Giovanni Filoramo, La Repubblica, 12/04/2005 pag. 41, 12 aprile 2005
Conclave, La Repubblica, 12/04/2005 pag. 41 Chi ha assistito alle solenni esequie del pontefice non avrà potuto fare a meno di provare un senso particolare di sgomento nel momento solenne in cui la bara che conteneva il cadavere di Giovanni Paolo II è stata sottratta definitivamente allo sguardo della folla, per essere deposta nella basilica vaticana
Conclave, La Repubblica, 12/04/2005 pag. 41 Chi ha assistito alle solenni esequie del pontefice non avrà potuto fare a meno di provare un senso particolare di sgomento nel momento solenne in cui la bara che conteneva il cadavere di Giovanni Paolo II è stata sottratta definitivamente allo sguardo della folla, per essere deposta nella basilica vaticana. La solennità di quel momento va al di là delle emozioni profonde che tutti, credenti e non credenti, abbiamo provato. Essa ha sigillato un pontificato, per più aspetti straordinario, inaugurando una sospensione particolare del tempo della Chiesa, che durerà fin quando non sarà eletto il nuovo papa. Per questo le funzioni di governo normali sono sospese, quasi che, simbolicamente, i funzionari del papa defunto – come accadeva un tempo nelle grandi monarchie tradizionali, dove dignitari e servitori del sovrano-dio defunto erano sepolti con lui – muoiano con lui. La Chiesa entra, di conseguenza, in una situazione quasi di letargo, dalla quale è necessario che esca al più presto possibile. Questo tempo liminale è il tempo del conclave, periodo eccezionale in cui alla Chiesa è sottratto il corpo del sovrano pontefice come simbolo vivente della sua stessa universalità e del suo potere, temporaneamente delegato al potere suppletivo temporaneo di quel senato del papa che è il collegio cardinalizio. Ed è per questo che le legislazioni che hanno regolamentato questo istituto millenario hanno perseguito primariamente lo scopo di ridurre al minimo con mille accorgimenti, dalle modalità di elezione alle forme di controllo fino alla clausura "sotto chiave", i termini per la designazione. Quasi tutte le singole norme della complicata procedura elettorale che si è venuta costruendo sono state volta a volta una risposta a situazioni che rendevano necessaria una riforma. Un´esperienza secolare ha così dato vita a un congegno minuziosamente calibrato: sono stati gli eventi concreti a plasmare la forma attuale dell´elezione pontificia, che è in certo modo frutto di ragione storica. Nel primo millennio, non esistendo né conclave né collegio cardinalizio, l´elezione del vescovo di Roma fu regolata come quella degli altri vescovi, per la quale era prescritta la partecipazione di "clero e popolo" e la presenza di altri vescovi in grado di compiere in modo appropriato il rito di consacrazione (ma non di eleggerlo). Questa procedura lasciava ovviamente - come per altro per le nomine episcopali - ampio spazio per influssi esterni, soprattutto politici, al punto che certi pontefici, secondo un principio quasi dinastico, cercarono un correttivo nella designazione da vivi e per tempo dei loro successori. In età bizantina, tra il VI e l´VIII secolo, il papa eletto doveva inviare il suo credo all´imperatore a Costantinopoli, perché fosse verificata la sua ortodossia. In seguito, tra il IX e l´XI secolo, sull´elezione papale influirono sovrani franchi e tedeschi. Particolarmente perniciosa doveva, però, risultare la lotta delle fazioni nobiliari romane per il possesso della carica; vari papi, coinvolti nelle contese cittadine, sullo sfondo di gravi irregolarità, furono assassinati. Occorrerà, d´altro canto, attendere un decreto del 1059, In nomine Domini, emanato da Nicolò II, perché fosse stabilito che, alla morte di un papa, l´elezione del successore fosse compito dei cardinali, visti come eredi e continuatori del collegio degli apostoli (ripresa del canone IV del Concilio di Nicea del 325). Alla base di questa scelta vi è la rottura definitiva con la Chiesa d´Oriente e la conseguente necessità di rifondare l´ecclesiologia della Chiesa latina. Ciò avviene, oltre che riappropriandosi della tradizione conciliare più antica, rendendo il celibato ecclesiastico obbligatorio ed esprimendo una nuova concezione dei rapporti tra papato e impero e tra papato e chiesa, alternativa alla "sinfonia" e alla concezione sinodale tipiche della Chiesa d´Oriente. I cardinali (dal latino cardo, "cardine") erano chierici addetti a chiese di particolare importanza, con compiti liturgici e caritatevoli. Nella seconda metà dell´XI secolo il loro collegio contava a Roma una cinquantina di membri. Col decreto del 1059 essi divennero una sorta di senato della chiesa, cui era affidata la nomina del papa. Nel Concilio romano del 1179 Alessandro III, anche per impedire altri eccessi legati alla mancata fissazione del numero minimo di voti per l´elezione, fece stabilire la norma secondo cui, per essere eletto papa, era necessario avere il voto di almeno due terzi dei cardinali presenti. Soltanto, però, nel 1241 questi due elementi (il collegio elettorale e le norme della votazione) trovarono applicazione nel conclave come luogo determinato in cui doveva svolgersi l´elezione. Nel 1274, infine, Gregorio X emanò un´ordinanza precisa sul modo di conduzione del conclave. In essa si stabiliva fra l´altro che tutti i cardinali dovevano risiedere insieme, con non più di un domestico ciascuno, nel locale del conclave, che doveva essere rigorosamente chiuso. La storia successiva del conclave, profondamente intrecciata con quella del papato e delle sue crisi, è la storia di un´istituzione che si è dimostrata particolarmente duttile, una tradizione apparentemente immutabile, che ha in realtà conosciuto trasformazioni profondissime. Così è uscito vittorioso dalla drammatica crisi conciliatorista del XV secolo, che vide a un certo punto compresenti sul soglio di Pietro ben tre papi. La sconfitta del conciliarismo e l´avvento di un papato costituitosi ormai come monarchia assoluta sono comprovati dal fatto che d´ora in poi il concilio è estromesso per sempre dall´area di produzione delle norme che regolano l´elezione del papa; né le aperture del Vaticano II hanno mutato la sostanza: al papa e solo al papa spetta determinare la procedura elettorale della propria successione. Questo sistema, uscito come Giona sano e salvo dalla balena delle tempeste rivoluzionarie, dei processi scristianizzanti e della perdita del potere temporale, è rimasto valido fino a oggi, resistendo anche alla sfida più sottile e pericolosa della moderna democrazia, liberandosi dai vincoli antichi col potere politico e, in una società secolarizzata, andando sempre più nella direzione di una pressoché totale autoreferenzialità ecclesiastica. Di fatto, il conclave rimane oggi il solo meccanismo di elezione a vita di un´autorità assoluta sopravvissuto ai cambiamenti epocali della modernità. Le sue norme presuppongono che il vescovo di Roma venga eletto a scrutinio segreto sulla base di quorum prefissati da un collegio di pari, tutti nominati dai precedenti titolari d´ufficio. Secondo la norma per cui ogni pontefice interviene in genere su questa materia, per confermarla attraverso piccole correzioni, nel corso del ’900 il nucleo è rimasto invariato, anche se nel complesso ha conosciuto una serie di mutazioni che rendono attualmente la composizione del collegio cardinalizio abbastanza diversa da quella che era agli inizi del secolo. Così, nel 1903 scompare il diritto di veto attraverso cui i poteri politici potevano influenzare l´elezione. Pio XII, a sua volta, porta il quorum per l´elezione dai due terzi ai due terzi più uno, per evitare ai suoi successori di essere accusati di avere raggiunto la quota fatidica grazie al proprio voto. Giovanni XXIII, poi, supera il tetto massimo di 70 cardinali fissato da Sisto V; Paolo VI, a sua volta, reintroduce un limite nella misura di 120 cardinali, ma esclude chi ha più di 80 anni dal collegio e dunque dal conclave. Quanto a Giovanni Paolo II, con la Universi dominici gregis, ha abolito i sistemi di elezione straordinari (l´accesso e l´acclamazione), ma soprattutto ha condotto una politica serrata di nomine cardinalizie, che ha portato a un mutamento profondo del collegio, per la maggior parte ormai di sua nomina. Giovanni Filoramo