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 2005  aprile 04 Lunedì calendario

Storie dei conclavi(1). Armando Torno ”Corriere della Sera” 4/4/2005. I papi non sono stati eletti sempre alla stessa maniera

Storie dei conclavi(1). Armando Torno ”Corriere della Sera” 4/4/2005. I papi non sono stati eletti sempre alla stessa maniera. Ci furono dei periodi in cui si saliva al soglio di Pietro per acclamazione di popolo, altri nei quali i candidati furono « suggeriti » da una potente famiglia o da un re o da un imperatore. Non mancarono infine momenti in cui si riuscì a liberarsi da tutte le pressioni. Gli intrighi, poi, scrissero più storia di quel che si crede, ma è difficile conoscerla veramente. Il prossimo pontefice verrà scelto seguendo le indicazioni contenute nella costituzione apostolica Universi Dominici Gregis , emanata da Giovanni Paolo II il 22 febbraio 1996. Quasi tutti gli ultimi papi, a cominciare da Pio X, hanno dettato le loro specifiche disposizioni per l’elezione del successore di Pietro, correggendo le precedenti. Le sorprese non mancano in questa storia, a cominciare dall’anno 355, allorché l’imperatore Costanzo decise di cacciare papa Liberio per sostituirlo con l’arcidiacono Felice: ma la comunità di Roma rimase fedele al pontefice e il candidato imperiale fu allontanato dalla città. La parola « conclave » indica il luogo dove si riuniscono i cardinali dopo la morte del papa e anche il complesso dei porporati che si ritrovano per l’elezione. La troviamo per la prima volta nella costituzione apostolica Ubi periculum di Gregorio X. Correva il luglio 1274. Tuttavia, già Niccolò II nel 1059 con la bolla In Nomine Domini stabilì che l’elezione del papa fosse riservata a cardinali e vescovi. E Alessandro III nel 1179 fece un ulteriore passo: indicò nel solo collegio cardinalizio l’organismo preposto. Per sicurezza, fissò la maggioranza necessaria nei 2/ 3 dei voti. Ma anche dopo queste regole, non è facile parlare di conclave così come noi lo intendiamo. Si arrivò lentamente alla concezione di un gruppo di cardinali elettori, intenti al loro compito e isolati dal resto del mondo. Certamente un fatto importante accadde dopo la morte di Gregorio IX ( agosto 1241): i porporati, rimasti in 12 – di cui due prigionieri di Federico II – si trovarono profondamente divisi e non riuscivano a decidere. Per aiutarli il senatore Matteo Rosso Orsini, che era di fatto il dittatore di Roma, seguendo una procedura adottata in alcuni comuni dell’Italia settentrionale e in taluni ordini religiosi, li fece rinchiudere in condizioni disagiate nel Settizonio di Settimio Severo, alle pendici del Palatino. Ciò non placò i contrasti, ma è certo che i poverini furono presi per sfinimento ( uno di loro morì) e il 25 ottobre di quel 1241 elessero Celestino IV, che era anziano e malato, tanto che se ne andò nel mondo dei più già il 10 novembre. Al di là della vicenda, quello che interessa è la clausura forzata, perché grazie ad essa nasce il conclave moderno. Dopo la morte di Clemente IV ( 29 novembre 1268), i 18 cardinali che si riunirono nel palazzo papale di Viterbo per scegliere il successore non riuscirono di nuovo a mettersi d’accordo. Discussero quasi tre anni, litigando intorno all’atteggiamento da tenere verso Carlo I d’Angiò, in quel tempo re di Sicilia, che mirava a estendere il suo potere sull’Italia contro gli Hohenstaufen. Ci fu un intervento di Filippo III di Francia per sollecitare la scelta, ma non ebbe esito felice; allora scese in campo quello che poi diventerà San Bonaventura, in quel tempo generale dei francescani: consigliò i viterbesi – un anno e mezzo dopo la prima riunione dei porporati – di chiuderli nel palazzo per sottrarli a tutte le possibili influenze. Anche questa misura fu sterile. Passarono ancora dei mesi, sino a quando il podestà Roberto di Montebuono e il capo delle milizie custodi del conclave, Raniero Gatti, decisero di rimuovere il tetto dell’edificio e di far giungere ai cardinali soltanto pane e acqua. Il compromesso non si fece attendere e Teodaldo Visconti, allora impegnato in una crociata con il futuro Edoardo I d’Inghilterra, diventò Gregorio X. Sarà proprio Gregorio X, per evitare vuoti di potere così lunghi, che consacre rà l’operato dei cittadini di Viterbo nella quinta sessione del Concilio di Lione del 1274. Promulgando la costituzione Ubi periculum , fissava rigide prescrizioni per il conclave: regole di clausura e di non comunicazione con l’esterno, ferree disposizioni per introdurre il cibo e la sua quantità. Scopriamo così che dopo tre giorni dall’inizio, in caso di fumata nera, nei seguenti cinque i cardinali potevano avere soltanto una pietanza per il pranzo e una per la cena; trascorsi questi si passava a pane, acqua e vino. Clemente VI nel 1351 addolcirà la normativa, che poi subirà ulteriori cambiamenti e alcune deroghe. Non si deve dimenticare, d’altra parte, che dopo la morte di Niccolò IV, nel 1292, il trono di Pietro rimase vacante per 27 mesi e nel 1293 i Colonna tentarono con un colpo di mano di eleggere uno dei loro, senza riuscirci. Anche se durante i conclavi successivi il Vaticano fu isolato mediante murature e non vi erano che quattro ruote per introdurre i viveri e per le comunicazioni consentite ( tali « rote » erano controllate da prelati e da guardie), non dobbiamo illuderci: i sacchetti d’oro entrarono più volte per l’acquisto dei voti. Enea Silvio Piccolomini, poi papa Pio II, nei suoi Commentari – c’è un’eccellente edizione pubblicata da Adelphi – ricorda come alcuni porporati si riunissero nelle latrine e qui patteggiassero alleanze e cariche. Siamo alla metà del XV secolo e la simonia è in auge. Del resto, nel 1492 l’elezione di Alessandro VI, noto come papa Borgia, si spiega con la corruzione più che con altri argomenti. A scanso di equivoci, Giulio II, con la costituzione Cum tam divino del gennaio 1505, stabilì che un’elezione macchiata dalla simonia sarebbe stata nulla. Pio XII, mezzo secolo fa circa, oltre a ribadire antiche scomuniche per chi non avesse osservato le norme del conclave, ha proibito l’introduzione di apparecchi telegrafici, telefonici, microfonici, nonché di radio, macchine fotografiche et similia . Oggi dovremmo estendere il veto alla produzione elettronica. Dopo il periodo avignonese – siamo nel XIV secolo – i conclavi si tennero a Roma, eccezion fatta per quelli che elessero Martino V ( Costanza 1417) e Pio VII ( Venezia 1800). Dal 1823 al 1846 è il caso di ricordare che la sede fu il Quirinale: qui furono eletti Leone XII, Pio VIII, Gregorio XVI e Pio IX. Nel 1878, alla morte di quest’ultimo, si ritornò in Vaticano perché il palazzo ormai era occupato dai Savoia. Altra storia che entra in conclave è il diritto di veto o, come era noto in gergo giuridico e diplomatico, ius exclusionis . Si trattava di una vera e propria ingerenza dell’autorità civile nell’elezione di un papa. Negli ultimi secoli – sino a Pio X, eletto il 4 agosto 1903 – i sovrani di Germania ( poi Austria), Francia e Spagna, potevano escludere prima della elezione uno dei cardinali. Anche se i porporati non erano obbligati ad aderire al veto co me a vero diritto, di fatto questa intromissione ha « bruciato » non pochi candidati. Così, per l’ultima volta nel 1903, l’Austria esercitò il suo potere contro il filofrancese Rampolla del Tindaro ( proprio per questo caso clamoroso Pio X, con la costituzione Commissum Nobis , proibiva qualsiasi forma di veto); ma è certo che le origini di tale esclusiva risalgono a Carlo V, imperatore che sembrava nato per comandare: la utilizzò nelle elezioni pontificie del 1549 50 e 1555. Poi non mancarono bolle che condannarono il veto, tuttavia nel conclave del 1644 lo spagnolo Albornoz ne recò uno contro il cardinale Sacchetti, ma poi l’odiosa esclusiva « colpì anco l’ispanico » nell’elezione del 1655. Gli esempi abbondano: nel 1730 Francia e Spagna ostracizzarono il cardinal Imperiali, nel 1758 la sola Francia pose il veto a Cavalchini, nel 1823 l’Austria colpì Severoli e nel 1830 fu ancora la volta della Spagna con il cardinale Giustiniani. Va aggiunto che anche nel conclave del 1846 doveva giungere un veto austriaco per Mastai Ferretti, il futuro Pio IX, ma l’arcivescovo di Milano Gaysruck non riuscì a portarlo in tempo a Roma ( impedito, pare, da un incidente a Piacenza alla sua carrozza). Nel XIX secolo si temettero assalti armati al Vaticano e possibili violazioni alla libertà del sacro Collegio: per questo Pio VI, Pio VII e Pio IX ordinarono norme straordinarie; Leone XIII il 24 maggio 1882 – nel momento più acuto dell’anticlericalismo in Italia – emanò la costituzione Praedecessores Nostri , per dare indicazioni in caso di aggressione da parte di qualche gruppo di mangiapreti che desiderasse passare dalle parole ai fatti durante il conclave. Rimase in vigore sino a Pio XII. Chiudiamo con la domanda: quanto durerà la prossima elezione pontificia? Se la tradizione degli ultimi due secoli verrà rispettata, possiamo rispondere: poco. Ad esempio, Giovanni XXIII fu eletto al dodicesimo scrutinio ( 3 giorni), Paolo VI al quinto, Giovanni Paolo II pare all’ottavo. Anche in passato ci sono casi di elezione rapida: Giulio II ( 1503) e Paolo III ( 1534) richiesero un giorno. L’ultimo dei lunghi conclavi è stato quello per Benedetto XIV, che si protrasse dal 19 febbraio al 17 agosto 1740. Ma, anche se è sempre difficile prevedere quel che accade quando i cardinali elettori si riuniscono, la prossima volta i tempi potrebbero essere accorciati da un eventuale ballottaggio. Così ha voluto Giovanni Paolo II con la Universi Dominici Gregis .