Giampiero Mughini, Un sogno chiamato Juventus, Mondadori 2003, pagg. 6-9;, 30 marzo 2005
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Gol. Era il 57º. In quel momento non solo i tifosi juventini, ma tutti quelli che amano il calcio avevano forse dimenticato la tragedia compiutasi due ore prima. Una tragedia che aveva fatto ritardare l’inizio della partita di un’ora e mezzo, ma non l’aveva annullata. Perché così è la vita, immediata e prepotente nel far valere i suoi diritti, innanzitutto che i vivi dimentichino i morti. E anche se erano ancora caldi i corpi di quei 31 tifosi juventini che la Coppa tanto desiata non se la sarebbero potuta godere (i morti in tutto erano stati 39, gli altri 8 non erano italiani). Il clown muore, ma il circo continua [...] E a non dire che molti dei tantissimi tifosi venuti a Bruxelles a vedere un partita di calcio, probabilmente non avevano capito bene l’entità di quello che era successo in un angolo dello stadio. [...] Platini ha raccontato che i suoi genitori, venuti a Bruxelles a vedere la partita, se ne partirono nella notte senza sapere nulla della tragedia: ne lessero l’indomani mattina sui giornali. Nel suo libro [...] La mia vita come una partita di calcio, pubblicato pochi anni dopo, scriverà che qualcosa loro giocatori nello spogliatoio seppero, non tutto. Sentirono pronunciare la parola ”morti”, non il come e il numero dei morti. Marco Tardelli m’ha raccontato che lui e Antonio Cabrini andarono verso la curva dov’erano i tifosi juventini, a cercare di placarli; prima di entrare in campo e giocare, sapevano di uno, forse due morti. Stefano Tacconi m’ha detto che negli spogliatoi erano arrivati dei feriti: e che da loro avevano appreso quel che era successo. Gli juventini s’erano convinti che non si dovesse giocare, perciò si erano infilati sotto la doccia. Quand’ecco che arriva un generalone dell’esercito belga a dire che se loro non giocheranno si prenderanno la responsabilità degli ulteriori disordini e delle ulteriori vittime. A quel punto la Juve accettò di andare in campo.
[...] Al rigore segnato da Platini, i tifosi juventini di tutta Italia esultarono. Esultammo anche noi, i tre amici accomunati dalla fede juventina che c’eravamo dati appuntamento a casa mia, e io avevo prenotato un ristorante trasteverino [...] dove eravamo sicuri che avremmo festeggiato la vittoria nel dopopartita. Di fronte al televisore disegnato da Marzo Zanuso eravamo io, l’ingegnere Elio Iacono [...] e Pigi Battista [...] Esultammo anche noi, non so ricordare esattamente quanto, né se io esplodessi nel gesto che mi è abituale quando la Juve la mette dentro, scattare in piedi agitando le braccia a pugno teso e ululando un ”dai!!!!”. Esultammo, certo. Così esultarono i giocatori juventini in campo, e ne saranno deplorati nei commenti dell’indomani intrisi di ”politically correct”, e come se fosse così invalicabile il muro che separa il lutto dalla gioia. Esultarono i tifosi juventini disseminati nelle piazze italiane, quelle di Torino innanzitutto, e spesso fu un’esultanza senza pudore per ciò che era accaduto. Saranno in tanti a dire che quell’esultanza era fuori posto, che quella vittoria non valeva niente al cospetto dei trentanove morti italiani e non, che quella coppa stramaledetta andava restituita [...]».