap vendono di più e sarà un tabloid come il ’Sun’ a decidere chi sarà il nuovo primo ministro britannico. Non vuol dire che sia un buon quotidiano. Comunque, l’unico accessorio da 10 euro che porta la mia firma è Soundtrack, il porta-cd di Alessi: ma è stato un fallimento [...] La tecnologia ci ha migliorato la vita e più si farà sofisticata meno i prodotti di design assomiglieranno a macchine. Io disegno con una matita, ma al posto della carta uso uno schermo: i miei schizzi sono così realistici che nessuno direbbe che li ho realizzati al computer. La verità è che la creatività è un talento. O ce l’hai o non ce l’hai [...] Io sono un pluralista e non mi piace produrre dei cloni di Arad. Sono sempre stato un ribelle, un outsider, uno studente terribile. Incoraggio i ragazzi a correre dei rischi, a inventarsi una professione, a sperimentare, a spingersi oltre i propri limiti. Perché non è importante discettare su una scultura o un mobile, decidere se un oggetto è un’opera d’arte o di design funzionale. Quello che conta è: è interessante? Non è necessario sapere che cosa sia esattamente [...] Avevo studiato arte a Gerusalemme ed ero ebbro di Pace & Amore, ero della generazione dei figli dei fiori. Arrivai a Londra nel ’73, quando in Israele scoppiò la guerra del Kippur. Non sopportavo la violenza e non concepivo che qualcuno ci imponesse di imbracciare un fucile, tanto meno a me che volevo solo fare l’architetto. I miei erano artisti e avevano una religione: il socialismo. Mio padre è nato in Russia e si è avventurato nel Mediterraneo con una barca che aveva preso a Trieste: è arrivato in Palestina che aveva ancora su i pantaloni di pelle con le bretelle che usava a Vienna. Si è perfino gingillato con l’idea di partire per la Spagna a combattere contro Franco. Noi ebrei continuiamo a essere gente errante [...] Sono nato alla periferia dell’impero, vivo a Londra e lavoro con molte aziende italiane. Non esistono più confini per me. Il sogno di un Israele umano come lo concepivano i miei genitori è andato in frantumi e i fondamentalismi mi spaventano. Le religioni in Medio Oriente generano ostilità. Mi terrorizzano. Come il buio e la morte”» (Ilaria Bellantoni, ”L’Espresso” 21/4/2005).