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 2005  marzo 31 Giovedì calendario

Prezzo del greggio alto, L’Espresso 31/03/2005. Chi ha una raffineria oggi, anche vecchia e inefficiente, fa un sacco di soldi

Prezzo del greggio alto, L’Espresso 31/03/2005. Chi ha una raffineria oggi, anche vecchia e inefficiente, fa un sacco di soldi. I prezzi del barile non scenderanno, ma non sarà tanto questo a tenere alto il costo di un pieno, quanto il fatto che l’industria della trasformazione del petrolio in prodotti di consumo, benzina e gasolio, è impegnata al massimo. Gli impianti esistenti vanno al 95 per cento delle capacità e per costruire una nuova raffineria ci vogliono almeno cinque anni. Ma intanto il mondo continuerà ad avere sempre più sete di carburanti e sarà costretto a pagare a pié dì lista la sua fattura ai petrolieri. " Per la raffinazione questi sono anni d’oro", conferma Alessandro Garrone, amministratore delegato della Erg, la compagnia petrolifera genovese fondata dal nonno, portata nel 1997 in Borsa dal padre e ora lanciata verso una convinta diversificazione (petrolio, energia elettrica, fonti alternative, gas con il partner Shell, con cui costruirà un terminale di rigassificazione in Sicilia, senza escludere il carbone). Undicesimo gruppo italiano nelle classifiche di Mediobanca, promossa da ”Forbes” tra le 400 quotate al mondo più interessanti per gli investitoti, Erg controlla il 22 per cento della raffinazione della penisola ed è il più grosso acquirente di petrolio del Mediterraneo. Vale il 7 per cento del mercato italiano, ma punta al raddoppio, magari acquistando dall’Eni la rete Ip, in vendita. I conti del 2004 si sono chiusi con un risultato operativo netto di 399 milioni di euro, l’81 per cento in più rispetto al 2003. Ad Alessandro Garrone, 43 anni, amante degli sport estremi e che come investimento personale ha aperto due ristoranti a Genova, chiediamo di spiegare l’attuale momento di mercato. E perché i prezzi al consumo non scendono. Avete chiuso il 2004 con un bel risultato. D’altra parte siete tra i pochi settori industriali a cui l’aumento del prezzo della materia prima non fa nessun effetto: voi trasferite gli aumenti sui consumatori... "Non avendo pozzi di petrolio di proprietà, per noi che il barile sia a 40 dollari o 60 non cambia niente, perché lavoriamo sui margini di raffinazione. E abbiamo fatto buoni risultati sia con il petrolio a 15 dollari, sia a 50, sia adesso. Quello che ci importa è il mercato delle benzine. Dove i prezzi non li facciamo noi: si compra e si vende sulla quotazione giornaliera del listino internazionale ". E dove è il rischio d’impresa? "Nel fatto che se il petrolio resta per lungo tempo a 60 dollari, ci possa essere una recessione dell’economia ". La vede probabile? Qual è la vostra previsione sull’andamento del prezzo? "L’Opec sta molto attenta a usare la leva del prezzo. Quanto alle previsioni, è un esercizio difficile: nel budget 2005 abbiamo messo il petrolio a 35 dollari, ora siamo già a 50". Come si muoverà nel breve termine? Non credo tornerà sotto i 40. La Cina continua a tirare e gli Usa ricostituiscono gli stoccaggi per prepararsi a un nuovo boom economico. La speculazione finanziaria sul "petrolio di carta" fa il resto ". Viviamo in un mondo in cui il petrolio costerà sempre di più? " Sì, costerà caro: non credo tornerà mai sotto i 30 dollari al barile. Ma non credo agli allarmismi sulla sua fine. L’efficienza energetica fa passi da gigante. E ormai per produrre mille dollari di Pil basta un sedicesimo del petrolio necessario vent’anni fa". Il petrolio è caro, ma le società petrolifere non investono per trovare nuovi pozzi.  vero: nel 2004 per la prima volta il petrolio estratto è stato superiore alle nuove scoperte. Ma per i prossimi 4-5 anni vedo un altro problema: il collo di bottiglia è la capacità di raffinazione, che è arrivata ai massimi. Escludendo le raffinerie ex-Urss, che sono obsolete, quelle in giro per il mondo lavorano tutte al 95 per cento della capacità". Vuol dire che se anche l’Opec diminuisse i prezzi, la benzina resterebbe cara? "Sì. A guadagnare sarebbero solo i raffinatori". E perché nessuno costruisce nuova capacità di raffinazione? "Per mettere su una nuova raffineria ci vogliono quattro, cinque anni. Ma come sarà il mercato allora?". I consumi non cresceranno? "Sì. Ma in Europa crescerà più il gas che la benzina, e la normativa chiederà prodotti con meno zolfo. Tutto questo vuole investimenti elevati, ma senza la certezza di margini altrettanto elevati per lungo tempo, diciamo 10-15 anni, nessuno è disposto a investire". Anche voi state fermi? " No: in quattro anni investiremo 350 milioni di euro nelle due raffinerie in Sicilia. Sia per avere nel 2009 prodotti secondo la normativa europea, sia per aumentare la nostra capacità di conversione: cioè per ottenere più benzina e più gasolio dal greggio che lavoriamo". Oggi fa più soldi chi ha un gioiello di raffineria? "Ora, con questi prezzi della benzina, anche un catorcio fa soldi. Tra cinque anni invece sarà importante avere un impianto di eccellenza". Come ha funzionato l’effetto euro sul prezzo dei prodotti? "I paesi produttori, che importano in euro e vendono in dollari, con la svalutazione della moneta americana hanno aumentato i prezzi. Quanto a noi, per costruire il nostro prezzo alla pompa, partiamo sempre da una quotazione in dollari: quella della benzina sui mercati internazionali. La convertiamo in euro e ci aggiungiamo l’Iva e tutto il resto". Vuol dire che se non ci fosse stata la svalutazione del dollaro, i prezzi alla pompa sarebbero stati anche più alti? Sì: del 30 per cento. E poi c’è l’impatto negativo dei nostri costi, che sono in euro. Lo si è visto sui nostri risultati". Veramente avete fatto guadagni più che soddisfacenti. "Faccio un calcolo rapido: la nostra raffinazione ha un margine lordo di 500 milioni di dollari l’anno. Ebbene, per effetto del cambio, abbiamo perso 150 milioni di euro". Avere rapporti stabili con i fornitori di materia prima è importante per spuntare sconti? "No: serve solo ad avere sicurezza di approvvigionamento per far andare gli impianti: se fermo un giorno, sono milioni di dollari in fumo. Noi abbiamo contratti annuali per il 50-60 per cento del greggio che lavoriamo. Ma paghiamo sulla quotazione del momento del carico. Il resto lo compriamo spot". Avevate un contratto con la russa Yukos: che fine ha fatto? "Avevamo raggiunto un’intesa nel 2004 per una fornitura di 5 milioni di tonnellate di petrolio l’anno per cinque anni. Ma da gennaio la Yukos non ci fornisce nulla. Troviamo altrove l’Ural, il greggio russo che lavoriamo. Ma cerchiamo un contratto a lungo termine". Perché in Italia non si riesce ad avere una vera concorrenza dei prezzi della benzina? "Perché c’è un "price setter" molto forte, l’Eni, tra Agip e Ip ha il 37 per cento del mercato, e tutti gli altri sono troppo piccoli. Per noi che abbiamo il 7 per cento, come pure per le altre compagnie, fare una guerra al ribasso sarebbe un suicidio: ci sarebbe subito una reazione del leader di mercato". Le differenze di prezzo, però, sul territorio ci sono: un’indagine recente ha dimostrato che a Trieste la benzina costa meno che a Napoli. " Si fanno azioni locali: sconti se ci sono impianti vicini, aumenti se l’impianto è isolato. Ma fidelizzare i consumatori è difficile. Ogni volta che facciamo una campagna promozionale, il volume delle vendite aumenta del 5-10 per cento, poi a fine campagna torna come prima ". Succede solo in ltalia? "Fuorí c’è un’altra struttura di rete. Da noi l’erogato medio di un punto vendita è di 1,5 milioni di litri, in Spagna, per esempio, è tre volte tanto. Un italiano trova un impianto ogni cinque chilometri, e non si sforza di arrivare a quello che gli dà qualcosa di diverso. La leva del prezzo, insomma, non sposta il mercato". Non è che vi adagiate sul fatto che la benzina resta un bene primario? Una recente indagine di Renato Mannheimer per la Q8 ha dimostrato che i consumatori pensano che il prezzo della benzina è aumentato di più di altri beni, anche se non è vero, eppure i consumi non scendono. "Nel 2004 qualche segnale di riduzione c’è stato: nell’ultima settimana del mese i volumi diminuiscono". Gli sconti che fate tra compagnie sono comunque molto piccoli. " vero: ragionando con la vecchia moneta, una differenza di 30-50 lire al litro non sposta le preferenze del consumatore". E non potete fare uno sconto più forte? "Secondo le nostre indagini di mercato, ci vorrebbe uno sconto ben sopra le 50 lire, diciamo vicino a 100. Ma sarebbe troppo pesante, vorrebbe dire vendere quasi in perdita. Avete il coltello dalla parte del manico: i consumatori si devono mettere l’anima in pace sul costo dei pieno? "L’unica via d’uscita è rendere gli impianti più redditizi aprendoli all’attività ”non-oi1” cioè alla vendita di altri prodotti. Oggi il gestore di un impianto medio, con un margine di 80 lire al litro, fa 40 mila euro lordi l’anno. Troppo poco. Se può diversificare la sua attività, e fatturare di più vendendo altro, sarà più disponibile a limare quel suo margine. Sostenendo lo sconto insieme, gestori e produttori, allora il prezzo sì che può scendere". Paola Pilati