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 2005  marzo 29 Martedì calendario

Quando l’Inter rischiò la serie B, Il manifesto 29/03/2005. Un libro di Paolo Ziliani ricostruisce la storia di una "combine" mancata col Genoa nel 1983

Quando l’Inter rischiò la serie B, Il manifesto 29/03/2005. Un libro di Paolo Ziliani ricostruisce la storia di una "combine" mancata col Genoa nel 1983. Il 27 marzo 1983, venticinquesima giornata di serie A, l’Inter vince 3-2 a Marassi contro il Genoa. Il gol decisivo, a cinque minuti dalla fine, lo realizza Salvatore Bagni. Però non esulta nessuno. Anzi, i compagni sembrano arrabbiati. Negli spogliatoi si scatena una rissa. Giorgio Vitali, ds del Genoa, dice a fine gara: "I dirigenti dell’Inter devono sapere che merde sono i loro giocatori sul piano umano". La sensazione di tutti è che la partita doveva finire 2-2, e qualcuno si è dimenticato di avvertire Bagni. Due giovani cronisti de Il Giorno, Paolo Ziliani e Claudio Pea, decidono di indagare. Scoprono che in tanti avevano scommesso su quella partita, giocatori compresi. L’inchiesta tiene banco per cento giorni e sfocia in due inchieste, una federale e una penale (totonero). Entrambe insabbiate. Genoa e Inter vengono prosciolte per "insufficienza di prove", formula al tempo neanche contemplata. Ventidue anni dopo, Ziliani ha raccontato quell’inchiesta in un bel libro, Non si fanno queste cose a 5 minuti dalla fine! (Limina, pp 147, Euro 13.50). Perché questo libro? Facendo il giornalista sportivo, non passa anno in cui non ci si imbatta in qualche scandalo: il calcio-scommesse, il doping, il falso in bilancio, i passaporti falsi. Mi incuriosisce vedere come, puntualmente, il mondo dello sport e del giornalismo sportivo faccia scattare dei meccanismi difensivi molto forti e collaudati, per cui il teatrino che ne segue è sempre uguale a se stesso. Lo scandalo Genoa-Inter dell’83, in questo senso, è molto attuale. Credo di aver fatto una radiografia molto chiara di queste barriere difensive che scattano a difesa del fortino. Quanto è cambiato in venti anni il mondo dell’informazione? E’ cambiato poco e in peggio. L’automatismo della risposta di difesa è ancora più impressionante. L’omertà attorno al processo doping alla Juve è un esempio eloquente. Dopo la squalifica di Pantani al Giro, il 5 giugno `99, andai a Lucca a intervistare Ivano Fanini, quello che ha lanciato Cipollini. Fanini mi raccontò che nel `98, al Giro poi vinto da Pantani, un suo ex corridore, Forconi, compagno di squadra di Pantani, venne mandato a casa a due giorni dalla fine perché positivo. Fanini disse chiaramente che Forconi gli aveva raccontato che il valore anomalo era di Pantani, e per coprirlo lo si era attribuito a lui. L’intervista andò a Controcampo e a Panorama. Scattò subito il meccanismo della negazione: né proteste, né querele. Non successe assolutamente nulla. Parti con "Il Guerino", poi "Il Giorno". Oggi hai trovato il successo con le pagelle di "Controcampo". Avevo 28 anni e il caso Genoa-Inter mi portò una forte dose di disillusione, al punto che capii di non voler fare il cronista. Da allora ho virato verso la satira. Dopo due anni Il Giorno iniziò a pubblicarmi delle cose ironiche, molto nuove per il tempo. Mi misero in luce, e Mediaset nell’88 mi chiamò per ideare i primi programmi sportivi che sarebbero andati in onda l’anno dopo. Quanto è difficile fare informazione dall’alto? E’ molto difficile muoversi, anche se a Mediaset abbiamo ampia libertà di vedute. Spesso il clima di omertà che si respira è tenuto in piedi da un eccesso di servilismo di informazione, piuttosto che da richieste esplicite dei potenti. Detto questo, ci si scontra regolarmente. Scrivo sul cartaceo di Controcampo, faccio una paginetta satirica. Due anni fa firmai un pezzo banale e innocuo su Rivaldo, sostenendo che il Milan in Brasile non aveva comprato Rivaldo ma Aldo Riva. Niente di che. Questo pezzo provocò le ire funeste dello staff milanista, e Controcampo per due mesi non ebbe ospiti del Milan. Nel frattempo Rivaldo era già stato cacciato via. Dal libro esce malissimo l’informazione sportiva del tempo. Ero giovane e avevo l’illusione che il mio mestiere fosse quello di raccontare la verità. Invece ricevemmo minacce dai tifosi interisti, telefonate anonime. E poca solidarietà dai colleghi. Quelli più affermati - Gianni Brera, Adalberto Bortolotti, l’interista Fabio Monti - ebbero una reazione primitiva. Eravamo "bugiardi" quando andava bene, "venduti" quando andava male. Forse era il meccanismo della proiezione, ci dicevano "venduti" perché proiettavano su di noi quello che erano loro. Vedere l’allora presidente dell’Ussi, Enrico Crespi, insultarci gratuitamente su La notte, dando un ordine di scuderia ai propri sottoposti, fu avvilente. E con Brera fu ancora più triste. Dalle colonne di Repubblica, più volte, scrisse che Claudio e io non eravamo attendibili perché, non essendo giornalisti lombardi, eravamo dei terroni che odiavano Milano perché ci costringeva a lavorare, e quindi parlavamo male dell’Inter. Con argomentazioni simili non c’era spazio per alcun confronto dialettico. E nessuno, su Repubblica, provò a difenderci. Né Mura, né Sconcerti. Forse vent’anni fa non erano così potenti da poter contraddire Brera. Certamente sarà andata così, ma qui siamo a livello di sudditanza psicologica. Sconcerti e Mura erano pur sempre Sconcerti e Mura, anche se con venti anni di meno. In quei tre mesi non scrissero una sola riga sull’argomento che più tenne banco all’epoca. Oltretutto c’era in ballo la questione razzista. Noi avevamo intervistato Juary, allora all’Inter, e Juary aveva parlato soprattutto di quanto fosse stato isolato, in quanto "negro", dallo spogliatoio interista. Michele Serra lo capì e ci dedicò una pagina intera su L’unità. Il suo appoggio ci aiutò molto. Invece da Repubblica non arrivò nessun aiuto, anzi era Brera che ci attaccava usando argomentazioni razziste. Oggi come ieri, appena Sconcerti e Mura sentono un "buh" in una partita ci scrivono sopra un pistolotto, e fanno benissimo. All’epoca, però, rimasero a guardare il santone Brera che impose al giornale una linea editoriale per la quale io e Pea non eravamo credibili in quanto pelandroni e non appartenenti alla "sacra terra di Lombardia". Questo mi spiacque. E mi spiace. Carlo Petrini ha apprezzato il tuo libro, ma dice che dovevi togliere gli "omissis". Il testo finale è il risultato di una trattativa tra me e Limina. Avevo scritto questa cosa d’estate, senza filtri. L’ho spedita, mi hanno risposto che il libro era buono. Avevano però il terrore delle querele, per cui qualche nome è stato tolto. Mi è spiaciuto, ma era un compromesso necessario. A qualcuno ha dato fastidio l’uscita del libro? Bagni mi ha fatto i complimenti. Beccalossi mi ha raccontato che ogni tanto lui e Altobelli parlano di quella partita, e si dicono che forse qualcuno dei loro compagni l’ha venduta senza avvertirli. Pea è stato il primo a leggerlo, ci siamo riavvicinati molto, lui adesso è al Gazzettino. L’unico che se l’è presa moltissimo è "Omissis 4". Al tempo era un nostro collega de Il Giorno, che si propose all’Inter per fermarci. In pratica fece la spia. Mi dicono che dalle colonne di un giornale leghista non perda occasione di insultarmi. La vicenda venne insabbiata, come per Bologna-Juventus. Si può affermare che, così come Milan e Lazio, anche Juventus e Inter meritavano la retrocessione per illecito sportivo? E’ sempre stata la mia convinzione. Anche nel caso di Genoa-Inter c’era di mezzo il totonero e alcuni tesserati dell’Inter scommisero sul pareggio. Oltre a Bologna-Juventus, nell’80 c’era stato Pescara-Fiorentina, con la posizione molto critica di Antognoni, in rapporti stretti con Battistini del Pescara. L’inquirente federale Ferrari Ciboldi ci raccontò che né il magistrato (di Prato) De Biase, né il presidente federale (di Siena) Artemio Franchi gradivano la squalifica di Antognoni, e allora fu consigliato alla moglie Rita, allora incinta, di scrivere una lettera aperta al Presidente della Commissione Disciplinare, nella quale Rita giurava "sul bambino che portava in ventre" che il marito era innocente. Bologna-Juventus è stato il più grande insabbiamento della storia recente del calcio. La Juve doveva andare in B, la sua colpevolezza era evidente. Lo stesso vale per l’Inter. Genoa-Inter arrivò tre anni dopo Bologna-Juventus e a pochi mesi dalla vittoria dell’Italia ai Mondiali di Spagna. Capimmo subito che il palazzo non poteva permettersi di sciupare tutto con una nuova condanna di protagonisti eccellenti. L’inquirente federale Aldo Ferrari Ciboldi ebbe un ruolo chiave nella vicenda. Ferrari Ciboldi si mosse ostinatamente alla ricerca della verità in quei mesi, senza accorgersi che veniva usato dai propri superiori. Andai a trovarlo qualche anno dopo. Era stato completamente emarginato. Cadde in depressione, gli venne tolta la tessera. Subì una ritorsione profondissima, e sai perché? Perché aveva fatto il suo dovere. Andrea Scanzi