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 2005  aprile 08 Venerdì calendario

Ranieri, La Stampa, 08/04/2005. Da bambino sognava di «dirigere un circo», come confessò una volta a un biografo di famiglia, Jean de Cars

Ranieri, La Stampa, 08/04/2005. Da bambino sognava di «dirigere un circo», come confessò una volta a un biografo di famiglia, Jean de Cars. Si dava da fare già allora. Papà e mamma lo chiamavano, ma il piccolo Ranieri non si muoveva da lì, non riusciva a staccare gli occhi da quelli che montavano e smontavano il tendone, da quei colori, da quella polvere, dall’odore degli animali, dalle facce tristi dei pagliacci. Poi i tempi sono passati, e i sogni sono svaniti. L’amore no. Solo che in fondo a pensarci bene dev’essere meglio fare il sovrano. Al circo ha dedicato un Festival internazionale e negli anni è riuscito a trasmettere questa passione alla sua figlia prediletta, quella Stephanie che aveva il suo stesso profilo da combattente, quello stesso sguardo che taglia come una lama, quella stessa voglia di correre con il vento in faccia. A molte di queste cose lui ha dovuto rinunciare. Non si può fare il sovrano e restare come Stephanie. Però, nessuno come lui l’ha capita, e nessuno come lui l’ha forse anche un po’ invidiata. Per questo una volta disse di lei: «Stephanie ha molto carattere. Lei sa cosa vuole. Io le ho detto spesso quello che pensavo, anche se non me lo chiedeva. Devo ammettere che i miei consigli non sono stati sempre seguiti. Ma una delle più grandi emozioni della mia vita, l’ho avuta quando lei ha dichiarato: ”Mio padre è l’unico uomo al mondo che non ho mai tradito”». Anche Carolina aveva parole d’affetto per lui. Quando a Parigi, da ragazzina, voleva «vivere la sua vita» e scorazzava sulla sua Fiat 500 fumando una sigaretta dietro l’altra, truccata così tanto e con vestiti così appariscenti, suo padre prendeva tutto con molta filosofia: «Io penso che lei non si lascerà mai trascinare in un’avventura. L’abbiamo educata bene». Carolina rispondeva che era un uomo adorabile, che sapeva «sedersi in poltrona per ascoltare i miei problemi» e che lei sperava «un giorno di trovare un marito che gli rassomigliasse». Sappiamo come è andata: prima Junot, un play boy senza arte né parte, poi Casiraghi, troppo buono e mite per assomigliare al papà, e infine il bellicoso principe Hannover. Non si può dire che è andata come sperava. Però, più che un buon padre, e magari persino più che un buon sovrano, Ranieri III è stato soprattutto un grande padrone d’azienda. E forse è così che dovremo consegnarlo alla storia. Poco tempo prima che lui salisse sul trono, il regista Sacha Guitry scherzava con i giornalisti: «Monaco? Non si può farne un’operetta. Lo è già da sola!». Poi venne questo studente irrequieto e scapestrato, questo campione di boxe con il naso un po’ rincagnato, da pugile, e cambiò tutto. Era più forte, più duro, più determinato di quel che sembrava. Venne l’armatore greco Aristotele Onassis a innaffiare di soldi il rinascente Principato. Dopo un po’ cominciarono a bisticciare. Ranieri gli disse: «Signor Onassis, i vostri soldi vi hanno permesso di comprare tutto. A parte una cosa: l’educazione». Il padre tenero e il sovrano silenzioso era un uomo d’azienda che sapeva il fatto suo. Con un’abile manovra fece fuori Onassis, che quando parlava del principe lo chiamava un po’ sprezzante e un po’ tenero «le gosse», il ragazzino. L’armatore greco ci rimase così male che non si fece mai più vedere a Montecarlo. Mai sottovalutarlo. Lo ammettevano tutti coloro che avevano avuto a che fare con lui, a partire da Grace Kelly, che nei momenti di rabbia confidava all’amica Fleur Cowles Meyer: «Lui non s’interessa più a me. Se ne frega completamente». Oppure: «Il principe è una coppia di gemelli, due esseri in uno. Se c’è la luce va bene. Quando c’è l’ombra, io lo evito». Ma che alla fine confessava: «Mio marito aveva deciso di fare di me una vera principessa. Ci ha messo un mucchio di pazienza. Io non ci credevo, ma c’è riuscito. E lo ringrazio. Perché sono andata più lontana come principessa che come attrice». Quello che non diceva è che un vero principe non sarebbe mai riuscito a trasformarla. Ci voleva un manager. Pierangelo Sapegno