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 2005  aprile 07 Giovedì calendario

Jacir Emily

• Nata a Betlemme (Israele) nel 1970. Artista. «[...] Nei racconti video e fotografici (o anche nelle installazioni) di Jacir c’è la storia del popolo palestinese, della sua resistenza e di un’intimità dolorosa, un confronto diretto e continuo con temi come l’appartenenza, l’esilio, la guerra, la memoria famigliare e quella collettiva. Uno dei progetti pluriennali di questa artista nasceva da una semplice domanda che veniva posta a 27 palestinesi, i quali per ragioni politiche diverse erano costretti a rimanere lontani dalla loro patria: ”Se potessi fare qualcosa per te, ovunque in Palestina, cosa vorresti che facessi?”. Il lavoro, sviluppato in trenta immagini, è stato esposto alla Biennale di Istanbul del 2003 (Where We Come From?) e alla galleria Nuova Icona di Venezia, in Italia: costellato di ricordi malinconici - infanzie remote, madri e figli separati, aranceti dove pullulavano bambini - era un’elegia antispettacolare che contrastava fortemente con la cronaca splatter della situazione mediorientale. Fra le sue opere più intense, c’è anche il Memorial to 418 palestinian villages that were destroyed, depopulated and occupied by Israeli in 1948: una tenda per rifugiati dove sono cuciti i nomi di tutti gli ”scomparsi”. Un monumento vulnerabile, un testamento di una tragedia che evoca - data la leggerezza del suo materiale - anche la fragilità e gli strappi possibili della memoria. Jacir stessa, in fondo, ripercorre le tracce del ricordo, una per una, per evitare che la sua storia personale la conduca troppo lontano dalle sue radici: cresciuta in Arabia Saudita, poi studi a Roma e infine università negli Stati uniti, con borse di studio nel Colorado, Parigi, Linz, la sua vita è segnata dal movimento e dal nomadismo. Nella mostra Non toccare la donna bianca, il film Crossing surda testimonia il tentativo di registrazione del passaggio dell’artista a un posto di blocco sulla strada Ramallah-Birzeit, l’unica che collega all’università. Emily Jacir si presenta ai soldati israeliani filmandosi i piedi: viene fermata, il suo passaporto americano viene gettato nel fango. Sotto minaccia di una pistola, le viene spiegato che non si possono fare riprese perché quella è una zona militare. Tre ore dopo viene rilasciata, senza più videocassetta. Ma la notte successiva, il suo tragitto ricomincia, questa volta con una telecamera nascosta in un buco della borsa: quando gli israeliani decidono che di lì non deve passare nessuno, sparano lacrimogeni, proiettili, gas e disperdono la gente. Fra gli annunci pubblicitari del Village Voice, nel 2002 ne compariva uno piuttosto strano: donna palestinese cerca uomo ebreo al 100%, alto, con occhi neri e dall’aspetto fiero, che ami la cioccolata, la poesia e il tramonto, per viaggiare in Israele. L’autrice del messaggio è sempre lei, Emily Jacir. Pronta anche a filmare una strada americana per un’ora, senza mai fermarsi, nel suo From Texas with love. Le immagini sono accompagnate da una compilation di canzoni arabe scelte da palestinesi che vivono all’estero. Anche qui, tutto era partito da una domanda: ”Se tu avessi la libertà di poter guidare senza essere costretto a fermarti, se non ci fosse l’occupazione israeliana, i soldati, i check point, quale musica vorresti ascoltare?”» (Arianna Di Genova, ”il manifesto” 6/4/2005).