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 2005  marzo 29 Martedì calendario

ISOLA Aimaro.

ISOLA Aimaro. Nato a Torino il 14 gennaio 1928. Architetto. «[...] dopo mezzo secolo di fruttuoso sodalizio con Roberto Gabetti, uno dei protagonisti del dibattito architettonico italiano, si è trovato improvvisamente, dopo la sua morte prematura, a proseguire il lavoro progettuale che insieme avevano svolto per mezzo secolo in perfetta sintonia dimostrando un affiatamento e una solidarietà culturale e umana che hanno pochi termini di paragone nella storia dell’architettura moderna dove gli accoppiamenti, pur frequenti, sono stati spesso occasionali o poco duraturi. Fedele allo spirito di una associazione che all’impegno profondo e alla sapienza costruttiva univa un atteggiamento verso la vita fiducioso, ironico e fondamentalmente gioioso, Aimaro non si è chiuso nell’isolamento ma ha ripreso con nuova lena il lavoro interrotto, associando anche il giovane figlio Saverio e, in cinque anni, ha prodotto un gran numero di progetti [...]. La scelta non è stata, come ci si poteva aspettare, quella della continuità ad ogni costo, che sarebbe equivalsa a una pur comprensibile finzione. La personalità fortissima di Roberto Gabetti non poteva evidentemente essere sostituita dal suo ricordo, dalla rievocazione di un magistero intellettuale flessibile e aderente alla varietà delle occasioni e sebbene la sua eredità sia ancora ben presente si avverte, nella produzione dello Studio Isola, una impostazione nuova [...]. Il tentativo di sintesi tra il proprio metodo di progettazione, messo a punto in più di quaranta anni di sodalizio professionale con Roberto Gabetti, e le nuove tendenze tipiche di questi anni a cavaliere del nuovo secolo, emerge con chiarezza in due progetti [...]: quello per il Centro Storico di Benevento e quello per la Sede della Regione Lombardia e in una opera assai significativa, come il Centro Direzionale Ibm di Segrate realizzato a tempo di record dopo il concorso vinto nel 2001 e inaugurato nel 2004. Nel progetto di Benevento più che di un tentativo di sintesi si può parlare della volontà di mettere a contrasto senza remore tradizione e innovazione, regola e deroga, ordine e caos. L’architetto sceglie come tema fondamentale un archetipo classico: l’arco a pieno centro e lo ripete in modo ossessivo con la tecnica dell’elenco e del rimontaggio aleatorio che è sì decostruzione, ma non come nelle opere di Tschumi o di Eisenmann costruzione ex nihilo di un originale smontato, quindi deformato e contorto prima ancora di nascere. Isola decostruisce l’archetipo, qualcosa quindi di dato in precedenza che, attraverso la casistica, la ripetizione, l’accostamento paratattico degli elementi acquista un nuovo significato. Il progetto fa pensare a una serie di disegni di Paul Klee (da cui è possibile che abbia tratto ispirazione). Si tratta di variazioni su un tema che si collocano in uno spazio rarefatto, uno spazio tipicamente pittorico che Isola trasferisce sperimentalmente nello spazio esperibile della vita quotidiana. Diversa l’esperienza del progetto per la Sede della Regione Lombardia; qui la continuità è evidenziata da una autocitazione, quella dello splendido contenitore vitreo del Quinto Palazzo Snam a San Donato Milanese, integrata però dal tema dei giardini pensili sviluppato in modo surreale, come in un progetto di Ambasz. Indizi di apertura verso la ”terza avanguardia” trapelano nella forma dei pilastri che sostengono gli sbalzi e ancor più nel solido geometrico - metà piramide, metà dodecaedro - che si erge a coronamento dell’edificio. [...] Decisamente più convincente l’opera costruita: il Centro Direzionale Ibm [...] è [...] uno degli edifici più interessanti costruiti in Italia negli ultimi anni. In questa prova, portata fino in fondo con la sapienza costruttiva acquisita in tanti anni, Aimaro si mantiene fedele a un ideale di spazio racchiuso, in scala umana e riesce a integrare in un organismo unitario - ancorché dinamico e aperto - soluzioni tecnologiche e temi plastici in sintonia con le ricerche più ”aggiornate”. A poca distanza dalla sagoma templare di Niemeyer (che resiste bene alla temperie degli anni) il quadrilatero di Isola si interseca con una struttura cruciforme dilatata verso la periferia che parte dal centro di un blocco quadrato, diviso in nove parti e coperto da lucernai piramidali variabili orientati in modo da suggerire come le scaglie di un rettile un principio di movimento. Ponendo un blocco siffatto, saldamente definito in pianta ma, volumetricamente dinamico e variabile Isola rivela chiaramente il suo programma compositivo. La decostruzione - se così è lecito chiamarla - avviene non come gesto primario che rende indecifrabile il punto di partenza, ma come processo ricostruibile che muove da un enunciato geometrico elementare (i due quadrilateri e la croce che esplode dall’interno verso l’esterno) e si attua gradualmente in dialettica con i confini del lotto, tenendo fede a due principi che finiscono per contrapporsi. Il primo è la centralità fisicamente rappresentata dal blocco quadrato del ”centro di accoglienza”, visibile da tutte le facciate rivolte verso l’interno e quindi operante come un attrattore stabile, un cuore in scala umana che sconfigge sezionandolo lo spazio troppo vasto della corte. Il secondo è la unità dialettica del complesso edilizio riaffermata, dopo la scomposizione, dal gesto magistrale di avvolgere le facciate esterne con la striatura elicoidale disegnata dalla stratificazione dei blocchi di cemento di quattro colori. Ai margini di una operazione compositiva decisamente originale e certamente debitrice dello spirito del sodalizio con Roberto Gabetti, anche se più aperta a registrare inquietudini e spinte dispersive del presente, Isola inserisce con elegante distacco una serie di citazioni tratte dal vocabolario dello star system internazionale: gli scavi operati nelle facciate, i pilastri disposti casualmente nel ”portale dei giunchi”, le piramidi orientate, i pilastri alberiformi, l’inserto scultoreo dei condotti di areazione. In questo ironico contesto il ”portale dell’arco” acquista il carattere di una divertente autocitazione. Questa apertura verso le inclinazioni della moda non ci appare però come un artificioso sforzo inclusivo, ma come una spontanea e felice ammissione di appartenenza a un tempo e a un mondo che sono, qualunque sia il giudizio che ne diamo, il «nostro» tempo e il ”nostro” mondo. [...]» (Paolo Portoghesi, ”La Stampa” 29/3/2005).