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 2005  aprile 10 Domenica calendario

Lettere Flaubert-Sand, Il Sole 24 Ore 10/04/2005. "Un porco!", esclamò George Sand. Stava parlando di uno degli uomini della sua vita e Caroline, la nipote di Gustave Flaubert, era sobbalzata

Lettere Flaubert-Sand, Il Sole 24 Ore 10/04/2005. "Un porco!", esclamò George Sand. Stava parlando di uno degli uomini della sua vita e Caroline, la nipote di Gustave Flaubert, era sobbalzata. Quella donna non le era piaciuta fin dall’inizio. Anziana e grassoccia, era vestita senza gusto e le sue mani non smettevano di tormentare le sottili sigarette rosa che fumava. Flaubert invece non si accorgeva di niente. Aveva tanto insistito perché l’amica venisse a trovarlo a Croisset e dopo cena aveva declamato per lei La tentazione di Sant’Antonio. Poi erano rimasti a discutere fino alle due di notte. L’indomani il tempo era magnifico e George aveva lavorato felice nella stanza ben riscaldata. La casa dello scrittore, con quella vista sulla Senna, le sembrava un rifugio perfetto, anche se quell’acqua, così incombente sotto le finestre, era vagamente sinistra. Però nel diario aveva notato entusiasta: <Flaubert mi piace da morire>. Vivere lontano da Parigi era l’unica scelta comune. Per il resto nessuno poteva essere più diverso di quei due. Sand aveva avuto molti, appassionati amori. Flaubert poche, avare relazioni. Sand aveva ancora un amante fisso, coetaneo del figlio e varie avventure. Flaubert confessava di non avere neanche più voglia di masturbarsi. Sand scriveva facilmente un fiume di pagine. Flaubert si torturava su una frase. Sand era socialista, Flaubert reazionario. Sand detestava la solitudine che a Flaubert era indispensabile. La letteratura, su cui s’imperniava la vita di Flaubert, per Sand era anche un modo per guadagnarsi da vivere, subordinato agli affetti. Ma proprio da queste differenze era nata una tenace amicizia e una straordinaria, immensa corrispondenza. Il loro rapporto era iniziato quando Sand aveva difeso la Salammbò di Flaubert, attaccata dalla critica. Quando l’autrice aveva chiesto a Flaubert se poteva dedicarle un libro, dato che tutte le sue opere erano dedicate a un amico, Gustave aveva acconsentito entusiasticamente: <Fate bene a volermi bene, è del tutto scambievole>. Gli amici comuni, da Dumas a Renan, osservavano incuriositi la crescente simpatia tra il solitario scrittore e la sua dinamica collega. Il viso di George era ancora bello, anche se i sessant’anni avevano evidenziato, appesantendo i tratti, <il tipo della mulatta>. Quando la Sand era apparsa a una cena con un civettuolo abito color pesca, i Goncourt, alludendo alla sua movimentata vita amorosa, avevano avanzato il sospetto che l’avesse scelto per "violentare" Flaubert. Ma non era successo niente. Molti anni dopo, mentre Gustave continuava a darle del lei e la chiamava <Cara Maestro>, George, che aveva diciassette anni più di lui, aveva adottato un familiare tu. Intanto, le loro lettere diventavano sempre più lunghe. Se Sand lo lusingava, asserendo che lui era <un essere molto a parte, molto misterioso, ma dolce come un agnello>, il romanziere replicava, sconsolato, di sentirsi solo di una scoraggiante piattezza. Poco dopo la sua seconda visita a Croisset, Flaubert le aveva scritto, pieno di nostalgia: <Qui tutti le vogliono bene... Non so quali sentimenti nutro verso di lei, ma provo una tenerezza particolare, che finora non ho mai sentito per nessuno>. Mentre lei finiva trenta pagine in una notte, il suo "benedettino", come l’aveva soprannominato, si torturava su un aggettivo. <Riesco a esprimere un centesimo delle mie idee, dopo infiniti brancolamenti>. George se ne infischiava dello stile: <Il vento fa suonare la mia vecchia arpa come gli pare>. Tuttavia se la sua sicurezza si incrinava, l’altro la rincuorava: <L’idea scorre dentro di voi, ampia, incessante come un fiume. In me è un sottile filo d’acqua>. Sand, a sua volta, ammetteva: <Mi piacciono le classificazioni: ho qualcosa del pedagogo. Mi piace cucire e pulire i bambini: ho qualcosa della serva>. Un Natale, Gustave, ferito dallo scarso successo dell’Educazione sentimentale, aveva finalmente accettato di raggiungerla nel castello di Nohant, dove George viveva con i figli e numerosi amici. Dispensato dalla giacca, Flaubert girava dappertutto in pantofole e vestaglia. Il 25 avevano giocato fino a tardi e lui si era divertito come un bambino. Il 26 si era travestito da donna per esibirsi in un forsennato fandango. Quando era partito, Sand aveva dovuto riconoscere: <Sono sfinita, sfiancata dal mio caro Flaubert. Però gli voglio molto bene ed è eccellente, ma ha una personalità troppo esuberante. Distrugge gli altri>. Talora Flaubert si sentiva solo nell’eremo di Croisset: <A parte lei e Turgenev, non conosco un mortale con cui sfogarmi sulle cose che amo di più, ed entrambi abitate lontano da me!>. Forse, azzardava la Sand, la soluzione per lui era il matrimonio e una famiglia che lo distraesse dai suoi tormenti. <Mi pare - osservava - che tu tenda troppo a considerare la felicità come una cosa possibile e che la sua assenza, che è la nostra situazione cronica, ti irriti e ti stupisca troppo>. Le ultime illusioni di Flaubert sull’umanità erano state spazzate via dall’invasione prussiana. Detestava quei barbari invasori che <sanno il sanscrito, mangiano il gelato con i guanti bianchi, ti rubano l’orologio e poi ti mandano il biglietto da visita>. Nel 1871 osservava addolorato le convulsioni delle masse. <L’umanità è stata sempre la stessa. Il popolo è abbietto. La sua irrimediabile bassezza mi ha amareggiato fin da quando ero giovane> le scriveva, complimentandosi per un suo articolo sulla classe operaia corrotta dalla rivoluzione industriale. Sand invece, malgrado le delusioni della Comune di Parigi, era rimasta legata al suo umanesimo progressista e gli aveva risposto con una lettera aperta su <Le Temps>: <Non si può disprezzare i propri simili. E il popolo? Ma questo popolo siamo voi e io>. Flaubert, commosso, le confessò di averla letta con le lacrime agli occhi. <Senza convertirmi, beninteso... tutto il sogno della democrazia è elevare il proletariato al livello di stupidità della borghesia>. Giuseppe Scaraffia