Ugo Magri, La Stampa 4/4/2005, 4 aprile 2005
Intervista a Cossiga su Karol Wojtyla, La Stampa 4/4/2005. Quante volte, presidente Cossiga, ha incontrato Giovanni Paolo II? "Una trentina
Intervista a Cossiga su Karol Wojtyla, La Stampa 4/4/2005. Quante volte, presidente Cossiga, ha incontrato Giovanni Paolo II? "Una trentina. Spesso in forma privata". L’ultima? "L’anno scorso. Chiamo un giorno don Stanislao...". Il suo segretario? "Molto di più. Per Karol Wojtyla, che aveva perso la mamma da bambino, poi una sorella, poi il fratello, quindi il padre, monsignor Dziwisz ha rappresentato il calore della famiglia. Insomma, gli chiedo di trasmettere al Santo Padre i miei auguri. E lui, seduta stante, me lo passa al telefono". La vostra prima volta, invece? "Fine agosto 1979. Sulla Marmolada. Da presidente del Consiglio lo accompagnai a visitare la casa di Papa Luciani. Ci colse una tormenta, per ripararci finimmo in un rifugio dove ci offrirono burro, speck e vino bianco". Un impatto... burrascoso. "Gli era rimasto così impresso che, vent’anni dopo, mi ha detto scherzando: ”Ricorda, presidente, che freddo quella volta?”. E io: ”Sì, però abbiamo fatto una bella mangiata...”". Uomo di spirito? "Molto. Pensi che durante una colazione chiesi se potevo raccontargli una barzelletta sui polacchi appresa in Polonia". Imbarazzato? "Chi gli stava intorno tratteneva il fiato. Lui invece disse: ”Sentiamo, sentiamo...”". Sapeva sorridere. "Anche ridere. Però che nessuno si permettesse di far mancare il rispetto, non alla persona Wojtyla, ma al Papa come istituzione della Chiesa!". Un manifesto dei Democratici di sinistra lo ricorda come "un uomo buono". Condivide? "Buono in quanto santo. Così come buono era il Santo dei Santi, Nostro Signore, anche perché cacciò con la frusta i mercanti dal Tempio". Conservatore o progressista? "Non era certo un restauratore in senso pre-conciliare, se è questo che vuol sapere. Basti pensare a chi ha nominato cardinale, nella meraviglia di tutti". Chi? "Ratzinger, allora considerato teologo ”discolo”, al punto che il cardinale Ottaviani non aveva permesso che lo nominassero perito del Concilio in quanto troppo ”spinto”. Poi De Lubac, gesuita, formalmente condannato dal Sant’Uffizio. E padre Congar, domenicano, anche lui sul libro nero. Per non dire di Von Balthasar, discolo tra i discoli...". Nomine cardinalizie a parte? "Penso al suo ecumenismo. Ha avuto il coraggio di chiedere perdono agli Ebrei. Ha impedito uno scontro di religioni con l’Islam. Ha cercato il dialogo con i protestanti riconoscendo le colpe cattoliche nella notte di San Bartolomeo e i limiti del Concilio di Trento". Come si spiega, allora, che Wojtyla in certi ambienti fosse additato come retrogrado? "Perché impediva le fughe in avanti. Sbarrava la via a quanti non si accontentavano del Concilio Vaticano II e volevano andare oltre, interpretandolo secondo i propri gusti. Non dimentichi il timore dello stesso Paolo VI". Quale timore, presidente? "Che lo spirito del diavolo stesse introducendosi nella Chiesa". Torniamo ai vostri incontri. "Una volta mi invitò alla prima colazione con la famiglia. Lui e mio figlio si misero a parlare di calcio...". Tifoso? "Appassionato di sicuro. Ai campionati del mondo di Italia ’90 ero da lui. Entra don Stanislao e dice: ”Ma come! Sta giocando la Polonia e avete la televisione spenta...”. Viene accesa immediatamente e io cambio posto perché mi trovavo di spalle allo schermo". Di che cosa conversavate? "Anche delle mie cose più intime, private. Trovando in lui un vero ”prete”". Poi? "Di santi". Santi? "Gliene ho ”sponsorizzati”, si dice così?, tre in maniera forse un po’ sfacciata. Anzitutto Rosmini, dicendogli che il giorno in cui verrà proclamato beato sarà il giorno della grande riconciliazione della Chiesa con la nazione italiana. Poi il teologo inglese Newman...". A che punto è la sua causa di santità? "Ne sono state riconosciute per decreto di Papa Wojtyla le virtù eroiche. E una volta che insistetti più del solito per affrettare la beatificazione, Giovanni Paolo II scherzò: ”Perché non gli fa fare qualche miracolo?”". Il suo terzo "raccomandato" presso Wojtyla? "Tommaso Moro. Santo lo era già, e pure martire. Gli chiesi dunque di nominarlo patrono dei politici. ”Bisogna raccogliere le firme”, mi disse il Papa in tono grave. E io lo feci con l’aiuto dell’Opus dei, tra i politici di tutto il mondo, tra cui Giscard d’Estaing e Massimo D’Alema". E di politica italiana, parlavate in segreto? "Nooo, assolutamente". Della Dc? "Per carità. Tranne un accenno, quasi una battuta. Alla Chiesa del Gesù, per il Te Deum di fine anno. Io ero in prima fila, privatamente. Lui passò davanti, fatto qualche passo tornò indietro e s’informò gentile: ”Beh, come va con la Dc?”. Non era uomo da intromettersi. Era polacco". Quanto polacco, da zero a cento? "Centodieci. Figuariamoci se poteva appassionarsi delle cose di casa nostra". Sui comunisti italiani? "Avevo tentato di introdurre il discorso". Lui? "Mai una parola". Proprio mai? "Solo una volta. Sempre alla Chiesa del Gesù. Stavolta in sacrestia. Il colloquio si prolungava, l’uomo del cerimoniale era entrato più volte indicando l’orologio, io avevo buttato lì che il comunismo di Enrico Berlinguer era una cosa nuova e diversa. Il Papa mi guardò e disse, quasi bofonchiando: ”So che lo pensate...”". Cioè? "Che era un’idea mia, non sua". Anticomunista? "Assolutamente sì. In quanto uomo libero, anti-totalitario. Come ha scritto il suo grande biografo, l’americano cattolico-liberale e neo-cons Weigel, con Papa Wojtyla termina la Ostpolitik vaticana di Paolo VI, ma specialmente del suo segretario di Stato, cardinale Casaroli". In che senso? "Nella Santa Sede prevaleva prima di Wojtyla la tendenza a considerare i comunisti come i ”barbari” dell’Evo antico, con i quali trattare in attesa di poterli battezzare. Con Giovanni Paolo II questa politica fu abbandonata, e ci si mosse perché la fine del sistema comunista fosse affrettata". Wojtyla alleato di Reagan? "Non credo proprio. Semmai una convergenza. Lui non era, in senso politico, un ”occidentale”. E ha sempre guardato con sospetto l’occidentalismo che ignorava l’Europa dell’Est, oppure la considerava a se stante". Preferiva Gorbaciov? "Di certo al leader sovietico Giovanni Paolo II voleva bene, al punto da abbracciarlo ogni volta anche pubblicamente. E quando osai affacciare una riserva su come aveva condotto la glasnost, il Papa mi interruppe: ”Si ricordi che Gorbaciov è un uomo di grande valore”". Per lei, presidente Cossiga, questo Papa che cosa è stato? "Me l’aveva chiesto una volta il New York Times, e io gli avevo risposto: ”Un uomo che è Papa”, cosa che (mi disse lui stesso) gli era piaciuta moltissimo". Cosa lo rendeva così umano? "E’ difficile concepire altri Papi in panni diversi. Mentre possiamo ”vedere” Wojtyla, forse perché abbiamo in mente le sue vecchie foto, vestito da soldato, da operaio, da minatore, da attore, da regista, da sportivo. Sa che annotava in certi quadernini neri tutte le ore di sport che faceva?". Glieli ha mostrati? "Certo. E lo si può perfino immaginare Karol da giovane, prima che decidesse di farsi sacerdote, innamorato o fidanzato... Uomo, grande uomo, perché è stato messo dalla Provvidenza nella condizione di dimostrare la sua umanità attraverso la sofferenza della malattia". Chi, dopo di lui? "Siccome credo che il Papa, anche se eletto dagli uomini, è il signore Iddio che lo sceglie, la memoria altissima di Giovanni Paolo II non mi fa temere che dopo di lui la Chiesa non avrà un altro Papa adattissimo ai bisogni e alle esigenze dei nostri tempi".