Benny Lai, La Repubblica, 05/04/2005 pag. 30-31, 5 aprile 2005
Pianto del cardinale, La Repubblica, 05/04/2005 «Sono venuto a chiederti scusa», bisbigliò l´alto prelato cadendo in ginocchio dinanzi al piccolo letto d´ottone su cui avevano deposto la salma di Pio XII dopo averlo rivestito degli abiti di cerimonia, dalla lunga veste serica colma di ricami alla mozzetta, al camauro cremisi orlato d´ermellino
Pianto del cardinale, La Repubblica, 05/04/2005 «Sono venuto a chiederti scusa», bisbigliò l´alto prelato cadendo in ginocchio dinanzi al piccolo letto d´ottone su cui avevano deposto la salma di Pio XII dopo averlo rivestito degli abiti di cerimonia, dalla lunga veste serica colma di ricami alla mozzetta, al camauro cremisi orlato d´ermellino. Restai immobile, quasi attaccato alla parete per aver riconosciuto nel monsignore l´autorevole pro segretario di Stato Domenico Tardini. Finalmente lui alzò gli occhi dal profilo ascetico di Eugenio Pacelli, mi riconobbe, mi guardò senza imbarazzo. Pensai: ecco l´opera della morte; già tante cose sono cancellate, tante altre stanno mutando aspetto, domani papa Pacelli non sarà lo stesso. Sarà tutto ciò che di lui resta e tutto ciò che gli sopravvive. Eravamo nella stanza da letto dell´appartamento papale al secondo piano del palazzo di Castel Gandolfo, dove mi aveva aiutato a penetrare un amico della corte pontificia attraverso il parco e una scaletta esterna poco adoperata che portava all´interno dell´appartamento. A facilitarmi aveva notevolmente contribuito la confusione seguita alla piccola cerimonia della constatazione della morte, eseguita dal cardinale decano Eugenio Tisserant prima dell´ingresso dei medici per l´imbalsamazione. Un´indispensabile necessità se non altro perché la salma di un papa deve essere esposta alla pietà dei fedeli. E sovente questa esposizione non è priva di problemi come pare sia accaduto per Paolo VI. Forse a causa del periodo dell´anno e del luogo della morte: una domenica di agosto e nel palazzo di Castel Gandolfo. Particolare che comportò ancora una volta il trasporto funebre a Roma come si era verificato per Pio VII. Ma tra i due eventi vi è più di una differenza. Intanto il mezzo di trasporto. Il Vaticano non possiede un carro funebre, neppure adesso che il Papa percorre il mondo, figurarsi più di mezzo secolo fa. A provvedere tanto per Pacelli come per Montini fu il Comune di Roma. E in maniera totalmente diversa. Ricordo bene le urla dell´ingegnere Francesco Vacchini con gli uffici comunali che gli volevano dare un automezzo. «Come - diceva lui - l´automezzo va bene per il trasporto da Castello a San Giovanni, per il tragitto privato. Per quello ufficiale, fino a San Pietro, ci vogliono i cavalli: trovateli». Ma i cavalli non furono trovati e allora s´adoperò una berlina divenuta carro funebre mediante una sovrastruttura che giustamente sollevò tra la folla in attesa per le strade di Roma più di un mormorio di disapprovazione. Era una sovrastruttura, alla quale era stata data la forma di un cubo, rivestita di damasco ai cui angoli v´erano quattro angeli dorati molto paffuti che reggevano due drappi bianchi. Al centro del cubo poi stava un grande triregno. Inevitabile perciò i mormorii di protesta che viceversa non s´udirono per il trasporto funebre di papa Montini: un normale automezzo che portava una bara di legno chiaro, priva di assolutamente di drappi o fiori. Una semplicità che esaltò il lungo lavoro svolto da Paolo VI per annullare il fasto di sapore medievale di cui era intrisa la liturgia cattolica e che raggiunse il suo apice proprio il pomeriggio delle esequie. La folla che gremiva piazza San Pietro e le telecamere puntate sul sagrato della basilica non s´aspettavano davvero di vedere i sediari pontifici, dapprima curvi sotto il feretro al centro della processione, poggiare la bara a terra sulla terra nuda davanti all´altare eretto dinanzi all´ingresso centrale di San Pietro. Una bara su cui era stata deposto il libro del Vangelo soggetto di tanto in tanto a soffi del Ponentino romano che ne sfogliava qualche pagina. Sagrato e piazza, come nei giorni delle massime celebrazioni liturgiche, quasi un tempio allo scoperto che si ripeté poche settimane più tardi dopo il fuggevole pontificato di Albino Luciani. Anche dopo la scomparsa di Albino Luciani si impose, diciamo lo stile liturgico adoperato per il solenne funerale di Montini. Solo che non eravamo più nel pieno della calura estiva ma in ottobre e che la cerimonia si svolse sotto la pioggia, una pioggia che occupò ben due giorni provocando le abituali, devastanti conseguenze (guasti alla rete fognaria, cedimenti del fondo stradale, allagamenti) per una città avvezza al sole. Ricordo il maltempo di quei giorni per via di una circostanza veramente curiosa. Ero andato a trovare, dopo la tumulazione di Giovanni Paolo I, il cardinale Sergio Pignedoli, già amico di Paolo VI. Ero appena entrato nella sua stanza quando squillò il telefono. Nel rispondere il cardinale, udito il nome della persona che lo aveva chiamato, fece cenno di sedermi avanti a lui. Un poco imbarazzato fui costretto ad ascoltare parte della conversazione. «Sì, ringraziando Dio sto bene» disse il cardinale. «Certo è stata proprio una grande imprudenza. Le pare possibile tenere, sotto la pioggia, uomini di età per esequie che si potevano benissimo celebrare all´interno della basilica? Ci sono state pure proteste ma quelli fanno come vogliono. Prima si è lasciata la decisione incerta, poi hanno stabilito il sagrato... Chi è stato? Altro che Sacro Collegio, altro che Congregazioni nelle quali si dovrebbe decidere ogni cosa... Sono in tre o quattro e prendono le decisioni che vogliono... ». Mi trattenni per più di un´ora con Pignedoli. Dopo lo sfogo telefonico il cardinale prese a parlare quietamente accettando domande e repliche, naturalmente sul tema che dopo i giorni del dolore e dell´applauso per la scomparsa di un pontefice pervadono tanto il mondo ecclesiastico quando quello laico: la scelta del successore.