Alberto Melloni, ཿCorriere della Sera 8/4/2005. pag. 11, 8 aprile 2005
Storie dei conclavi(5): Gregorio VII. Alberto Melloni, ”Corriere della Sera” 8/4/2005. I cardinali non sono da sempre i custodi dell’elezione papale
Storie dei conclavi(5): Gregorio VII. Alberto Melloni, ”Corriere della Sera” 8/4/2005. I cardinali non sono da sempre i custodi dell’elezione papale. Privilegio riservato al clero e al popolo della chiesa di Roma ( così come accadeva in quasi tutte le diocesi), la scelta del papa è terreno di scontri secolari fra gruppi e famiglie. Saranno i riformatori del secolo XI, quelli che s’usa definire « gregoriani » , dapprima forti del sostegno imperiale e poi implacabili difensori della sovrana autonomia politica del papa, a innovare questa tradizione. Già nel 1048 ottengono la sede romana da Enrico III, che a Worms sceglie come papa il fido Brunone di Tours, e lo manda a Roma. Uno dei suoi accompagnatori convince Leone IX, papa tedesco e viaggiatore, a non indossare gli abiti pontificali prima di avere rag giunto Roma e aver ricevuto lì il consenso del popolo e del clero, già in tumulto. Ma nel 1058, alla morte di Stefano IX avvenuta a Firenze, i capi della nobiltà romana riescono a manovrare e ad eleggere Giovanni Mincio, che prende il nome di Benedetto X. Pier Damiani e i cardinali riformatori si oppongono, dichiarando nulla questa elezione, priva del consenso dell’imperatrice reggente Agnese. Con qualche peripezia riescono a eleggere papa Gerardo di Borgogna, dal 1049 vescovo di Firenze, sede di cui conservò la carica e le rendite anche dopo l’elezione al soglio pontificio. Gerardo, che prese il nome di Nicolò II, ebbe l’approvazione dell’imperatore e proseguì l’azione di riforma, in un mondo nel quale s’era consumata nel 1054 la divisione fra chiesa d’Oriente e chiesa d’Occidente, destinata a durare fino al 1965, anno in cui vennero abrogate le reciproche scomuniche, senza trovare una piena comunio ne. Nel 1059, durante il sinodo romano, Nicolò II fece approvare il decreto In nomine Domini per regolare tutte le elezioni episcopali: secondo il decreto in ogni diocesi il vescovo dev’essere scelto dai chierici, acclamato dal popolo e approvato dal vescovo metropolita. Dato però che la chiesa romana non ha me tropolita sopra di sé, i « cardinali vescovi » dovevano svolgere le funzioni di conferma del metropolita, mentre al clero e al popolo rimaneva il diritto/ dovere dell’acclamazione. In questo atto, « cardinale » è ancora un aggettivo che indica il più eminente clero di Roma, diviso in tre ordini ( cardinali vescovi, cardinali preti e cardinali diaconi): ma presto diventerà un sostantivo per indicare le figure maggiori inserite nel clero della città come titolari di una chiesa dell’Urbe. Il decreto – al quale risale il privilegio di cui godono i cardinali oggi – non ebbe eccessiva fortuna. Il successore di Nicolò II ebbe contro per tre anni un antipapa eletto dall’imperatore. E nemmeno alla morte di Alessandro II si seguirono le norme inventate da Nicolò II. Ildebrando di Soana, l’arcidiacono che aveva organizzato in Laterano il solenne funerale del predecessore, fu fatto papa dall’acclamazione del popolo, anche se per molto tempo protestò di non aver gradito né tanto meno ordito questa soluzione, più antica e tradizionale rispetto a quella prospettata da Nicolò II. Chi rispolvera il decreto In nomine Domini è la corte imperiale di Enrico IV, che fra il 1076 e il 1090 ne produce una redazione più breve ( e falsificata), che assegna a tutti i cardinali il potere esclusivo di eleggere il papa. La corte voleva forse sfruttare le divisioni interne al gruppo riformatore o l’incertezza creatasi dopo che l’imperatore scomunicato aveva deposto il papa e nominato un successore. Ma nemmeno allora il decreto fu applicato: Gregorio VII, morente, indica una terna di nomi per la successione, dalla quale viene scelto a settembre del 1086 l’abate Desiderio, che riceve il nome di Vittore III. Vittore scappa a Montecassino per sfuggire al peso del pontificato, che accetta solo un anno dopo: indosserà i paramenti pontifici per pochi mesi, non senza aver designato, prima di morire, il successore nell’unico superstite della terna già indicata da Gregorio VII. Il decreto che attribuisce a tutti i cardinali e solo a loro il potere di eleggere il vescovo di Roma trova forza nel secolo XII, grazie alla discussione fra i canonisti; prima nelle collezioni che circolano per le scuole e le corti poi nell’insegnamento a Bologna, dove il magister Graziano lo inserisce ( nella versione imperiale o breve) nel Decretum , la sua grande raccolta di documenti canonici che per quasi nove secoli sarà il fondamento del diritto canonico della chiesa latina. Nel 1179 Alessandro III, il grande canonista di Bologna fatto papa, fa riapprovare in un concilio generale la norma breve e garantisce un futuro ad un meccanismo che attraverserà i secoli solo apparentemente immutato.