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 2005  marzo 31 Giovedì calendario

Fosse Ardeatine, La Stampa 31/03/2005 UOMINI e NO nella città aperta. Roma. Era un pomeriggio di primavera e Piero Zuccheretti non voleva andare a lavorare

Fosse Ardeatine, La Stampa 31/03/2005 UOMINI e NO nella città aperta. Roma. Era un pomeriggio di primavera e Piero Zuccheretti non voleva andare a lavorare. Il nonno raccontò poi di averlo obbligato. Qualcuno testimoniò di aver visto Piero prendere l’autobus in via Gregorio VII, sotto le mura del Vaticano, di averlo visto cadere giù per la ressa, rialzarsi, rincorrere l’autobus, saltare sul predellino e proseguire. Il resto è congettura. In genere Piero scendeva in via del Tritone, ma la sua fermata quel giorno era stata soppressa. Probabilmente scese alla successiva, imboccò via dei Serviti e per qualche strano motivo si lasciò alle spalle via degli Avignonesi, dov’era impiegato. Forse - si disse - aveva sentito dei soldati cantare ed era andato a vedere. In ogni caso, poco dopo le 15,50 del 23 marzo 1944, Piero Zuccheretti entrò in via Rasella. Una memoria speciale Gli incubi di via Rasella e quelli conseguenti delle Fosse Ardeatine sessantuno anni dopo trovano ossessivamente spazio nei pochi sopravvissuti, nei libri, nelle cerimonie, nei dibattiti pubblici, persino nei tribunali, ma non in via Rasella. Qui non c’è nulla, non una targa, niente che ricordi qualcosa, un’azione eroica, un attentato, gli autori del colpo, i trentatré soldati altoatesini uccisi, i due civili morti. Dipendesse da via Rasella, in via Rasella non è mai successo nulla. Per farsi un’idea bisogna andarci con le vecchie foto, quella scattata subito dopo l’esplosione davanti a palazzo Tittoni, quella coi corpi dei militari allineati lungo un muro. Quella di Piero Zuccheretti serve a poco: è impossibile risalire al punto esatto in cui è stata presa. Però ogni anno, ogni 24 marzo, l’incubo ritorna. E’ l’incubo dei 335 ostaggi italiani abbattuti per ritorsione dai tedeschi alle Ardeatine il giorno successivo via Rasella. L’incubo del linciaggio di Donato Carretta, il direttore di Regina Coeli (da dove furono prelevati i martiri delle Ardeatine) massacrato dalla folla subito dopo la Liberazione. L’incubo dei processi alla storia, a Rosario Bentivegna e a Erich Priebke - cioè a via Rasella e alle Ardeatine - per stabilire con certezza togata se la prima fu azione di guerra o terrorismo, la seconda reazione legittima o crimine contro l’umanità. Assolto Bentivegna, condannato Priebke, ma che illusione supporre che il diritto potesse dirimere. Quest’anno due reduci hanno abbandonato le celebrazioni delle Ardeatine perché c’era Francesco Storace, politico di destra. Ma a ogni tornata lo spettro risalta fuori: per chi non s’è fatto vedere e chi non doveva farsi vedere, per chi non l’ha ancora raccontata tutta e per chi la riracconta a modo suo. "E’ la liberazione da un incubo", scrisse Voce operaia, il giornale del Movimento dei cattolici comunisti, il 5 giugno 1944 salutando l’ingresso degli Alleati a Roma. Il dominio dei nazisti era cominciato nove mesi prima, l’8 settembre 1943, e sono i nove mesi di un incubo da cui la città non si è mai più liberata. Qualche anno fa Enrico de Bernart disse a una cliente ebrea: "Lo sa che Eugenio Zolli era mio nonno?". La signora quasi stramazzò dalla sedia e in quel preciso istante Enrico de Bernart decise di doverne sapere di più. Eugenio Zolli si chiamava Israel Zolli e prima ancora Israel Zoller. "Caro rabbino stia tranquillo" Era nato in Polonia nel 1881 e aveva imparato presto che cosa è l’antisemitismo. Quando arrivò a Trieste il suo cognome fu italianizzato in Zolli. Nel 1938, l’anno delle leggi razziali, divenne rabbino capo di Roma. E la sera precedente all’entrata dei nazisti a Roma telefonò al presidente dell’Unione delle comunità israelitiche italiane, Dante Almansi, per concordare misure eccezionali. Almansi scoppiò a ridere: "Non più tardi di ieri sono stato al Ministero e ho avuto informazioni del tutto rassicuranti. Stia tranquillo". La storia degli ebrei di Roma è la storia di tutti gli ebrei d’Europa, abituati da secoli ai ghetti e ai pogrom da escludere che quest’altra fosse una persecuzione straordinaria, un Olocausto. Quella stessa sera i tedeschi entrarono nel ghetto di Roma per le prime razzie. Zolli, che era nato in Polonia, aveva un fratello a Berlino e sapeva qual era stato il destino degli altri rabbini europei, lasciò casa con la famiglia. "Lei dovrebbe infondere coraggio, anziché scoraggiare. Ho avuto assicurazioni...". Almansi ripeteva a Zolli le stesse cose ogni giorno e Zolli ripeteva alla gente di lasciare Roma o di battere alla porta dei conventi. Aveva suggerito di distruggere l’elenco con gli indirizzi dei contribuenti. Quando i nazisti chiesero agli ebrei cinquanta chilogrammi d’oro o trecento ostaggi, Zolli si dichiarò contrario alla trattativa fidandosi per nulla della controparte. Il 16 ottobre 1943 alle 5,30 del mattino cominciò il sacco del ghetto di Roma. La sera prima era arrivata da Trastevere una donna scarmigliata e fuori di sé, diceva di aver ricevuto notizie precise su quello che sarebbe successo l’indomani. Fu creduta una maniaca e oltre mille ebrei romani vennero deportati in campo di concentramento e nelle camere a gas. La famiglia Zolli in fuga Presumibilmente quel 16 ottobre Zolli era ospite in casa del cavalier Amedeo Pierantoni, antifascista più volte arrestato. Qualche tempo prima un agente della Gestapo aveva fermato per strada Pierantoni chiedendogli dove potesse trovare il "grande rabbino di Roma": Pierantoni finse di non capire, avvertì il figlio Luigi e con lui perfezionò la fuga e la piccola diaspora della famiglia Zolli. Fu così che Miriam Zolli, figlia del rabbino e mamma di Enrico de Bernart, ebbe salva la vita. E un ebreo che nel 1944 si salva rifugiandosi in casa di un cristiano fa già scandalo. Ma non è tutto. Poco dopo le 15,50 del 23 marzo 1944, Giovanni Zuccheretti stava per sollevare la saracinesca della macelleria del padre, in via del Governo Vecchio, quando sentì un’esplosione. "Mi spaventai ma passò subito: c’era la guerra, era normale", racconta oggi che ha settantacinque anni e custodisce ritagli di giornale e le foto di via Rasella. Lui e Piero erano gemelli e, siccome irrequieti, erano stati divisi da un po’. Giovanni stava col babbo, Piero col nonno. A sera Piero non tornò. S’era sparsa la voce della carneficina di via Rasella e allora il babbo e lo zio di Piero ci andarono e Giovanni racconta che fu il babbo a individuare e a riconoscere la testa di Piero, lo zio raccolse e riconobbe un braccio, altre parti erano già in obitorio. I piedi non si trovarono più. Piero lavorava in una bottega artigiana di oreficeria in via degli Avignonesi, la parallela di via Rasella. I soldati del reggimento altoatesino "Bozen", aggregato alle SS, stavano risalendo via Rasella a passo di marcia e secondo qualche testimone cantavano "Humpf mein model!", salta ragazza mia. E’ possibile che Piero abbia allungato la strada per vedere i soldati che marciavano e cantavano. Nessuno aveva paura, non i soldati e non il bambino. E quelli dei Gap, i Gruppi di azione patriottica? Avevano paura quelli che hanno messo la bomba in via Rasella? Sono stati sessantuno anni di esaltazioni e di accuse. Per qualcuno sono eroi, per altri dei fanatici. Invece erano uomini e avevano paura: un gappista è uno che "a un certo punto butta via tutto, si butta fuori e non sa come andrà a finire, non sa più se tutto il resto ci sarà ancora e lui rientrerà", ha scritto nel 1945 su Rinascita uno di loro, Fabrizio Onofri. I nove mesi di Roma città aperta sono stati i mesi della paura di uccidere e di essere uccisi. Della paura di essere ebrei e di trovare un rifugio. La paura di essere cristiani e offrirne uno, oppure la paura che impediva di offrirlo. La paura che arrivassero gli americani. La paura che non arrivassero in tempo. Un incubo che non passa. La mattina del 24 marzo 1944 Luigi Pierantoni, figlio del cavalier Amedeo, stava per fare un’iniezione a un detenuto quando arrivarono due agenti della Feld Polizei. Luigi era a Regina Coeli da una quarantina di giorni. Elenco macabro della Feld Polizei A causa di una soffiata era stato individuato come antinazista e sospettato di nascondere gli ebrei. Poiché era tenente medico della Croce Rossa, aveva proposto e ottenuto di istituire un servizio di infermeria per i reclusi del III Raggio. Gli agenti della Feld Polizei avevano con sé un elenco e chiedevano di Luigi Pierantoni. Era l’elenco dei trecentotrenta da ammazzare in risposta all’attentato del giorno precedente a via Rasella. Gli agenti presero Luigi per un braccio e gli imposero di muoversi. Quello stesso giorno Luigi fu ucciso alle Fosse Ardeatine con un colpo alla nuca. "Il saluto di Roma all’esercito è grido di riscossa e di guerra", titolò il 5 giugno la Voce Operaia. E scrisse: "Le truppe americane entrate nella Città immortale non sono che le avanguardie d’un esercito che comprende tutte le forze libere e liberatrici del mondo". Il giorno prima la V Armata aveva preso la città. Vedendo il Colosseo in lontananza, il generale Clark si era girato verso Curzio Malaparte con uno sguardo dolente. Credeva fosse ridotto così per le bombe alleate. Il 26 settembre Israel Zolli venne rinominato rabbino capo di Roma ma lui non accettò. Fu in quell’autunno che decise di assumere il nome di Eugenio, come Eugenio Pacelli, papa Pio XII, e di abbracciare la religione cattolica. Per il resto dei suoi giorni Zolli ha spiegato che la conversione nacque dal cuore e non dipese dalla riconoscenza al papa, che tanto aveva fatto per la sua comunità, né dall’ostilità degli ebrei di Roma, che ora lo considerano due volte traditore: per essere fuggito e per essersi convertito. I suoi eredi ancora non si sono liberati dalla dannazione della memoria. Così come Giovanni Zuccheretti non si è liberato dalla memoria negata al gemello Piero. Sfoglia le foto e dietro, dalla finestra di casa sua in via Cardinale Lualdi, l’orizzonte è occupato dalla cupola di San Pietro. Mattia Feltri