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 2005  aprile 13 Mercoledì calendario

Martin Chris

• Exeter (Gran Bretagna) 2 marzo 1977. Cantante. Frontman dei Coldplay • «[...] Coldplay, ovvero “suonare freddo”, ma in realtà sono tutt’altro che freddi, casomai quieti, controllati, gentili, perfino teneri, con un raffinato gusto della malinconia melodica. [...] I contrasti della band li incarna bene Chris Martin, fragile, apparentemente spaesato, ma dall’incedere carismatico e soprattutto autorevole quando canta. Più che autorevole. In fondo i Coldplay sono stati la più influente band nata nel nuovo millennio, hanno spinto buona parte della musica pop a ritrovare un’intimità perduta, la passione bruciata ardentemente nei passati decenni (“avremmo fatto il disco solo in vinile, ma sfortunatamente non si può, il fatto è che con la tecnologia veloce di oggi ci si dimentica quale grande evento può essere l’uscita di un disco”) e a cui loro si rifanno esplicitamente parlando dei gruppi che li hanno influenzati: Joy Division, Eno, Cure, Smiths, Kate Bush, Cocteau Twins (notare: sono tutti nomi inglesi). A gente così delicata il successo può fare male. E non era affatto scontato che il successo arrivasse in modo così prorompente, immediato, fin dall’apparire di quel primo capolavoro intitolato Parachutes. In fondo il primo verso della prima canzone recitava: “Ossa, che affondano come pietre”, non proprio un esordio consolatorio. [...]» (Gino Castaldo, “la Repubblica” 13/4/2005) • «[...] All’inizio della nostra carriera avevamo paura di non avere il permesso di fare rock perché venivamo dalla middle class. Ma poi abbiamo smesso di preoccuparci per questa specie di razzismo al contrario per cui le migliori band vengono dai bassifondi. È tipicamente inglese, un pregiudizio snob... [...] La nostra musica può essere drammatica, ma mai casinista o urlata [...] Cerchiamo di essere il più speranzosi possibile nei nostri testi. È eccessivo affermare che siamo caratterialmente dei depressi. Nelle nostre canzoni c’è anche dell’ottimismo [...] Molti ascoltatori si riconoscono nelle nostre canzoni, ma quello che cantiamo poteva valere anche per le generazioni passate [...]» (Mario Luzzatto Fegiz, “Corriere della Sera” 19/5/2005).