Luigi Garlando, ཿLa Gazzetta dello Sport 12/4/2005;, 12 aprile 2005
Flavio Fontana, responsabile progetti avanzati della Pirelli Labs, ha scritto con lo pseudonimo Flavio Augusto Musandro due poemi epico calcistici in esametri latini pubblicati da Francesco Rossi L’Eco Apuano: «Il primo, Carmen de bello derbyco, si svolge ai tempi di Simoni
Flavio Fontana, responsabile progetti avanzati della Pirelli Labs, ha scritto con lo pseudonimo Flavio Augusto Musandro due poemi epico calcistici in esametri latini pubblicati da Francesco Rossi L’Eco Apuano: «Il primo, Carmen de bello derbyco, si svolge ai tempi di Simoni. La dea Roma cala alla Pinetina e affida ai nerazzurri il compito di fondare un nuovo impero degno della gloria dell’Urbe. Nelle mani di Simoni l’aquila dell’insegna diventa il biscione nerazzurro. La missione si realizza grazie a un derby vinto 2-0 con gol di West e Kanu. Berlusconi sceglie un suicidio eroico alla Cleopatra e si fa mordere da un aspide. Massimo e Milly Moratti scalzano Giove e Giunone alla guida dell’Olimpo». Tiro terribile dalla forza inusitata («Terribili nova vis ictu») quello di Kanu che «scardina la cancellata e la trascina in tribuna, mentre la porta crolla sotto il rovinare dei pali». Nel secondo poema (De reditu Ronaldi) il Concilio degli dei, presieduto da Moratti, ordina a Cuper di vendicare il derby del 6-0: «A guidare il Milan ci pensa Giunone, animata dall’odio contro la stirpe romana e contro l’Inter. Appena Bobo Vieri segna il gol del vantaggio, Giunone sostituisce tre uomini e ordina a Berlusconi di mandare in campo tre Giganti. Atena seduta sulla panchina di Cuper risponde facendo entrare Ronaldo che segna lo splendido raddoppio, prima del definitivo 3-0 di Recoba. Quattordici porcellini nati davanti alla porta di Toldo annunciano il 14° scudetto». Alla vigilia del derby di ritorno in Champions League, Fontana era ottimista: «Credo quia absurdum. Tutto ciò che è fuori logica è potenzialmente interista. Folle era, per esempio, quella splendida cavalcata di Berti contro il Bayern e io c’ero quella volta a Monaco. I tre gol li può segnare Adriano e a quel punto gli dedicherò il terzo poema in cui il brasiliano sarà divinizzato prima della morte come non accadde all’Adriano vero, sotto il quale l’impero romano raggiunse la sua massima estensione. Allo stesso modo, grazie ai gol di Adriano, l’Inter può toccare il punto più alto della sua rinascita. Questa convinzione alimenta filosoficamente tutta la mia opera: l’Inter di Moratti è la vera erede dell’impero romano, perché animata dai valori migliori della classicità, a cominciare dalla senechiana accettazione della sorte avversa. L’Inter di Moratti non sarà mai una società urlata. L’Inter ha la saggezza del sapiente della classicità. Moratti incarna alla perfezione l’eleganza dell’oratoria romana: o hai qualcosa da dire più importante del silenzio o non dire nulla. Moratti, anche di fronte all’ingiustizia, non sbraiterà mai come altri colleghi. E il fatto che l’impero romano sia stato un impero vincente, un po’ più di quello nerazzurro di Moratti, non mette in crisi la mia teoria. Anche nella decadenza gli scrittori romani parlavano a nome della gloria passata, forti di quell’orgoglio. Scrittori che amo tantissimo, come Claudio Claudiano, di cui mi sento continuatore, o come Rutilio Namaziano, che vide il sacco di Roma. Il nostro sacco di Roma fu quel 5 maggio, chiaro».