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 2005  aprile 03 Domenica calendario

DiGiacomo Gege

• Nato a Napoli nel 1918, morto a Napoli il primo aprile 2005. Batterista. «[...] il batterista pirotecnico di Renato Carosone, nipote del poeta Salvatore di Giacomo [...] Era l’Italia in bianco e nero della prima tv che sapeva ancora di dopoguerra e di melodia. L’ironia di Carosone fece breccia e l’esuberante batterista ne era il perfetto alter ego, con i suoi Canta Napoli, con il suo sguardo beffardo e ironico, i suoi occhiali, le sue bacchette, la sua batteria che poteva essere fatta di pentole e bicchieri. Un improvvisatore senza inibizioni (la sua scuola era stata un cinema, dove accompagnava con suoni di fantasia le proiezioni di film muti) , precursore della florida scuola di percussionisti napoletani. Caravan petrol, Tu vuo’ fa’ l’americano, Torero, Pasqualino marajà, l’esilarente parodia della lugubre E la barca tornò sola (con Di Giacono che rispondeva in coro: ”A me che me ne’mporta”). Canzoni fresche, quadretti di sapore esotico che mescolavano i vicoli di Napoli con i profumi arabi o del rock, allontandosi dalla liturgia delle lacrime napulitane e, assieme, arricchendo la tradizione con spensierata fantasia. Si erano incontrati alla fine degli anni Quaranta, Gegè e Carosone. Il primo successo fu allo Shaker club di Napoli in trio: loro due e un giovane chitarrista olandese, Peter Van Wood (destinato a diventare una star con canzoni come Tre numeri al lotto e Butta la chiave e oggi celebre esperto di oroscopi). Il trio si completò per caso durante una sessione di prove con Carosone e Van Wood. Il proprietario dell’albergo raccomandò Gegè. C’era solo un piccolo problema, era senza batteria. L’arte di arrangiarsi è una specialità napoletana e Di Giacomo si arrangiò: con una sedia, un vassoio e dei bicchieri. Il Trio Carosone spopolò finchè Van Wood non si mise in proprio. E fu allora che il successo divenne trionfo: nel ’55 Maruzzella sfondò e il trio ormai quintetto diventò protagonista della tv (con Gegè che dilagava, come quella volta che si mise a suonare con le sue bacchette praticamente tutto lo studio, telecamere e microfoni compresi). Torero venne tradotta in 12 lingue, andò in testa alla hit parade americana, la band viaggiò in Sudamerica, suonò alla Carnegie Hall di New York. Poi, nel ’60, l’addio senza spiegazioni di Carosone. Gegè cerca di raccoglierne l’eredità, ma il mondo della musica, nel frattempo, è cambiato profondamente. Dopo qualche anno anche Di Giacomo è costretto all’abbandono» (Marco Molendini, ”Il Messaggero” 3/3/2005). «[...] inizia a dieci anni a suonare la batteria. Lavora al cinema Sansone, una sala napoletana di quarta categoria, dalle parti di Porta Capuana. Viene ingaggiato nella piccola formazione orchestrale incaricata di eseguire dal vivo, era l’epoca del muto, le colonne sonore dei film proiettati. Qui Gegè impara l’arte di inventare suoni e rumori da ogni cosa che si potesse percuotere. Nel 1949 l’incontro con Renato Carosone e la sua band che continuerà fino all’abbandono delle scene da parte di Carosone nel 1959. De Gennaro tenta allora una carriera da solista senza molto successo. [...]» (’la Repubblica” 3/4/2005). «[...] poeta del tamburo, batterista fantasista, nipote del sommo Salvatore, fu al fianco di Renato Carosone negli anni del suo successo internazionale, contribuendo in maniera determinante all’affermazione di uno stile canoro ironico e contaminato, lontano dalla melassa melodica imperante. I suoi sketch, la sua fantasia iconoclasta e il suo urlo di battaglia ”canta Napoli” sono entrati nella storia della canzone napoletana ed italiana. [...]nonno poeta, padre fine dicitore, le sorelle cantanti, Gennaro Di Giacomo inizia a dieci anni a suonare la batteria. Lavora al cinema Sansone, una sala napoletana di quarta categoria, dove era stato ingaggiato nella piccola formazione orchestrale incaricata di eseguire dal vivo, era l’epoca del muto, le colonne sonore dei film proiettati. Qui Gegè imparò l’arte di inventare suoni e rumori da ogni cosa che si potesse percuotere. Il nome di Gegè Di Giacomo è indissolubilmente legato a quello di Renato Carosone. I tratti del carattere del grande percussionista si possono facilmente evincere proprio nelle parole di Carosone, che racconta (nell’autobiografia Un Americano a Napoli): ”Con Peter Van Wood provavamo all’hotel Miramare, aspettando di conoscere il nostro nuovo compagno di lavoro. Si presentò Gegè Di Giacomo, il padre di tutta la futura stirpe dei percussionisti-poeti della scuola partenopea (da Tullio De Piscopo a Toni Esposito, Toni Cercola, Rosario Jermano, Giovanni Imparato, Arnaldo Vacca, Peppe Sannino, Prince Hobo, Ciccio Merolla, Maurizio Capone...). Io e Peter non capivamo come quel buffo giovanotto con gli occhiali appannati volesse aggiungersi alla nostra jam session: non aveva con sé la batteria, l’aveva portata a cromare, sono sue testuali parole, ”perché si era ossidata dopo la stagione estiva, colpa della salsedine”, ma tanto lui poteva suonare lo stesso, sosteneva. ”E come?”, gli chiesi incuriosito della sua pietosa bugia o della clamorosa intempestività di quella sua scelta, squadrandolo dalla testa ai piedi, che non ci voleva molto. Tomo tomo, Gegè andò dietro il bancone del bar, si impossessò di un vassoio, una sedia di legno, tre bicchieri ’intonati’ diversamente con un po’ d’acqua e un paio di forchette e via, bum, bum, bum. Eccolo, il suono che stavo cercando. Gegè davvero non aveva bisogno della batteria, poteva suonare qualsiasi cosa, far suonare qualsiasi cosa”» (’La Stampa” 3/4/2005).