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 2005  marzo 30 Mercoledì calendario

DEBENEDETTI

DEBENEDETTI Antonio Torino 12 giugno 1937. Scrittore • «Uno scrittore uno e trino, ebreo, piemontese e romano: così emerge Antonio Debenedetti da una carriera ormai lunga di autore di romanzi e racconti. L´origine piemontese gli dà un’inclinazione all’esattezza psicologica. L’ebraismo gli trasmette, o gli infligge, la malinconia ancestrale di chi - sono sue parole [...] - ”ha nel sangue milioni di particelle invecchiate nel Talmud”. Roma, vista con lo stupore appassionato di chi la conosce nel profondo ma non vi è nato, è lo scenario consueto alle sue storie. [...]» (Nello Ajello, ”la Repubblica” 26/4/2005) • «Il bello di Antonio Debenedetti è la violenza. Una violenza nascosta, sotterranea, apparentemente quasi indifesa. Insomma, la vita. I suoi personaggi si muovono in un mondo che credono di conoscere e che invece ignorano, e così, lentamente, vengono spellati dal male in modo indolore, come sotto l’effetto di un’anestesia, per poi ritrovarsi con niente altro addosso se non il dolore della carne viva. […] abilissimo […] a tessere varie possibilità di lettura dei suoi racconti, ogni ipotesi potrebbe farne scaturire subito un’altra. Solo la scrittura, in questi racconti perfetti, è chiara e lineare. Certo, chissà a quale sforzo e al prezzo di chissà quanti ripensamenti e riscritture […] sempre a togliere, mai ad aggiungere. Ma è senz’altro attraverso questo assottigliare che Antonio Debenedetti ci offre con generosità il punto di vista che sta chiuso dentro la deflagrante violenza che scaturisce da ogni parola: la sua felice scrittura riflette in realtà l’infelice convinzione che questo terribile mondo sarebbe molto meglio da estinto» (Romana Petri, ”Il Messaggero” 30/3/2005) • «Prima di scrivere, i critici dovrebbero saper parlare di letteratura. Ben pochi lo fanno e lo sanno fare. Ben pochi ne hanno voglia. Ma un individuo che non parla di scrittori, di libri, di letture remote e recenti, perché dovrebbe mettersi a produrre articoli, saggi e volumi di critica letteraria? Staccata dalla conversazione e dall’improvvisazione orale, la critica diventa, come è diventata, un lavoro da professionisti che non sanno più quello che fanno, né perché lo fanno. Figlio di un grande critico, Antonio Debenedetti ha sempre voluto tenersi lontano dalla critica. Non nel senso che la ignori, tutt’altro. Con insistenza e passione, legge e rilegge quei critici che possono servire alla sua attività di scrittore. Della critica gli serve il dialogo fra intelligenza e invenzione. Gli serve la familiarità non solo con i libri, ma con chi li ha scritti, con chi ne ha avuto tanto bisogno da farne una ragione di vita. Perciò si potrebbe dire che Antonio Debenedetti è un ”conoscitore” più che un critico, quando la maggior parte di critici sembrano non avere, della letteratura di cui scrivono, neppure una conoscenza sufficiente. Qualche decennio fa, Edoardo Sanguineti definì ”racconti critici” i saggi di Giacomo Debenedetti. Ora i racconti veri e propri scritti da Antonio mostrano di avere a loro volta un forte e percepibile presupposto critico: nascono nel punto in cui l’intelligenza interpretativa si arrende e per capire qualcosa o qualcuno bisogna assolutamente raccontare la sua storia. I teorici della letteratura osservano che una parte considerevole della comune produzione linguistica può essere considerata racconto, prende naturalmente la forma di racconto. quello che succede con Antonio Debenedetti: fra il conversatore critico e l’autore di racconti si stabilisce una spontanea continuità e osmosi. [...]» (Alfonso Berardinelli, ”Il Foglio” 23/11/2005).