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 2005  aprile 16 Sabato calendario

ALLEVI

ALLEVI Giovanni Ascoli Piceno 9 aprile 1969. Pianista. «[...] tenero come il silenzioso Schroeder di Charlie Brown, con i lunghi riccioli che gli ballano davanti agli occhiali e assecondano i movimenti del pianista che cerca di rubare allo strumento i suoni migliori. [...] figlio di una cantante lirica e di un clarinettista di Ascoli Piceno, vive da anni a Milano. Jovanotti gli diede l’opportunità di pubblicare due dischi (13 dita nel ”97 e Composizioni nel 2003), ma per artisti come lui la popolarità non arriva di colpo come per una boy band. ”Da allora per tirare avanti ho fatto di tutto, anche il cameriere. Ancora adesso mi alzo alle cinque del mattino per raggiungere la scuola di provincia dove faccio il supplente”. [...] La sua storia d’amore con il pianoforte è più avvincente di Cime tempestose. ”Ho iniziato a quattro anni, da autodidatta. In casa c’era un pianoforte, ma era chiuso a chiave. Mio padre non voleva che studiassi musica: percorso in salita, irto di difficoltà, scarse soddisfazioni economiche. Scoprii presto dove nascondevano la chiave, e ogni volta che restavo da solo entravo nella stanza delle meraviglie. Il pianoforte era per me come un enorme barattolo di marmellata nel quale affondare le dita. Lo aprivo e improvvisavo. Mettevo dischi di musica classica e imparavo a suonarli. Ascoltavo ogni giorno la Turandot di Puccini, tre ore di opera. Questi incontri segreti tra me e il pianoforte sono andati avanti per quattro anni. Oggi, davanti a un pianoforte, ricerco costantemente la gioia e la libertà che provavo in quegli anni [...] Durante una recita scolastica. Alla presenza dei miei genitori allibiti, decisi di suonare un Preludio di Chopin arrangiato da me. A quel punto si convinsero che avrei dovuto senz’altro studiare pianoforte [...] Trovarmi di fronte a uno spartito fu un trauma, anche se quel rigore e quel metodo mi hanno formato. Lo ammetto: ho sempre condotto una doppia vita. Davo all’accademia quel che voleva da me e in un cassetto della memoria serbavo gelosamente il mio modo di vedere la musica, romantico, appassionato, comunicativo [...] La mia storia di compositore contemporaneo è iniziata a 28 anni, fino a quel momento io sono stato chiuso in casa, intrappolato nelle maglie dell’accademia. Poi, complice Saturnino, bassista di Jovanotti e ascolano come me, feci arrivare una cassetta a Lorenzo. Fino a quel momento per me il jazz era tabù [...] Se avessi conosciuto Keith Jarrett prima, ne sarei stato sedotto e condizionato. Aver conservato la mia matrice classica, accademica, europea, il mio amore per Bach, Chopin e Beethoven, mi ha preservato dal rischio di diventare un clone [...] Ero il classico secchione, occhiali, bruttino, quello che nessuno invitava alle feste. Inoltre, una timidezza cronica acuiva le mie insicurezze. Così, per compensare, sviluppai un fortissimo senso di autocritica (non avevo ancora capito: non è suonare bene tutte le note che fa la differenza, ma avere un’intenzione travolgente). Poi però mi sono preso la rivincita: il giorno dopo aver fatto l’esame di diploma di composizione al Conservatorio di Milano, coronamento di venti anni di studio, sono entrato nell’universo Jovanotti. Lorenzo era quello che diceva ” qui la festa?’ e io, che alle feste non ero mai invitato, mi sono improvvisamente trovato nel cuore della ritualità giovanile [...] Rachmaninov, Ravel, i grandi sinfonisti come Mahler e Bruckner, una passione folle per il Tristano e Isotta di Wagner. Poi la folgorazione: la Elektric Band di Chick Corea, primo contatto con il jazz. E fu subito chiaro che l’amore travolgente e totale per il pianoforte si esaltava nel momento in cui suonavo la mia musica. Pensai: Pollini, Richter, Rubinstein e Ashkenazy hanno dato il massimo, meglio abbandonare la partitura per seguire la passione [...] L’università fu il mio periodo di abbandono, il momento di andare a briglie sciolte, l’epoca in cui conquistai l’accettazione e l´interesse dei miei coetanei. All’università uscì allo scoperto il Giovanni ribelle, quello che reagiva ai messaggi frustranti degli insegnanti dell’accademia: non c’è niente da scrivere perché tutto è già stato scritto, dicevano alle lezioni di composizione. Nell’ambiente spensierato e goliardico dell’università, la mia creatività esplose [...] Avevo bisogno di andare oltre le regole. Abbracciai con sfrenato entusiasmo la ubris greca, la voglia che l’uomo ha di andare contro tutto e tutti, anche contro gli dei. Avevo assorbito troppo, volevo uscire allo scoperto e finalmente dare [...] Per la prima volta mi sentii un ragazzo come gli altri. Jovanotti mi fece aprire i suoi concerti con mezz’ora di pianoforte solo. Esprimevo il mio mondo senza compromessi, davanti a ventimila persone. Pensavo a Liszt che entrava nella sala da concerto, passava in mezzo al pubblico, gettava il mantello e si sedeva al pianoforte: il mio idolo, la prima rock star della storia. I ragazzi capirono, non volava una mosca mentre suonavo [...] andai a vivere a Harlem, per cambiare aria e cercare un contatto autentico con la gente. Chiamai il Blue Note, per un colpo di fortuna rispose Steven Bensusan, il proprietario, che mi invitò per un’audizione. Era l’8 agosto 2004. Si entusiasmò e mi scritturò per due concerti, il 6 marzo 2005. Per più di sei mesi ho vissuto con in testa il mio sogno americano [...] voglio che il centro dei miei progetti rimanga Milano. Siamo pronti per un nuovo Rinascimento italiano dove l’artista, un po’ filosofo, un po’ inventore, un po’ folle, esce dalla torre d’avorio per avvicinarsi al sentire comune”» (Giuseppe Videtti, ”la Repubblica” 15/4/2005).