La Repubblica 12/04/2005, pag.19 Adriano Sofri, 12 aprile 2005
Sofri. La Repubblica 12 aprile 2005 pag.19. Guardavo il funerale del papa sul sagrato di San Pietro, grandioso e suggestivo, e pensavo che appena qualche anno fa l´Italia e Roma erano il paese di Federico Fellini
Sofri. La Repubblica 12 aprile 2005 pag.19. Guardavo il funerale del papa sul sagrato di San Pietro, grandioso e suggestivo, e pensavo che appena qualche anno fa l´Italia e Roma erano il paese di Federico Fellini. C´è stato un momento in cui la macchina del vento felliniana è sembrata impadronirsi della regia, e ha fatto volare zucchetti e berrette di cardinali e vescovi, e sollevato mantelline e tonache come gonne di ragazze in aprile. Ma la solennità ha vinto, e le pagine del libro sfogliate e finalmente richiuse dal vento hanno restituito la regia al soffio dello spirito. Non sembri eccentrico o irriverente il pensiero che fra le insidie del nuovo pontificato ci sia il ridicolo. Ogni autorità è minacciata dal ridicolo, tanto più quanto è solenne e assoluta. Si può ipotizzare che il papato, la più solenne e assoluta delle autorità, sia l´unico immune da quel rischio? Basta guardarsi attorno, fra gaffe e disastri umani e trivialità boccaccesche di millenarie dinastie regali e di nuovi potenti e nuovi ricchi. La vita moderna induce alla scompostezza, e i mezzi di comunicazione sono in agguato per carpire volgarità e vanità, e per adescarle. Democrazia matura, che brucia la distanza e la segretezza al cui riparo il corpo separato del potere conservava la soggezione dei sudditi e dei fedeli. Democrazia ubiqua dei media, che si prende ogni confidenza, che scherza coi santi, che rende omaggio al potere ed è lesta all´oltraggio, perché il suo è lo sguardo del badante per il quale non esistono granduomini, come voleva il proverbio un po´ razzista, e ha sostituito l´occhio di Dio con la candid camera, e poi ha capito che non c´era bisogno di nasconderla, la telecamera, per ottenere il risultato, tanto la liberatoria la firmano tutti, in qualunque posizione del reality universale li abbiate ripresi. La solennità, la serietà stessa, si nutrivano del bianco e nero. De Gasperi, si dice, o addirittura Pio XII, persone serie: bianco e nero. L´ultimo fu Moro, perfino nella Polaroid del carcere del popolo, perfino in maniche di camicia e con gli amici che si vergognavano delle sue lettere, prima di vergognarsi di sé. Già la distanza aristocratica e rigida di Pio XII, flabelli e sedia gestatoria, fu violata, annuncio dei nuovi tempi, dal mediocre intrallazzo dell´archiatra pontificio, foto mortuarie cedute per soldi e vanità. Allora non si sarebbero menzionati senza scandalo ano preternaturale e vie urinarie d´un pontefice. La sedia gestatoria non sarebbe stata più possibile, oltre una data: licenziati i maestri di portamento, il papa doveva camminare sulla terra, e farlo con disinvoltura. Quando toccò a Wojtyla, il passo era diventato sciolto e aitante come quello d´un eroe di Hollywood. Vedere accanto Wyszynski e Wojtyla, magnifico abbraccio, era come assistere a un passaggio d´epoca: il gran primate ancora in bianco e nero, intatto persino dal transito nel suo carcere del popolo, a colori il suo pupillo, abbronzatura sportiva e sorriso accogliente. Nemmeno i divi e le dive del cinema esistono più, ultimo olimpo del primo piano sul grande schermo. Oggi sono stelline da cortile di casa, a portata di mano, aprono ristoranti, vengono a Sanremo. Il ridicolo non dà scampo. Né a chi prova a fuggirne le tentazioni, né a chi lo sfida per socievolezza, o per candore. Berlusconi è un campione del tempo che si prende delle confidenze, e bacia e abbraccia chi gli viene a tiro, perfino Putin, e fa le corna nella fotografia di gruppo, e la paga cara quando un collega qualunque passa dietro la sua sedia e gli batte la mano sulla calvizie. Blob. Non che gli altri si salvino. come se ogni volta di nuovo si compisse il sacrificio della tradizione e della dignità alla popolarità e al plebeismo, ogni volta più in basso. Il papa che si avvicini alla gente, che accorci la distanza fra sé e la moltitudine, che accetti l´azzardo del rischio e dell´improvvisazione, può essere sparato da un sicario, ma può anche farsi infilzare dal ridicolo. L´inizio del pontificato di Giovanni Paolo II, oggi così rimpianto, fu accompagnato dall´imbarazzo, quando non dall´indignazione, di tanti bravi ecclesiastici e bravi devoti (e bravi vignettisti satirici, perché la satira e il bigottismo si sfiorano pericolosamente) scandalizzati di un vicario di Cristo che nuotava in piscina. La paura di esporre se stesso, e con sé la Chiesa, al ridicolo, forse non fu l´ultimo dei pesi che sopraffecero Giovanni Paolo I. C´era un´udienza, ripresa dalla televisione, e papa Luciani si era preparato un apologo: avrebbe chiamato a sé un bambino dai visitatori, gli avrebbe spiegato che, come lui voleva senz´altro essere promosso e diventare grande e realizzare i suoi sogni, così il papa era diventato papa e avrebbe ora realizzato la propria missione. Chiamò il bambino, un maligno bambino maltese, di quelli che anche davanti al più bell´abito regale si mettono a gridare che il re è nudo. Il papa gli chiese: "Tu vuoi essere promosso, e andare nella classe superiore?". "No", rispose secco quell´impudente. "Ma come no - disse paziente il papa - vuoi pur crescere, e diventare grande". "No, io voglio restare piccolo!". Dopo un paio di goffi tentativi di metterci una toppa, Giovanni Paolo I dovette rinunciare al suo apologo, e di lì a poco morì per l´angoscia, dopo aver detto che Dio è madre, prezioso pensiero, ma di quelli da allarmare un bel po´ di prelati e devoti e vignettisti satirici. Giovanni Paolo II non aveva dimestichezza coi media. Al suo paese erano rozzi strumenti di un regime brutale o volgare. Le folle enormi e travolgenti che gli si radunavano attorno al suo ritorno da papa non erano state convocate dalla radio e dalla televisione, al contrario. Però era molto sicuro di sé. Era anche un grande attore. Miglior attore che autore: i suoi scritti letterari e teatrali hanno una qualità alterna, ma incomparabile con la stoffa d´attore. Ed essere un grande attore, quando si abbia per autore Dio padre, basta e avanza. Giovanni Paolo II si prese delle impreviste confidenze con giornalisti e telecamere. Non fosse stato per il suo carisma straordinario, telecamere e giornalisti si sarebbero permessi confidenze avventate con lui. Invece stettero fino alla fine al proprio posto, per così dire. Perfino le televisioni conservano una soggezione all´autorità, quando ne sentono una strana differenza. Con le autorità laiche vale sempre meno, anche per quelle eminentemente simboliche e rappresentative. Della Sala Ovale non occorre dire. La nostra presidenza della Repubblica era tutt´altro che al sicuro. Francesco Cossiga, che si permette da tanto tempo una franchezza irresponsabile, proprio perché è passato attraverso il ridicolo, potrebbe forse spiegare quanto costi l´eredità di un personaggio assai amato e popolare, come era stato Pertini. Vi ricordate il lungo silenzio di Cossiga, la discrezione spinta fino alla scomparsa - e l´infierire dei vignettisti, la tenda, la poltrona, le pantofole - e poi l´eruzione, il re che si faceva buffone di se stesso. E la presidenza della Repubblica era già stata crivellata dalle caricature, la proliferazione di Gronchi, le sciabole di Segni, le cantine di Saragat, la scaramanzia di Leone... Una carità di patria ha evitato finora, se non sbaglio, di raccontare che lo stesso Pertini parve a qualcuno - non pochissimi - a più riprese compromettere la dignità della carica coi suoi comportamenti esuberanti, che rompesse le righe a Pechino per andare a mescolarsi con gli studenti cinesi, o che si lasciasse scappare una frase sui russi e l´attentato al papa. E si provò a sollecitare il suo abbandono. Bisogna che il nuovo papa sia simpatico, ha detto il cardinale Schoenborn, che è giovane e simpatico lui stesso. Naturalmente, l´auspicio comporta il rischio. L´abito fa il monaco, e specialmente il papa, ma fino a un certo punto. La simpatia confina con l´azzardo: pensate a quel malinconico mattacchione di Milingo. Nessuno può più figurarsi, dopo la processione innumerevole dei pellegrini col videotelefonino, un papa ieraticamente remoto, che assicuri la maestà del ruolo con l´austerità della fisionomia e l´invisibilità del corpo. Non si può più. E del resto anche le figure più autorevoli e severe della vecchia guardia, Martini da una parte, Ratzinger dall´altra, non fanno certo immaginare una restaurazione della distanza. Se gli elettori punteranno a emulare Wojtyla, bisognerà davvero che la provvidenza assista il designato, perché si prenda coi media e col mondo le confidenze di cui lui era capace, senza che il mondo lo ricambi con la moneta della volgarità. Un papa che dà un buffetto al mondo, senza che il mondo dia un buffetto al papa. A modo suo, già Ali Agca era uno che si permise una confidenza. Ammazzare il papa: finora era impensabile, perfino per Napoleone. Fra la violenza e il ridicolo c´è una differenza: che dal ridicolo non si torna più indietro. Una sera Giovanni Paolo II, annunciato da don Stanislao, telefonò a "Porta a Porta", e Vespa ne fu compunto e commosso fino alle lacrime. Una mezz´oretta prima Vespa, in un eccesso di disinvoltura, aveva esclamato, a proposito della ardua vita del papa: "Poveraccio!". Così almeno mi ricordo, perché mi fece impressione. Del resto Vespa non diceva niente di male. Solo, si prendeva una confidenza. Ora, immaginate un nuovo papa che prenda l´abitudine di partecipare regolarmente a "Porta a porta", o a "Controcampo". Bisognerà che il vento soffi giudiziosamente. Adriano Sofri.