Carla Reschia, La Stampa, 29/03/2005, 29 marzo 2005
Scontro di cifre vittime Iraq, La Stampa, 29/03/2005 "We don’t do body counts". "Noi non contiamo i cadaveri"
Scontro di cifre vittime Iraq, La Stampa, 29/03/2005 "We don’t do body counts". "Noi non contiamo i cadaveri". La cinica risposta del generale americano Tommy Franks, comandante in capo delle forze militari in Iraq, a chi gli chiedeva del prezzo pagato all’attacco dai civili, è l’epigrafe del sito www.iraqbodycount.net creato per adempiere alla mesta bisogna. Mentre il Pentagono tiene accuratamente la contabilità delle perdite alleate, divise per nazionalità e causa – dall’incidente, all’agguato al famigerato "fuoco amico" - quella delle vittime civili irachene è affidata a stime diverse, di diversi orientamenti, che variano anche per decine di migliaia di unità. Nessuna meraviglia, dal momento che non c’è ancora certezza sul numero di vittime irachene durante la prima Guerra del Golfo e che la discussione è aperta sull’opportunità di includere nel calcolo i decessi per malattie causate direttamente o indirettamente alla guerra come le leucemie forse scatenate dall’impiego di uranio impoverito. Iraqbodycount, che nasce dal lavoro svolto dal professor Marc Herold, autore anche di un rapporto sulle vittime civili della guerra in Afghanistan dall’ottobre 2001 a oggi, è una banca dati pubblica e indipendente – basata esclusivamente sui resoconti delle agenzie e delle testate giornalistiche – dei civili morti in Iraq in seguito ad azioni militari dirette degli Usa e dei loro alleati. I dati sono aggiornati in tempo reale e variano perché spesso le notizie riportano cifre diverse. Ieri il "contatore" segnava un minimo di 17233 e un massimo di 19608 morti civili. Un corto per difetto, probabilmente, perché l’associazione ha scelto il rigore, richiedendo almeno una doppia fonte per "accreditare" le vittime ed esclude tutti i casi dubbi e non direttamente riconducibili alla guerra e alla occupazione. Sono numeri lontani, ad esempio, dalla stima di oltre centomila morti annunciata dal "Lancet" poche settimane fa, ma in cambio sono incontrovertibili perché documentati. E preoccupanti. Secondo il sito in Iraq c’è un crescendo di violenza che non accenna a placarsi. Via via che ci allontana dalla fine ufficiale delle ostilità, nel maggio 2003, il numero delle vittime sale invece di scendere; nei primi tre mesi del 2005 è più che raddoppiato rispetto allo stesso periodo del 2004: 376 contro 140. Aprile e novembre 2004 sono stati in assoluto i due mesi più "crudeli" in coincidenza con gli assalti della coalizione a Falluja. Le elezioni del 31 gennaio, da questo punto di vista almeno, non hanno giovato, segnando un’ulteriore tappa dell’escalation: 606 morti alla fine di febbraio 2005 contro i 447 del mese precedente. La risposta della coalizione a queste evenienze è il "pagamento di condoglianze" - fino a 2.500 dollari per una morte, 1.500 per un ferimento, 500 per danni materiali – corrisposto a chi presenta richiesta e previo accertamento del buon diritto. Una metà delle domande, secondo il "Los Angeles Times", non viene accolta. I militari, in ogni caso, non ammettono di risarcire gli iracheni per le perdite subite, né la propria colpa o responsabilità o negligenza, ma si limitano ad esprimere "solidarietà di fronte alla perdita subita". Particolarmente grave è poi, secondo molte associazioni umanitarie, la situazione dei bambini. Si tratta di morti indirettamente imputabili alla situazione – fonti mediche irachene stimano il livello di mortalità infantile nel 125 per mille - ma anche di casi di detenzione, maltrattamento e torture, compreso il famigerato carcere di Abu Ghraib. Secondo il portavoce della Croce Rossa Internazionale, Florian Westphal, tra gennaio e maggio, 107 bambini erano stati registrati dall’organizzazione in 19 visite in sei diversi carceri. I minori sono poi soggetti d’elezione per sequestri che spesso si concludono con la morte dell’ostaggio, indipendentemente dal pagamento del riscatto. Carla Reschia