Carlo Petrini, La Stampa 10/04/2005 pag. 31, 10 aprile 2005
Ritratto di Brillat-Savarin padre della gastronomia moderna, La Stampa 10/04/2005 STRANO destino quello di Jean Anthelme Brillat-Savarin, uno dei padri indiscussi della gastronomia moderna: quando nacque il 2 aprile del 1755 a Belley (Ain) il termine "gastronomia" non era ancora apparso negli scritti di quel periodo; quando morì il 2 febbraio del 1826 la sua opera principale, La fisiologia del gusto, era appena stata stampata, anonima e a spese dell’autore, dopo essere stata rifiutata dall’editore parigino Sautelet
Ritratto di Brillat-Savarin padre della gastronomia moderna, La Stampa 10/04/2005 STRANO destino quello di Jean Anthelme Brillat-Savarin, uno dei padri indiscussi della gastronomia moderna: quando nacque il 2 aprile del 1755 a Belley (Ain) il termine "gastronomia" non era ancora apparso negli scritti di quel periodo; quando morì il 2 febbraio del 1826 la sua opera principale, La fisiologia del gusto, era appena stata stampata, anonima e a spese dell’autore, dopo essere stata rifiutata dall’editore parigino Sautelet. Senza questo libro Brillat-Savarin sarebbe entrato nel dimenticatoio della storia e la sua biografia non avrebbe interessato tanti studiosi di un’epoca caratterizzata da profondi mutamenti. La parola gastronomia, di origine greca, apparve per la prima volta in un poemetto di De Berchoux, dal titolo La gastronomia o l’uomo dei campi a tavola stampato a Parigi nel 1801. Etimologicamente significa "legge del ventre" e, secondo le prime definizioni, il gastronomo è l’anfitrione che insegna a borghesi e parvenu del dopo rivoluzione francese le buone maniere sullo stare a tavola. Ben più interessante è la definizione che invece dà Brillat-Savarin nella Terza Meditazione della Fisiologia del gusto: "La gastronomia è la conoscenza ragionata di tutto ciò che si riferisce all’uomo in quanto egli si nutre... Così è proprio essa che fa muovere i coltivatori, i vignaioli, i pescatori e la numerosa famiglia dei cuochi, quale che sia il titolo o la qualifica sotto cui essi mascherano il loro occuparsi della preparazione degli alimenti. La gastronomia appartiene: alla storia naturale, per la classificazione che fa delle sostanze alimentari; alla fisica, per le diverse analisi e scomposizioni che fa loro subire; alla cucina, per l’arte di preparare i cibi e di renderli piacevoli al gusto; al commercio, per la ricerca del mezzo di comprare al miglior prezzo possibile ciò che essa consuma e di smerciare più convenientemente ciò che pone in vendita; all’economia politica, per le risorse che essa offre al fisco e per i mezzi di scambio che stabilisce tra le nazioni". Come si può notare, per Brillat-Savarin la gastronomia era qualcosa di molto più complesso, un campo del sapere fortemente multidisciplinare: riletta oggi questa definizione dà ragione di un sistema-cibo globale che coinvolge tanto l’agricoltura del Sud del mondo quanto il lavoro degli chef più illustri. La sua è una "sintesi tra varie discipline che permette conciliazione tra piacere e salute", celata da uno "stile amabile" e giocoso, una raccolta di memorie dell’autore ma anche un concentrato di saperi tradizionali e di varie scienze; dalla chimica alla botanica, dall’agronomia alla medicina. "Un libro in un falso libro", come ha sottolineato Jean-François Revel, definendo lo stile di Brillat-Savarin "eroicomico": una forma di umorismo e di modestia che ha poi decretato sia il limite, sia la genialità della Fisiologia del gusto. stato un limite perché ha contribuito a relegare la gastronomia in un ambito esclusivamente folcloristico, in cui il gastronomo non si prende troppo sul serio e finisce nella memoria delle persone come un bonaccione dedito ai piaceri della tavola. "Quando scrivo e parlo di me al singolare, ciò suppone un colloquio con il lettore: egli può esaminare, discutere, dubitare e anche ridere. Ma quando mi armo del formidabile noi io faccio il professore: bisogna sottomettersi". In realtà il "noi" è più comico dell’"io" nella Fisiologia del gusto e tutto diviene una parodia: la ripresa della moda delle "fisiologie" in auge sotto la Restaurazione o facendo "meditazioni sulla gastronomia trascendente", oppure parlando per aforismi. Altro non è che una maniera per nascondersi, per non dichiarare quanto in realtà il suo studio fosse serio e ben condotto. In ciò sta la genialità dell’opera, perché ci sono tutti gli argomenti che fanno della gastronomia una scienza da rispettare, una visione fatta di buon senso e di una capacità di cogliere la complessità delle cose di una modernità sconcertante. "Era il gusto della composizione composita - scrive Ravel - nascondere il banale sotto il severo o il serio sotto il comico, il sistematico nell’asistematico, l’arte del criptogramma, che era una delle forme della discrezione in letteratura e che oggi è un’abilità non più capita". Non c’è dubbio che molti spunti Brillat-Savarin li abbia tratti dalle opere dell’altro grande padre della gastronomia, Grimod de la Reynière, contemporaneo e senza dubbio più prolifico sul tema. Pensiamo soltanto all’Almanach des gourmands, pubblicato con successo dal 1803 al 1812: un inventario annuale di tutte le migliori produzioni francesi, in cui si sperimenta per la prima volta la critica gastronomica così come la conosciamo oggi. Ma a Grimod mancava lo stile di Brillat-Savarin, al punto che lui stesso in una lettera del marzo 1827 (un anno dopo la morte di Brillat-Savarin) scrive: "Ho letto con estremo piacere la Fisiologia del gusto. un libro di alta gastronomia dinnanzi al quale il mio Almanach non è che una triste rapsodia". In quel periodo, a inizio ’800, si instaurò un benefico rapporto tra gastronomi e cuochi, che ha contributo a definire e a difendere la cucina francese per i secoli successivi. A Parigi si stava sviluppando in modo esponenziale la ristorazione moderna: nel 1804 nella capitale i ristoranti erano quintuplicati rispetto al periodo pre-rivoluzionario, mentre salirono a mille nel 1825 e a più di duemila nel 1834. I gastronomi come Grimod e Brillat fecero la fortuna e la reputazione degli chefs con le loro guide e pubblicazioni. Intanto chefs come Antoine Beauvilliers, Charles Durand e Antonin Carème davano alle stampe storici libri di cucina. Va detto che non c’era ancora uno stile letterario di supporto, lo stesso termine "ristorante" era nato da poco, nel XVIII secolo, e non significava neanche un luogo, ma un bouillon, un brodo rigenerante e ricostituente, "ristoratore". Nella Fisiologia del gusto è presente una definizione di "ristoratore": "colui che offre al pubblico un pranzo bell’e pronto ove i cibi sono distribuiti in porzioni a prezzo fisso secondo la domanda dei consumatori". Una descrizione insignificante ai giorni nostri, ma davvero rivoluzionaria per quel periodo. A duecentocinquanta anni dalla nascita occorre prendere atto dell’importanza del personaggio e del suo testo, fondamentale per la storia del costume europeo e per l’infinita attualità di molti suoi contenuti. Egli non è un narcisistico ghiottone e non degenera mai in intemperanze; tanto che nel suo "decimo aforisma" sostiene: "coloro che fanno indigestione o si ubriacano non sanno né bere né mangiare". Brillat-Savarin era una testa fine, uno spirito arguto; incapace di imporre pedantescamente la sua esperienza, era eccellente nel farla apprezzare in punta di penna. La fortuna che ha caratterizzato la Fisiologia del gusto, edita in centinaia e centinaia di edizioni in ogni angolo del pianeta, è dovuta anche al suo valore letterario ed è stata quasi presagita dall’autore, laddove nel prologo, in cui dialoga con un amico, sentenzia: "Ho sentito dire che le ombre sono sempre lusingate dalle lodi dei vivi, ed è un genere di beatitudine che voglio riserbarmi per l’altro mondo". Così è stato. Carlo Petrini