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 2005  marzo 30 Mercoledì calendario

REGAZZONI Clay (Gian Claudio) Lugano (Svizzera) 5 settembre 1939, 15 dicembre 2006 (schianto in auto contro un guardrail del ponte sul fiume Taro, lungo l’autostrada A1, a pochi chilometri da Parma)

REGAZZONI Clay (Gian Claudio) Lugano (Svizzera) 5 settembre 1939, 15 dicembre 2006 (schianto in auto contro un guardrail del ponte sul fiume Taro, lungo l’autostrada A1, a pochi chilometri da Parma). Pilota di Formula 1. «Il 30 marzo del 1980, quando in Italia era già notte a causa del fuso orario, a Long Beach, in California, proprio vicino alle spiagge che si affacciano sull´Oceano Pacifico, si stava correndo il Gran premio degli Usa Ovest. Era in pieno svolgimento la gara quando Clay Regazzoni, pilota svizzero italiano della Formula 1, andò a schiantarsi contro una barriera durissima: una catasta di pneumatici messa davanti a un muretto sulla Shoreline drive. La sua Ensign, […] ne uscì distrutta. Regazzoni ne uscì a pezzi ma vivo. […] aveva corso anche con la Ferrari al fianco di Lauda negli anni d’oro del Cavallino (con Montezemolo giovane direttore sportivo) […]. Il suo è stato un calvario c[…]. ”Dopo l’incidente - racconta Clay in un libro che ha avuto grande successo - i medici del St. Mary Hospital di Long Beach impiegarono sei ore solo per decidere cosa fare: se mettermi in trazione o operare. Decisero di operare e fecero una laminectomia, cioè il taglio delle lamine che sostengono la colonna vertebrale. La frattura fu ridotta e la colonna allineata, ma per stabilizzarla avrebbero dovuto fare anche un innesto osseo. Invece non lo fecero. Me lo fecero anni dopo, a Parigi quando finalmente finii nelle mani del professor Saillant che fu molto onesto a dirmi che non mi sarei più ripreso e che la mia vita sarebbe rimasta così, su una sedia a rotelle”. L’odissea ospedaliera di Regazzoni durò alcuni anni tra speranze sempre più flebili. Dagli Stati Uniti alla Svizzera, poi ancora in America, quindi a Parigi e alla fine a Bologna dove gli fecero degli scarponcini per poter stare in piedi. […] non per questo Regazzoni si demoralizzò. Come prima cosa pensò ad ottenere una patente di guida per uno nelle sue condizioni. E la ottenne. ”Appena mi rimisi al volante, mi sentii un altro”. […] fama oltre che di gran pilota di grande uomo. Un vero, autentico, travolgente personaggio dello sport. ”Personaggio mi ci ha reso la gente, non io. E me ne sono accorto dopo l’incidente quando dovunque fossi c’era sempre una folla attorno a me”. Sei anni dopo, Clay Regazzoni ridiventò protagonista e personaggio. Tuffandosi in una avventura che da molti è stata definita giustamente un massacro più che una gara: la Parigi-Dakar. Prese un camion, alcune auto per l’assistenza, mise in piedi una vera squadra è partì il 1 gennaio da Versailles per l’Africa sahariana. ”Scommisi che sarei arrivato a Dakar e avrei offerto champagne a tutti. Accidenti, non so più quante casse di champagne ho dovuto comprare”. Prima ancora di mettere le ruote sul deserto, Clay si accorse che col suo camion non sarebbe andato da nessuna parte. ”Poca potenza, marce sbagliate e soprattutto il meccanico che doveva preparare il mezzo aveva fatto un brutto lavoro, convinto com’era che mi sarei ritirato subito”. Solo per salire al posto di guida, Clay doveva farsi imbragare da una piccola gru che lo sollevava e lo metteva sul sedile. Perché guidava quasi sempre lui e i compagni di viaggio si raccomandavano l’anima a Dio. ”Uno di loro addirittura incideva le sue preghiere in un piccolo registratore tascabile. E io che credevo che parlasse da solo”. Regazzoni salvò altri concorrenti: un camion era andato a fuoco, altri erano fermi da giorni, finché il cassone del camion diventò pieno di profughi che arrivarono vivi e vegeti con lui sulla spiaggia rosa di Dakar. […]» (Carlo Marincovich, ”la Repubblica” 30/3/2005).