Paolo Mastrolilli, La Stampa 29/03/2005 pag. 34, 29 marzo 2005
Città dei sordi, La Stampa 29/03/2005. Sarebbe facile fare ironia sulla "città dei sordi", che Marvin Miller vuole cominciare a costruire in South Dakota entro l’autunno
Città dei sordi, La Stampa 29/03/2005. Sarebbe facile fare ironia sulla "città dei sordi", che Marvin Miller vuole cominciare a costruire in South Dakota entro l’autunno. Dietro a questo progetto, però, c’è un dibattito troppo serio per prenderlo alla leggera: come deve trattare i disabili la società moderna? Integrarli, oppure isolarli? Marvin Miller è sordomuto, come sua moglie Jennifer e i loro figli. "La società - ha spiegato al New York Times attraverso un interprete - non sta facendo un grande lavoro nell’integrarci. I miei bambini non vedono parecchi modelli positivi nelle loro vite: i sindaci, manager, postini o imprenditori non udenti non sono molti. Perciò stiamo creando un posto per mostrare la nostra cultura e la nostra società". Marvin ha opzionato 110 ettari di terreno ad ovest di Sioux Falls, nel South Dakota. Quindi ha raccolto finanziamenti dal ricco padre di una ragazza sorda, che ha chiesto di restare anonimo, e dalla First Dakota National Bank. Lunedì scorso ha riunito gli architetti e gli urbanisti per cominciare a progettare la sua nuova città e spera di avviare i lavori nel prossimo autunno. La chiamerà Laurent, dal nome di Laurent Clerc, un giovane insegnante francese che all’inizio dell’Ottocento aveva portato il linguaggio dei segni negli Stati Uniti, aiutando Thomas Hopkins Gallaudet a fondare la prima scuola per non udenti. Il progetto di Miller è stato già sottoscritto da 92 famiglie, che vogliono andare a vivere nella nuova città. Si tratta di americani, ma non solo, perché le domande sono arrivate anche da paesi lontani come l’Australia e la Gran Bretagna. Laurent dovrebbe ospitare circa 2.500 abitanti e sarà pensata apposta per i sordi. Avrà ristoranti e negozi dove i camerieri conoscono il linguaggio dei segni, molte vetrate per consentire il contatto visivo, e allarmi antincendio che accendono luci invece di sirene. Internet sarà ovunque, perché la comunicazione scritta digitale aiuta molto chi non parla e non sente. Marvin non vuole definirla una "città dei sordi", ma piuttosto una città dedicata a chi parla il linguaggio dei segni. Sarà aperta a tutti, compreso chi possiede un ottimo udito. Chi non sente, però, non avvertirà più l’umiliazione di essere un diverso, obbligato a scusarsi con i normali. L’idea è affascinante, ma sarà un passo avanti o indietro? La società americana si basa sul concetto di integrazione delle razze, delle culture, delle religioni e anche dei disabili. Chiunque abbia frequentato l’università negli Usa sa che esistono quote di accesso per i disabili, che poi però vengono trattati da persone normali e incoraggiati a fare tutto come gli altri. La "città dei segni" è una sconfitta di questa filosofia? Così come il "melting pot" non riesce più a far bollire insieme le varie culture, anche i disabili devono isolarsi per gruppi nei loro ghetti? Secondo Todd Houston, direttore della Alexander Graham Bell Association for the Deaf and Hard of Hearing di Washington, "il desiderio di stare con gente simile a noi è comprensibile, ma non credo che isolarsi sia saggio". Se 2.500 sordi vogliono farlo, però, gli altri americani devono almeno chiedersi il perché. Paolo Mastrolilli